venerdì 21 dicembre 2007

Via

Via dalle luci, dalla folla, da quei pochi auguri che ancora arrivano per posta. Via dalla ghirlanda appesa fuori dalla porta, dalle code al supermercato, dai troppi regali da recapitare. Via dalle cene di lavoro, dai mercatini di beneficenza, da Jingle Bells ad ogni angolo di strada. Via da un pranzo di Natale lucido e infiocchettato che apparirebbe falso come una banconota da sette euro. Via da cosa indossare, da cosa fare a Capodanno, dalla stella di Natale che ingiallisce dopo una settimana. Via da tutto e da tutti. Ancora un paio di giorni e anche quest’anno scapperemo via. Il tempo di avvisare l’arzillo vecchietto che anche stavolta dovrà passare un po’ prima, così gli alleggeriamo il lavoro della notte del venticinque; di assistere al presepe vivente degli scout, ché la picci son giorni e giorni che ripete orgogliosa la sua parte; di sedersi accanto all’albero e scartare con lei buste e pacchetti sgranocchiando torrone, mentre il resto del mondo ancora rincorre l’acquisto last minute. La nostra fuga dal Natale. Che ci porterà in un mondo bianco e muto fatto di tute da sci e berretti di lana, cene senza televisione né lavapiatti, libri e cori, vin brulé e fiaccolate. Un mondo semplice e puro, tutto per noi.

mercoledì 19 dicembre 2007

Filastrocca

Filastrocca di neve lucente e ghiacciata
ninnananna di notte buia e stellata
gli abeti risplendono di mille fiammelle
le calze nascondono le tue caramelle.
Gli sguardi si incrociano pieni di amore
sperando che nasca un mondo migliore
che arrivi in silenzio come il bambinello
e riesca a cambiare anche il nostro cervello.
La terra è macchiata da troppi dolori
disastri violenze e improvvisi bagliori
che l’oro e le stelle non posson coprire
ed io non riesco a guardarti dormire.
I volti dei bimbi mi danno speranza
girotondo di pace e infinita alleanza
abbracciami stretta in questo momento
ascoltiamo col cuore questo cupo lamento.

lunedì 17 dicembre 2007

Enchanted

Incantate, sì. Come il titolo del film e come noi due, sedute vicine nel buio della sala, sprofondate nelle poltroncine di velluto, le braccia intrecciate e strette, la tua mano nella mia, che vibra o si chiude a pugno a seconda delle immagini che scorrono sullo schermo. Ti guardo nel buio, sorridi estasiata e rapita da principi che sguainano spade a Times Square, buffi scoiattoli che per fortuna non spengono incendi e terribili streghe che propinano mele e magie. I tuoi occhi brillano come zaffiri, ridi, mi abbracci, grazie mamma, che bella sorpresa, ti amo tanto. Anche io tesoro e non sai quanto. E la sorpresa l’ho fatta anche a me, sai. Avevo voglia di un momento così, un po’ speciale, solo per noi due. Più sorelle che madre e figlia in questi momenti, per la verità, quando torno bambina come te e mi lascio trasportare dall’incantesimo che quel mago di nome Disney sa creare ancora così bene come quaranta anni fa. Il tempo e lo spazio si annullano, ci si bea del momento e di noi due. Usciamo nel buio di vento e piumino che sogniamo ancora e tratteniamo l’incanto dentro di noi. Grazie Walt. Grazie di cuore.

giovedì 13 dicembre 2007

La sciarpa

Le penne scorrevano veloci sulla carta. Quanti fogli. E quante firme. Le nostre, le loro, il notaio, il funzionario. Una mattinata volata via in un ufficio sobrio e formale, spettatori e interpreti al tempo stesso di atti e letture, ma non erano quelli degli Apostoli e neppure i Vangeli, anche se una preghiera dentro di me l’ho pure detta. Nel silenzio rotto dal frusciare dei fogli, dal fiume di parole astruse e da qualche battuta gettata lì tanto per cercare di ravvivare la scena, come quando si fa marameo ad un bimbo per strappargli un sorriso, stamattina ci siamo incatenati per altri trent’anni. Siate felici, ci hanno detto, ché una casa è sempre un assegno circolare. Oh, beh, certamente. Un bell’assegno circolare in mano alla banca per il prossimo terzo di secolo, ma sì, in effetti lo è sicuramente. Non so però come mai mi sia sentita così vulnerabile dopo, con un vago senso di timore e un’ansia infiltrante che si attorcigliava lentamente alla mia gola, come una sciarpa nuova da stringere intorno al collo in queste giornate invernali. Ripenso al nostro primo mutuo, stipulato in una ventosa giornata novembrina di diciassette anni fa. Quindici anni mi parevano un’enormità, ma la mia età, baldanzosa e spumeggiante, se ne infischiava bellamente e prendeva la vita così come veniva, senza pensarci troppo, con quella spavalderia venata d’incoscienza che si può avere solo a venticinque anni. Ce la faremo, pensavo. Ed in effetti, due anni fa abbiamo tagliato il traguardo. Non è stata una corsa facile ma neppure impossibile. Allora penso che ce la faremo anche stavolta, anche se quella gallinella coraggiosa e un po’ sbruffona non c’è più. Al suo posto c’è una vecchia gallina, che si fa mille pensieri, e poi ancora cento. Si affacciano tutti alla superficie, grigi e opachi come fuliggine, e nonostante la mia mano li ributti sotto poi pian piano tornano tutti a galleggiare nella mia mente. C’è poco da fare, stamani me ne sono resa conto pienamente, la spensieratezza è finita da un pezzo. Ha lasciato il posto alla maturità. O forse dovrei dire saggezza?

martedì 11 dicembre 2007

Bentornato

Eccolo qua. Anche quest’anno, nonostante mio marito che non ne voleva sapere di schiodarsi dal divano per rinvasarlo e il terriccio che è mancato all’ultimo momento, l’albero di Natale è arrivato a rallegrare casa mia. Come per ogni festa che si rispetti, l’abito nuovo è di rigore, così quest’anno il mio abete sfila sulla passerella del soggiorno con un nuovo look in bianco e rosso, un po’ country, un po’ tirolese, molto Merry Christmas. La picci in veste di aiutante si è dimostrata, per la prima volta in otto anni, degna di questo nome, reggendo i fili di lucciole, attaccando palline, sistemando gancetti, sciogliendo vecchi nodi e districando il filo di perle. Praticamente tutto il contrario degli anni precedenti, quando doveva essere tenuta alla larga da fiocchi e cristalli. Insomma, si cresce. Così, dopo un paio d’ore tra scatoloni polverosi, aghi verdi sparsi dappertutto, Bing Crosby a tutto volume e un ragno grassottello che avendo vista invasa la sua privacy da decine di lucine sperava di traslocare tra i cuscini del divano, l’albero duemilasette è arrivato. E’ sempre una gioia, un palpito del cuore, immutato ed eterno. Tra qualche giorno cominceranno a piovergli sotto pacchetti di ogni foggia e colore, da scuotere, scrutare, prevedere, indovinare. Secondo me è un maglione, penso che sia il libro che volevo, è sicuramente del vino. Chissà. In ogni caso, sarà ancora più bello.

lunedì 10 dicembre 2007

Sempre più simpatici

Come dicevo la scorsa estate, brutti erano e ahimè lo rimangono, anche in questa nuova versione invernale, calda e coccolosa, morbidi come una pecorella di peluche. Però sono sempre più simpatici, allegri, perfino un po’ irriverenti nella loro coloratissima sfrontatezza. Ammaliatori, ecco. E come spesso accade con quei tipi che belli non sono ma che basta ti guardino per farti sciogliere come neve al sole, mi accorgo di essermene invaghita, forse poco a poco, quasi senza accorgermene. Del resto, farei felici i miei piedi perennemente ibernati e gli angoli della mia bocca si impennerebbero in un gran sorriso, ché queste calzature, si sa, son portatrici sane di buonumore. E forse con un bel rosa, o magari viola che quest’anno fa tanto fashion, farcito da un soffice e avvolgente pelo bianco, i miei piedi ballerebbero fino a mezzanotte ed oltre. Cosa che, per una che non è certo Cenerentola, è tutto dire. E se li chiedessi a Babbo Natale?

giovedì 6 dicembre 2007

Strudel di pere

Qualche sera fa mi è venuta voglia di montagna. Della mia montagna. Quando l’aria fredda del mattino odora di neve che scricchiola sotto i piedi e tutt’intorno. Quando un rifugio caldo mi accoglie con chiacchiere, tè caldo e profumo di legno. Quando al crepuscolo guardo in su e intravedo quel nero merletto di Dio che si staglia contro il cielo viola e resto ammutolita. Atmosfera mica facile da ricreare in città. Ma mentre assaggiavo questo strudel tiepido ho chiuso gli occhi e, per un attimo, sono stata lassù. Sull’Alpe.

Ingredienti:
2 pere Williams grosse e mature
250 gr. pasta sfoglia
60 gr. biscotti savoiardi
zucchero semolato
uvetta sultanina
pinoli
scorzette di arancio candite
cannella in polvere
zucchero a velo

Preparazione:

Sbucciare le pere, tagliarle in quarti e affettarle. Stendere un rettangolo di pasta sfoglia di circa 30 centimetri per 25 e coprirlo con i savoiardi sbriciolati. Allargare sopra le pere a fettine, una manciata di uvetta, i pinoli e un passata di zucchero. Insaporire con le scorzette di arancio e la cannella in polvere. Arrotolare la pasta sfoglia chiudendo all’interno tutti gli ingredienti e rimboccando le due estremità. Fare due-tre taglietti sulla parte superiore e adagiare lo strudel su una placca da forno rivestita di carta da forno. Cuocere in forno caldo a 200° per 30-35 minuti. A cottura ultimata lasciar intiepidire e cospargere con zucchero a velo. Tagliare lo strudel a fette spesse accompagnando con panna montata.

lunedì 3 dicembre 2007

Carpe diem

La picci è invitata a teatro domenica pomeriggio. Bella cosa i picci che non son più tanto picci e che iniziano ad avere una loro vita, penso pregustando le ore vuote da riempire con una bella sessione di nullafacenza. Poi mi rabbuio pensando che tra qualche anno forse non la penserò più così, ma per adesso scelgo di accogliere con gioia l’inaspettato tempo a disposizione. Mi immagino già un pomeriggio di divanite acuta in compagnia di tè bollente e dvd quando realizzo che siamo entrati nel mese di Babbo Natale e che forse sarebbe il caso di rendere più fruttuose queste ore di vuoto figliesco capitate così all'improvviso. Che ne dici di andare a comprare i regali per la picci? chiedo al Galletto con sorriso Durban's ed estrema nonchalance. Mio marito non abbocca e mi guarda con orrore. In effetti, andare a fare shopping natalizio durante le domeniche dicembrine è un suicidio, di massa ovviamente. Come dargli torto. Però è forse l'unica occasione che abbiamo per acquistare un po' di cose al riparo dagli occhietti vispi e dalle lunghe antenne della pulcina, che negli ultimi tempi sta diventando più scaltra di una faina. Così, carpe diem, si parte per una full immersion pomeridiana tra negozi e ipermercati. Praticamente, un delirio. Code di auto rivolte tutte verso il medesimo parcheggio, gente che esce con i carrelli stracolmi neanche fosse stata annunciata la terza guerra mondiale, io che non appena varco le porte automatiche mi dimentico immediatamente cosa sto cercando e vengo travolta da centinaia di stimolazioni sensorie, vetrine colorate, canzoncine, pannelli luminosi, offerte speciali e allegre signorine travestite da pirati dei Carabi. Mio marito che cerca disperato di richiamarmi all’ordine e punta dritto allo scaffale che ci interessa con la determinazione di un serial killer. Sorpresa! Il giochino che cercavamo è esaurito e non si sa se ritorna prima di Natale. Esaurito? Beh, pare che l’aggeggio infernale sia uno tra i più gettonati nelle letterine al simpatico vecchietto sulla slitta ed evidentemente c’è chi ha giocato d’anticipo. Passato l’attacco di panico, inizia la caccia al tesoro e nella tragicomicità del momento mi scappa quasi da ridere a vederci così trafelati e affannati saltare da un negozio all’altro. Sembriamo Fantozzi e la Pina. Poi, nonostante non ci si trovi sulla 34esima strada, il miracolo avviene ugualmente e troviamo l'oggetto dei nostri desideri. Sguardi d’intesa, sorrisi estasiati. Quando la commessa mi dà la busta l’afferro come fosse il premio Oscar e mi vien voglia di abbracciarla. Missione compiuta. Torniamo a casa, nascondiamo ben bene il malloppo e ci stravacchiamo sfiniti sul divano, giusto cinque minuti prima che arrivi la pulcina. Che avete fatto di bello mentre ero al teatro? Mah, niente di particolare, un po’ di relax. Perché il mestiere di genitori è fatto anche di questi meravigliosi momenti di relax.

giovedì 29 novembre 2007

Corsi e ricorsi

Correva l’anno 1978 e la Gallina, all’epoca poco più che pulcinotta, impazziva per Danny Zuko dal ciuffo ribelle, si sentiva molto Sandy Olsson biondina e perfettina, mal sopportava Betty Rizzo e il suo rossetto vermiglio e le cascavano le lacrime ascoltando “Hopelessly devoted to you”, anche se il testo era ancora un mistero. Corre l'anno 2007 e la pulcina adora lo sguardo azzurro di Troy Bolton, si impersona nel dolce sorriso di Gabriella Montez, caverebbe un occhio alla ricca Sharpay Evans e piange disperata mentre ascolta "Gotta go my own way", anche se il testo resta ancora un mistero. La Gallina assiste, si commuove anch'essa e ricorda, quanto ricorda. Da Grease a High School Musical. Benché siano passati quasi 30 anni e il mondo purtroppo o per fortuna non sia più lo stesso, fa bene al cuore vedere come certe cose non cambino mai.

mercoledì 28 novembre 2007

Che la festa abbia inizio

Facciamo un calendario dell’avvento? ti ho chiesto all’uscita da scuola mentre pigolavi di verifiche di matematica e pasta scotta alla mensa scolastica. I tuoi occhi sgranati e felici mi hanno risposto di sì prima ancora che la parola ti uscisse dalle labbra piegate all’insù come una mezzaluna. L’ispirazione ce l’ho avuta sul momento, senza preavviso. Forse la voglia che i festeggiamenti avessero inizio comunque, ché ce la metto sempre tutta affinché i tuoi Natali siano migliori di quanto lo sono stati i miei. E il desiderio di vivere insieme a te questi giorni così speciali, respirare la tua allegria, ritornare bambina, divertirmi con te, tra bambin Gesù che spariscono dalla capanna per trasformarsi nel bebè della Barbie e tazzine di latte e biscotti da lasciare in cucina per rifocillare quel vecchietto vestito di rosso che puntualmente atterra sempre nel nostro giardino. Così, tappa in merceria, cartoleria e allestimento del laboratorio sul tavolo del soggiorno. Colla, pennelli, tu che sveltissima fai gli esercizi di italiano, ché la regola impone prima i compiti e poi giocare e niente fa eccezione cara mia, neanche il Natale. Un’altra pennellata di verde, incolla meglio che si stacca, io che taglio il nastro a occhio, tu che semini brillantini e stelline, ancora una e poi un’altra e un’altra ancora. Le bustine le lasciamo aperte mamma? Certamente, così Babbo Natale e i folletti possono lasciarci dentro qualcosa quando passano. Oh. I tuoi occhi brillano come smeraldi, io resto seria e dico chissà. Stamattina il tuo grido è rimbalzato nel silenzio delle sette fatto di pantofole, schiuma da barba e caffè. Mamma, è passato! Le bustine chissà come sono piene e sigillate, alcune gonfie e ben farcite, altre leggere come petali. Poi voli alla finestra e quello che altro non sono che foglie e terriccio sparsi dal vento diventano magicamente impronte di renne che riconosci con certezza assoluta. E’ venuto con la slitta, mamma, ne sono sicura. Se è per questo, amore, ne sono sicura anch’io.

lunedì 26 novembre 2007

Gelatoterapia

Fuori stagione, ma che importa. Anzi, è stato proprio lì il bello, quel leggero senso di trasgressione e controtendenza che mi ha fatta sentire unica e diversa. Sì, mentre il resto del mondo dava i primi morsi a torrone e ricciarelli io mi son goduta un superbo cono di gelato. E che gelato. Appollaiata su uno sgabello, leccando come una bambina e come tale procurandomi due bei baffi color pistacchio e una sgocciolatura sul cappotto, me lo sono gustato fino in fondo, rapita e trasognata, mentre i pensieri fino a quel momento arruffati come i miei capelli iniziavano a prendere forma, a mettersi in fila, ordinati e con la messa in piega. Perfettamente addomesticati. E il merito è stato tutto di quel cono, chissà che non fosse il cappello di un mago rovesciato visto il risultato. Ma la magia era al suo interno, ché un gelato così io mica l’avevo mai mangiato. Dopo la prima leccata ho capito che tutto quello in cui mi ero imbattuta in precedenza era solo una pallida imitazione. Quella che avevo tra le mani, invece, era l’eccellenza. L’avevo sentito dire in effetti, ma il San Tommaso che alberga in me non ci credeva molto, ché al giorno d’oggi le strategie di marketing fan sembrare platino anche l’alluminio. E invece. Caspita che gelato questo qui. Piacere di aver fatto la sua conoscenza Signor Gelato dal nome di folletto. Tornerò. Sicuro che tornerò. Per la gioia delle mie papille gustative, per appiccicarmi un altro bel paio di baffi, per l’effetto un po’ magico, un po’ consolatorio, altamente terapeutico. Mica bruscolini.

giovedì 22 novembre 2007

Pimpa look

E poi dicono che non devo agitarmi, devo stare tranquilla, non preoccuparmi. Perché c’è chi sta peggio – frase questa che per certi versi mi ha sempre fatta incavolare di brutto perché è ovvio che purtroppo ci sia sempre chi sta peggio, ma anche chi sta un filino meglio ha il sacrosanto diritto di lamentarsi quando ne sente il bisogno, eccheccavolo. Non te la prendere. Sorridi. Guarda avanti. Tutto giusto, giustissimo. E se mi viene un po’ d’ansia alla fine mi vengono pure i sensi di colpa perché che diritto ne ho io di avere l’ansia quando c’è chi sta peggio? E mi sento una deficiente circondata da super eroi. Quando però è quasi un mese che tua figlia ha il naso rotto e l’otorino glielo ha pure rifratturato per raddrizzarlo e ancora non si sa se il suo profilo da Candy Candy sarà per sempre sostituito da quello di Carlos Monzon. Quando però due giorni fa il telefono squilla nuovamente e stavolta è tuo marito che è finito all’ospedale, volato via mentre lo scooter veniva centrato in pieno da una pazzoide in auto che tagliava l’incrocio con il rosso pieno, niente di grave ringraziando iddio, tanti lividi e dolori e lo scooter da buttare ai ferrivecchi. Quando però ti dicono che tua madre deve fare una nuova scintigrafia ossea per vedere un po’ dove sta gironzolando adesso quel cancro maledetto che non contento di averle già portato via tanto l’ha lasciata anche su una sedia a rotelle. Quando però ti barcameni alla bell’e meglio per sopravvivere a tutto questo cercando di non preoccuparti perché c’è comunque chi sta peggio, forse qualche diritto a un po’ d’ansia ce lo avresti pure. Ed è quello che deve aver pensato la Pimpa quando ha deciso di reincarnarsi in me stamattina al risveglio e nello specchio mi son trovata bianca come un cencio e ponfi rossi dappertutto, roba da vergognarsi a uscire. Orticaria da stress, dicono. Appunto.

mercoledì 21 novembre 2007

Nonostante

E’ inutile che tu finga di non accorgertene. Non serve far finta di niente. E lo sai. Lo sai bene che ogni anno è così. Mentre Natale arriva variopinto e luccicante sul binario principale tu sali a bordo del trenino a vapore che parte lento e sferragliante dall’ultimo binario. Nonostante la tua voglia immensa di stelle, presepi e collane di luci intermittenti. Nonostante il tuo desiderio infinito di tavole imbandite, chiacchiere e stoviglie che suonano una polka. Nonostante la tua smania di messa a mezzanotte tra baveri rialzati, nuvole di fiato e occhi scintillanti. Nonostante la tua sete di mani affettuose che dispensano pacchetti infiocchettati, carezze e tazzine di caffè. Nonostante il tuo sogno di cuori intorno a te e parole e risa e canti e perché no anche una poesia. Nonostante la tua bramosia di panettone a morsi, cardigan argentati e una tombola a suon di cartelle e fagioli. Nonostante il tuo cuore si trasformi in un flipper impazzito tutte le volte che senti parlare gli altri, che noia il cenone che noia i parenti che noia i regali, e tu devi tappargli la bocca al tuo cuore come si fa con i bambini quando parlano a sproposito, perché vorrebbe gridarglielo forte che non sanno quel che dicono. Nonostante il tuo bisogno di amore, che mai come in questo periodo dell’anno tu avverti così forte e prepotente, come sete nel deserto e fame da tempo di guerra. Nonostante tutto, ancora, di nuovo, tu lo sai bene che niente di questo accadrà. Eccome se lo sai. Lo sai benissimo. Ma è il tuo cuore, zuccone che non è altro, che non lo vuole capire. Da quell’orecchio non ci sente. Svogliato? Non so. Intelligente ma non si applica? Forse. E’ una lezione questa che, nonostante gli anni, lui non vuol proprio imparare.

martedì 20 novembre 2007

Ritorno alla capanna (dello zio Tom)

All'uscita dall'ufficio ho deciso di regalarmi una breve passeggiata per il centro cittadino già vestito a festa, cosa di cui dopo le ultime settimane trascorse di corsa tra ospedali, studi medici e farmacie, avvertivo decisamente il bisogno. Un'ora di vetrine, pensieri sfusi e frivolezze. Svago puro, insomma. Evidentemente però la mia mente seriosa e preoccupata degli ultimi giorni ha preso il sopravvento sulla voglia di coriandoli e ha fatto sì che l'occhio cadesse su qualcosa che mi ha fatta riflettere. Percorrendo le vie del super shopping della mia città, il cosiddetto salotto buono, ho notato che ultimamente le boutiques delle firme più prestigiose si sono moltiplicate e che in quelle poche centinaia di metri ormai è tutto un susseguirsi di maisons delle griffes più stellate, roba da fare invidia alla Fifth Avenue. Naturalmente, la solita solfa: negozi splendidi, vetrine impeccabili, prezzi inaccessibili. Ma questo già si sapeva. Quello che inaspettatamente mi ha fatta pensare è stato l'aver notato che quasi tutti questi paradisi in terra hanno adesso sulla porta d'ingresso, fermo impalato e impassibile come un corazziere, un concierge, body-guard, buttafuori o come accidenti si chiama. Ovvio, mi dico, son negozi di classe, mica può entrare chiunque, ci dovrà pur essere qualcuno ad impedire l'accesso a una coppia di punkabbestia con tanto di cane o ad una casalinga con buste del mercato e calze smagliate, no? Beh, ci sarebbe da discutere. Ma può essere. Mi chiedo però come mai questi guardiani del tempio debbano essere tutti obbligatoriamente neri. Vestiti di nero, pure. Con occhiali neri, anche. Che in questo modo le danarose shoppers giapponesi russe americane australiane e comunque bianche come la neve, si sentano più a loro agio alla vista dei neri Mike Tyson che tanto ricordano la Capanna dello zio Tom? Non so. Vorrei poter pensare che gli stessi negozi a Malindi o a Pretoria abbiano sulla soglia dei guardiani biondi come vichinghi, ma ho paura che le cose purtroppo non stiano esattamente a questo modo. Accidenti.

lunedì 19 novembre 2007

Plum-cake mais e cioccolato bianco

Quando mi imbatto in una ricetta intrigante, la ritaglio e la conservo nel mio Recipe Book, vecchio regalo di un’amica americana e quanto mai utile per scribacchiare in fretta, incollare e copiare ricette ed esperimenti culinari in genere. Unica regola per poter accedere al libro è l’esser stati testati, dalla sottoscritta o da persona fidatissima. Fino a quando cioè i ritagli non sono stati sperimentati non vengono incollati, ché purtroppo mi ricordo bene il disastro degli gnocchi rosa pasquali trovati su un settimanale e trasformatisi in pochi secondi in un’orrida zuppa color confetto o la recente crostata all’uva decantata dal giornalino di turno e miseramente naufragata in una crema disfatta e annacquata. Così, visto che di tempo ne ho sempre troppo poco, il mio libro strabocca di ritagli di vario genere, in attesa dell’esame d’ammissione. Anche questa ricetta era lì in attesa da un bel po’ e non ne ricordo neanche più la provenienza, ma ieri ha brillantemente superato il test d’ingresso e da oggi fa parte a pieno titolo del mio bagaglio culinario. Un plum-cake un po’ inconsueto, ottimo per colazioni, brunch e tè pomeridiani in attesa del Natale.

Ingredienti:
150 gr. chicchi di mais al naturale
20 gr. scorza di arancio candita, a pezzettini
80 gr. cioccolato bianco
150 gr. zucchero
180 gr. farina
150 gr. burro
2 uova
mezza bustina di lievito
zucchero a velo

Preparazione:

Frullare bene lo zucchero con il burro, quindi incorporare le uova, la farina, il lievito, il cioccolato a pezzetti grossolani, la scorza di arancio candita e il mais ben sgocciolato. Foderare uno stampo da plum-cake di media grandezza con della carta da forno imburrata e cuocere in forno caldo a 180° per 45 minuti. A fine cottura lasciare raffreddare completamente a temperatura ambiente e poi sformare, spolverizzando con zucchero a velo.

venerdì 16 novembre 2007

Ciao nonno

Stamani mentre rifacevo il letto mi è cascato lo sguardo sulla tua foto, o meglio la nostra foto, quella piccola, in bianco e nero, nella cornicetta blu nei pressi del mio comodino. La vedo ogni giorno in realtà ma non sempre la guardo davvero, con gli occhi dell’anima intendo. Oggi invece il mio sguardo si è fermato su di te, su di noi. Tenero e burbero al tempo stesso, tenevi fiero la tua nipotina in braccio, con quel sorriso un po’ rigido che ti donava la dentiera. Quella nipotina birichina e chiacchierona che ti costringeva a giocare alle mamme, mettendoti in braccio un bambolotto e apostrofandoti Signora, ma che bello il suo bambino. E tu, buono come il pane, per farmi contenta ti mettevi anche il foulard a fiori, tanto chi ci vedeva. Ricordo le mattinate in tua compagnia, lente come solo possono essere le mattine quando si hanno cinque anni. Io con la bicicletta arancione, la prima, quella con le rotelline, ti sfrecciavo davanti ridendo mentre tu seduto sulla panchina parlavi col benzinaio del viale e scartavi piano una caramella d’orzo, quelle quadrate e piatte, con l’incarto trasparente. Ricordo la tua sorpresa quando improvvisamente ti accorgesti che in tutto quel pedalare le rotelline, già un po’ allentate, si erano staccate ed erano rimaste chissà dove e tua nipote aveva imparato ad andare in bicicletta senza accorgersene. Ricordo i tuoi racconti, infiniti e sempre diversi, sulle tue avventure da militare. Ti ascoltavo a bocca aperta e ridevo, quanto ridevo, delle cose buffe che capitavano a te e ai tuoi commilitoni. Solo adesso mi rendo conto che probabilmente erano storie sapientemente ritoccate per renderle allegre agli occhi di una bimba, ma è troppo tardi per chiederti conferma. Ricordo le nostre confidenze, le coccole, le attenzioni che mi dedicavi, cercando forse di supplire a quelle carenze che già intravedevi all’orizzonte guardando negli occhi di tua figlia, che iniziava lentamente a non esserci più. Ti rivedo salire piano gli scalini di casa mia, con i tuoi abiti scuri, le camicie inamidate, i tuoi occhiali, le bretelle e quella busta in pelle nera che ti portavi sempre appresso e che io curiosa aprivo di nascosto a caccia di segreti e caramelle. Eri un po’ nonno e un po’ mamma, eri tanto per me. Eri tutto. Non volli venire al tuo funerale e quello che era un dolore troppo grande fu scambiato per un capriccio adolescenziale. Non avrei potuto salutarti per sempre. Non l’ho fatto allora e non posso farlo adesso. E’ per questo che ogni tanto ti parlo e ti racconto quello che mi succede. Perché tu ci sei ancora. Ci sarai sempre. Ti voglio bene nonno.

mercoledì 14 novembre 2007

Credevo

Credevo di esser di pietra ma sono di argilla
pensavo di essere fuoco ma son solo scintilla
correvo su fili di ferro ma son ragnatele
mi accorgo che in bocca ho soltanto il sapore del fiele.
Guardo la pioggia cadere senza rumore
il cuore rincorre il respiro e diventa timore
pensieri più grigi di un gatto si acciambellano invano
e vorrei imboccare la strada per giunger lontano.
Vedo riflessi di acciaio sulla mia pelle
ma son solo brividi ansia e cattive novelle
le lacrime allagano il volto come un campo da arare
e quello che posso e riesco è soltanto annaspare.
Credevo di avere la miccia come un ordigno
ma son solo una una madre inconsueta a forma di scrigno
ripieno di amore tristezza e caffè
le chiavi le ho perse e resto qui alla mercè.

lunedì 12 novembre 2007

Ospiti inattesi

Che coppia fantastica. Meglio di Ginger Rogers e Fred Astaire, ché le piroette che han fatto le mie papille gustative neanche a Broadway le hanno mai viste. Meglio di Stanlio e Ollio, ché per tutto il buonumore che mi han regalato non sarebbe bastata la serie completa di Oggi le Comiche. Meglio di Salgari e Verne messi insieme, ché le storie che mi son scorse davanti agli occhi son più di un viaggio dalla Terra alla Luna, più di un assalto dei pirati, più di una tigre del Bengala. Il binomio perfetto. Si sono presentati entrambi alla mia tavola ieri, come ogni anno di questi giorni, ospiti inattesi ma di riguardo e quanto mai benvenuti in una domenica fredda e lucente. L’uno, verde, denso e amarognolo come da tradizione, fruttato al punto giusto, pronto a pizzicare le narici e ad abbracciare il mio cuore mentre narra di inverni e di veglie intorno al fuoco. L’altro, allegro e vivace, rosso un po’ rubino e un po’ fragola a seconda della luce e di quanto ne resta nel bicchiere, impertinente e spavaldo come solo si può esserlo a quell’età. Olio nuovo l’uno, vino novello l’altro. Che festa. Di quelle non segnate sul calendario ma proprio per questo ancora più belle. Perché semplici ed inaspettate. E stasera, per festeggiare ancora in loro compagnia, sarà fettunta e zuppa lucchese. Praticamente, un’incoronazione.

venerdì 9 novembre 2007

Dolore e dolore

Ieri una collega raccontava con toni drammatici la sua prima mammografia. Un gran dolore, diceva, mi ha fatto male il seno fino a sera. Io, basita, ascoltavo e non riuscivo a capacitarmi. E non è la prima che sento parlare in questi termini. Ne ho sentite altre che addirittura non la fanno per paura di sentir male. Sarà che sono ormai cinque anni che una volta all’anno faccio questo esame, combinato all’ecografia mammaria, perché con i problemi di familiarità che mi ritrovo, han detto che dovevo cominciare presto. Sarà che so bene che se non fosse stato per quell’invito a farsi una mammografia di controllo, nel camper allestito per l’occasione in periferia per far capire che prevenire è meglio che curare, che mia madre è stata operata una prima volta e poi una seconda. Sarà che un paio di anni fa mi hanno trovato un nodulo sospetto e vai di ago aspirato, prelievo e biopsia. Lì sì che ho sentito male, nonostante l’anestesia, e son stata indolenzita per qualche giorno. Ma il dolore non era certo quello. Era quello dentro di me, terribile e sordo, il vero dolore. Una paura che mi ha attanagliato per tutti quei giorni che mi hanno separata dalla telefonata che poi mi ha fatto fortunatamente tirare un sospiro di sollievo, è una forma benigna signora, niente di preoccupante, basterà tenere sotto controllo. Quello è il Dolore, quello con la maiuscola. Che ti fa pensare mille cose, ti fa vedere i volti dei tuoi cari come se non li avessi mai visti prima, ti fa dire a te stessa di non preoccuparsi quando invece l’ansia ti stringe in una morsa gelida e non c’è niente che ti smuova di lì. Cosa vuoi che sia una macchina che ti strizza un po’ il seno per pochi secondi, il tempo di scattare una foto speciale che può salvarti la vita? Dovresti baciarla quella macchina e tutti i medici che le girano intorno. Fa un po’ male? Pazienza. Pensa al sole che sorge al mattino e che ti illumina la vita di ogni giorno. Pensa al sorriso del tuo amore, ai capelli di tua figlia, all’odore dell’erba bagnata. E se proprio non ci riesci, immagina che in quel momento sia George o Brad o Jude o chi ti pare a stringere un po’. Scommetto che in quel caso sopporteresti. E con un bel sorriso.

giovedì 8 novembre 2007

Basta poco

A volte basta un nonnulla, una sfumatura, una nota, una piccola cosa. Basta uscire dall’ufficio e ritrovarsi sotto una luminosa cupola azzurra che trasforma il fiume in un nastro d’argento. Basta sbucciare il primo mandarino della stagione, lucido e allegro, riconoscerne il profumo e il sapore che chissà come mai mi ricordano tanto la mia infanzia. Basta vedere tua figlia attorniata dalle compagne di danza che la guardano attonite e un po’ intimorite e sentirla raccontare le sue recenti vicissitudini con suspence e brio neanche fossero le avventure del Corsaro Nero, vantandosi quasi del colorito perfettamente intonato al verde ramarro della felpa. Basta indossare un bel pantalone nuovo color cioccolato per sentirsi dolce e golosa come una pralina. Basta vedere che le lasagne al pesto che hai preparato in fretta e furia vengono apprezzate dai tuoi commensali con tanto di scarpetta. Basta trovare nella posta la pubblicità Ikea che ti grida a gran voce che Natale è dietro l’angolo e che sarà il caso che tu cominci a pensare a come vestire il tuo albero quest’anno. Basta riuscire a ritagliarsi cinque minuti, tra i compiti di matematica e i fogli dell’assicurazione, per una tazza fumante del tuo tè preferito, arancio cannella e zucchero di canna. Basta poco, a volte, per sorridere.

martedì 6 novembre 2007

Simbiosi

Probabilmente non vi è momento migliore per sentirsi così, simbiotica con questa pallida giornata autunnale, umidiccia e freddina, cielo grigiastro e voglia di nulla. Il giorno ideale per questa svogliatezza, questa opacità. Stanchezza, anche, ché dopo giorni frenetici pieni di ansia e telefonate, sopravviene sempre il torpore, la voglia di tana, di lasciatemi stare. Inconcludente. Dozzine di pensieri si rincorrono, si affastellano, si affacciano alla mia mente senza che nessuno riesca a varcarne la soglia. Uffa, che noia. Non mi sopporto quando sono così, mi sto decisamente antipatica. Mi sento come un vetro appannato sul quale tracciare un ghirigoro distratto, come un foglio pieno di asterischi disegnati a casaccio durante una telefonata troppo lunga. Pallosa, ecco. Questa è la parola adatta a me stessa e a questa giornata.

sabato 3 novembre 2007

Un abbraccio in tasca

Non preoccuparti tesoro mio, l’abbraccio ce l’ho qui in tasca con me, anzi ne ho diecimila. Non faccio altro che accumulare cambiali di abbracci stritolanti e di nasin-naselli in questi giorni. Le metto tutte da parte, al sicuro nella mia cassaforte a forma di cuore e poi, stai pur certa, verrò ad incassarle tutte, una dopo l’altra. Esigerò tutti gli abbracci, i baci sul naso, i pizzichi e i buffetti che non ti posso dare. Ché dai figli ci si deve aspettare di tutto, anche che a scuola durante i giochi, i salti e le risate decidano di avere un incontro ravvicinato col marciapiede in cemento. Pianto, sangue, ghiaccio che arriva in ritardo. Il mio cellulare che squilla mentre sto uscendo dall’ufficio pensando a quando verrò a prenderti per portarti alla festa di Halloween alla quale tieni tanto non sapendo ancora che i piani della serata saranno radicalmente diversi. Signora, la bambina è caduta. Gli scalini due a due, il cuore in gola che batte come un pazzo tenendo compagnia alle lacrime che ricaccio giù dicendomi che sarà solo un bernoccolo. E invece no. Pronto soccorso, tu che sanguinante e gonfia come un pallone da rugby mi dici mamma ma alla festa ci andiamo lo stesso vero? Radiografia, forse anche una TAC. Mi guardi impaurita, non ti preoccupare sono solo delle fotografie un po’ diverse dal solito, se vuoi puoi metterti anche in posa. Il mio cuore galoppa come un forsennato, ma dove vuole arrivare mi chiedo. Frattura delle ossa nasali e un sacco di altre parole in medichese che significano cartilagini danneggiate, sangue in giro un po’ dappertutto e un visino che si trasforma sotto i miei occhi in quello di Rocky Balboa. Ghiaccio, signora, tanto ghiaccio, anche di notte. E antibiotici per l’emorragia, tachipirina per il dolore, eparina per l’ematoma, cortisone per il gonfiore. E i baci che ti do lo stesso, più lievi ma ti ricopro di baci. Non ti preoccupare dai che passerà. La frattura è da rivalutare signora, forse sarà necessario intervenire, vediamo tra qualche giorno. E così ci siamo ritrovate una maschera da Halloween a gratis, roba da fare invidia ai migliori truccatori hollywoodiani, che però durerà un po’ di più della vigilia di Ognissanti. Un bel po’ di più. Mamma sarò per sempre così? No amore, certo che no, ci vuole tanta pazienza. Ma tu sei una guerriera e ai compagni di classe che ti chiamano per sapere come stai rispondi da sotto la mascherina di ghiaccio io bene e tu? E il mio cuore frulla come un passero in gabbia ma tiene botta, fino ad ora. Perché mi accorgo invece che quel groppo in gola che ho ricacciato giù diverse volte adesso non ne vuole più sapere di starsene lì a far due chiacchiere con le tonsille e vuole uscire. Ma sì, facciamolo uscire un po’, col suo seguito di singhiozzi e lacrime e soffiate di naso. Un po’ d’aria non potrà fargli altro che bene.

venerdì 2 novembre 2007

Nostalgic meme

Eccone un altro. Un meme nostalgico che sta girovagando tra bloggers. Se si vuole si può continuare la lista dei ricordi, ognuno con un angolo di nostalgia nel proprio blog. Continuo volentieri l’elenco nostalgico della Sciura Pina:

Tito Stagno e il primo piede sulla luna, il Buondì Motta a scuola nel sacchettino di cotone a quadrettini, il mangiadischi arancione, i 45 giri delle Fiabe Sonore “a mille ce n’è…”, il gioco delle palline da far schioccare che invariabilmente mi maciullavano il polso, la Fiat 850 bianca di mio padre, l’enciclopedia dei Mille Perché, merenda a pane e olio, Sandokan, la pubblicità con la Linea, il grembiulino bianco col fiocco di colore diverso ogni anno, Maga Maghella sulla scarpa di Corrado, la sigla di Oggi le Comiche, Nixon e Kissinger, Furia cavallo del west, le olimpiadi di Monaco, il Dolce Forno, il dentifricio Paperino’s, Barbie reginetta del ballo con dadi e segnalini, lo Zecchino d’oro col Mago Zurlì, l’indigestione di fichi a casa dei miei nonni, Rischiatutto e il Dott. Inardi, le imitazioni di Alighiero Noschese, il latte condensato, l’Ovomaltina, la cartella scolastica di similpelle rossa, il doposcuola, il Pongo, le vacanze in Cadore, il mare del Cinquale, i bigodini di mia madre, il cappottino da mezza stagione, il Crystal Ball, i trasferelli, gli uomini col borsello, l’acqua frizzante fatta con le bustine, Paolo Valenti che segnava la fine della domenica…

…chi continua?

mercoledì 31 ottobre 2007

La dieta hoplà

I primi freddi ti hanno fatto addentare qualche focaccia di troppo? Le corte giornate autunnali ti fanno curare la depressione a suon di Sachertorte e bomboloni alla crema? L'ago della bilancia è in rapida salita? Niente paura, è in arrivo la soluzione a tutti i tuoi problemi di accumuli calorici: la dieta hoplà, rapida e indolore. Anzi, indolore proprio per niente, ma si fa per dire. Il trucco sta nell'imbattersi nel respiro giusto al momento giusto, nello starnuto invadente, nel colpo di tosse sparato ad altezza naso-bocca dal vicino di bus o di ascensore e... hoplà, il gioco è fatto. Complimenti, avete appena preso a bordo il virus giusto. Sissignori, il virus che volenti o nolenti in termine di ventiquattro ore vi farà perdere quei rotolini faticosamente accumulati sui fianchi e vi renderà una linea perfetta da fare invidia alle top. Se poi nell'arco delle succitate ventiquattro ore avrete fatto innumerevoli corse in bagno, avrete avuto un mal di testa lancinante e sarete sopravvissute doloranti e febbricitanti, sdraiate nel letto in stato comatoso con un fiato che avrebbe steso un lupo mannaro, non impressionatevi perché è così che questa dieta funziona al meglio. E quando il virus, dopo avervi spremute come un limone, avrà traslocato da qualche altra parte e vi trascinerete al lavoro con i pantaloni più larghi di due taglie, il colorito del viso di una splendida nuance tra il grigio e il verde e due meravigliose occhiaie da Morticia Addams vi sentirete perfettamente a vostro agio, orgogliose del nuovo physique du rôle da indossare fino a tarda sera, nel più pieno stile Halloween. Dolcetto o scherzetto? Per quanto mi riguarda, assolutamente dolcetto. Devo recuperare un po' di calorie.

giovedì 25 ottobre 2007

Soprattutto


Ci sono momenti in cui penso di essere dalla parte del torto, di stare sbagliando clamorosamente, di aver preso la cantonata della mia vita. Quando le altre parlano di palestra, di colf, di parrucchiere tutti i sabati, dell'ultimo modello Vuitton. In altri invece sono sicura che la strada intrapresa sia quella giusta, quella che ha voluto il mio cuore, quella che non ce ne sarebbe potuta essere una diversa. Il mio essere mamma, completamente, visceralmente, appassionatamente. Più ancora di essere donna, di essere moglie, di esser me stessa, io sono madre. Forse è sbagliato annullarsi così, rinunciare a un qualsiasi tipo di futuro professionale più gratificante, ché già chiamarla carriera mi pare troppo, per scegliere, anzi volere, bramare, pretendere un part-time che mi ha fatta automaticamente diventare l’ultima ruota del carro. E forse il fatto che le nonne non possono essere arruolate, una vorrebbe ma non può, l’altra potrebbe ma non vuole, di fondo è solo una scusa che ho issato a mo’ di vessillo per giustificarmi. Il mondo è pieno di baby-sitter, tate, ragazze alla pari, scuole a tempo pieno e campus estivi a quindicine intere. Basta pagare. Ma sono convinta che la busta paga più grassa che un ruolo diverso mi avrebbe garantito sarebbe bastata a pagare i conti, un po’ di shopping firmato e la piega settimanale, certamente, ma non sarebbe bastata a far tacere il mio cuore. Non c’è bustarella che tenga per un cuore di mamma come il mio, che si crede di essere l'unico e l'indispensabile e che forse prima o poi si accorgerà che non ne valeva la pena, chissà. Ma che adesso è così felice di mettercela tutta, di barcamenarsi ogni giorno come un acrobata sul filo, di arrivare a sera col fiatone. Felice di sgridare, di baciare, di arrabbiarsi, di lavare, di ascoltare, di esserci. All’uscita da scuola, pioggia o sole che sia. Al ginocchio sbucciato. Al segreto confidato. Alla bugia scoperta. Alle matite spuntate. Alle bambole rotte. Alla buonanotte e al buongiorno. Sempre e comunque, soprattutto mamma.
E fanbrodo all'ultimo modello Vuitton.

mercoledì 24 ottobre 2007

Muffins diamante e cioccolato


Traendo ispirazione dalla torta con pepite di Diamanterosa, aggiungendo un po’ di yogurt magro, tanto per restare sul light, e un’idea di limone, ché l’agrume io lo infilo dappertutto, mi sono finalmente concessa una rilassantissima seduta di frulla-sbatti-incorpora-impasta, grembiule d’ordinanza e Louis Armstrong a illuminarmi il cuore. Una mezzora più tardi dal mio forno sono usciti questi simpatici muffins, profumati e prêt-à-porter. Al marito semiaddormentato sul divano, nello zaino della picci, in ufficio qui con me.

Ingredienti:
3 uova
250 gr. di ricotta
250 gr. di zucchero
125 gr. di yogurt al limone
300 gr. di farina
1 bustina lievito
1 tavoletta di cioccolato fondente o al latte

Preparazione:
Sbattere le uova con lo zucchero fino ad ottenere una crema omogenea, aggiungere lo yogurt e la ricotta ed amalgamare bene con la frusta. Versare pian piano la farina mescolando bene e infine il lievito. Spezzettare il cioccolato a pezzetti grossolani, versarlo nell’impasto e mescolare. Ungere con olio degli stampini da muffins e versarci il composto riempiendoli fino a 1 cm. dal bordo. Infornare in forno caldo a 190° per circa 25 minuti. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente e sformare. Servire tiepidi o freddi.

lunedì 22 ottobre 2007

Voglia di aromi

Mentre il vento gelido mi arrossa le guance e mi rendo conto che, Ottobre o no, i jeans non bastano a scaldarmi in questi giorni strani e bianchi che fan sembrare il Natale ben più vicino di quanto sia, mi accorgo di aver voglia di aromi. Speziati, dolciastri, pungenti, salati, croccanti. Quei profumi caldi e rassicuranti che in questa stagione seducono il mio olfatto altrimenti sintonizzato su odori diversi, bucato, erba, traffico, shampoo, temperamatite. In questa giornata rigida e grigia le mie narici cercano aromi di forno e di pasticceria, di trattoria e sala da tè, di ristorante stellato e cucina della nonna. Le mie mani fremono dalla voglia di impastare, mescolare, frullare e amalgamare. Incorporare, anche. Spadellare, forse. Sfornare, soprattutto. Davanti ai miei occhi scorrono i titoli di testa, nitidi e lucidi. Marrone caldo e avvolgente di cioccolato e castagne, arancio giocoso di zucca e carote, bianco sincero di zucchero e ricotta, giallo affettuoso di mele e limoni, rosso impavido di vino e filetto, oro fuso e brillante di miele e cannella. Appaiono pentole, padelle, stampi, pirofile e casseruole, impilate ordinatamente ma pronte a girare la loro scena, a scattare sotto i riflettori al minimo cenno del regista. Il buio avanza in questa giornata ormai giunta agli sgoccioli, il grembiule appeso al gancio, in fiduciosa attesa del suo ruolo di comparsa. Gli ingredienti ci sono tutti, tranne uno. Quello fondamentale e, ahimè, il più raro, il più prezioso. Neppure al supermercato più fornito l’ho trovato e anche alla drogheria un po’ retrò, quella con l’alto bancone in legno scuro, sapevano dove fosse finito. Il tempo, questo malandrino, che anche per oggi mi è scivolato tra le mani senza neppure chiedermi se avevo ancora bisogno di lui. Capisco che il primo attore si faccia desiderare alquanto, ma così, forse, è troppo. Anche per stasera, la mia casa di produzioni si accontenterà di girare uno spaghetti western al volo, tra le notizie del tg, un paio di telefonate e il diario da firmare. Ma non dispero, forse domani sarà il giorno giusto per un bel kolossal in cinemascope. Chissà.

venerdì 19 ottobre 2007

Chi cerca trova


Dopo alcuni anni di ricerche, migliaia di annunci letti e cerchiati, centinaia di telefonate, dozzine di abitazioni visitate e due trattative naufragate, è arrivata finalmente la casa che cercavamo. Che si trova anche molto più vicino di quello che pensassimo. E che è apparsa all’orizzonte da sola, senza annunci ritagliati dai quotidiani o cartelli fluorescenti appesi ai pali della luce, senza telefonate untuose di agenti immobiliari sempre più simili ad avvoltoi, senza visite di gruppo in orari scomodi e vie sconosciute da cercare sullo stradario. Niente di tutto ciò. Sono bastate invece poche parole, scambiate ormai tanti anni fa che non ricordavamo quasi più, e invece, per fortuna, c’è chi ha buona memoria. I vicini del piano di sopra, che si trasferiscono e vendono il loro appartamento. Non è che vi interessa ancora, nel qual caso, vediamo, potremmo fare una scala, demolire, murare, perché no. Ed io che non volevo cambiare zona, non volevo sradicarmi da questa parte della città che non è la mia perché non vi sono nata né cresciuta ma che mi piace così tanto. Che è quella dove mio marito rincorreva i suoi fratelli da piccolo, dove spingevo la carrozzina sotto il sole caldo e dove mia figlia ha imparato ad andare in bicicletta. Non volevo allontanarmi e sono stata accontentata. Anche troppo, visto che non cambierò neppure l’indirizzo. O meglio, quando arriverà l’esercito di muratori, carpentieri, idraulici, imbianchini ed architetti, l’indirizzo lo dovrò cambiare per forza e il solo pensiero mi terrorizza. Io che vado in crisi al semplice cambio degli armadi, che odio far bagagli, che al solo sentir nominare la parola trasloco mi vengono le bolle, dovrò chiudere e sigillare, scegliere e imballare, selezionare e portar via solo l’essenziale. L’essenziale? Se per un paio di settimane di vacanza riempio una station wagon, per alcuni mesi fuori casa non mi basterà un TIR. Ansia. Se poi penso anche a quella parolina semplice e corta che ultimamente è così di moda che è tutto un gran parlarne, il mutuo, sì il mutuo a tasso fisso, variabile o misto, quello che avevi giusto finito di pagare due anni fa, e che adesso si ripresenterà puntuale alla tua porta per un altro secolo o giù di lì, l’ansia non basta più e fa il suo ingresso trionfale l’attacco di panico. Terrore allo stato puro, ecco. Roba da non dormirci la notte, che al confronto Dario Argento in prima serata mi farebbe da sonnifero. Occavolo, ma siamo proprio sicuri che la casa più grande ci volesse davvero? Mia nonna mi avrebbe saggiamente risposto: l’hai voluta la bicicletta? …pedala!

giovedì 18 ottobre 2007

C'è posta per me


E’ arrivata per posta, dalle nebbiose terre inglesi, accompagnando una lettera triste per la verità, ché quando qualcuno ci lascia per sempre, anche dopo una vita lunga e felice, vi è sempre tristezza, cieli grigi e sguardi velati. Ma, come un raggio di luce che improvvisamente squarcia le nubi e brilla sul mondo bagnato e abbacchiato, come un abbraccio consolatorio che ti spinge a proseguire e a guardare oltre, c'erano queste parole di augurio, così belle che mi hanno fatto tremare il cuore. Un'antica benedizione irlandese, autore sconosciuto, come spesso accade quando ci si imbatte in versi semplici ma così densi di significato. Parole benauguranti dunque, che mi hanno resa felice e che dispenso a mia volta con somma gioia. Un augurio alla sottoscritta Gallina, che troppo spesso si complica la vita rincorrendo sogni e castelli. Un augurio al suo Galletto, consorte e compagno di vita, di sale, pepe e battibecchi. Un augurio alla loro meravigliosa Pulcina, che cresce svelta, briccona, furba e dolce come il miele. Un augurio a tutta la famiglia Coccodé, nella versione allargata, sempre amata, a volte odiata, frequentemente sopportata, mai rifiutata e molto spesso incompresa. E infine un augurio a tutto il pollaio, a tutti quelli che passano di qui, per caso o per diletto, che razzolano, svolazzano e magari depongono anche un uovo.

A Gaelic Benediction

May the road rise to meet you
may the wind be always at your back
may the sun shine warm upon your face
the rains falls soft upon your fields
and until we meet again
may God hold you in the palm of his hand.

May God be with you and bless you
may you see your children’s children
may you be poor in misfortune
rich in blessings
may you know nothing but happiness.

From this day forward
may the road rise to meet you
may the wind be always at your back
may the warm rays of sun fall upon your home
and may the hand of a friend always be near.

May green be the grass you walk on
may blue be the skies above you
may pure be the joys that surround you
may true be the hearts that love you.

lunedì 15 ottobre 2007

Il giorno dei lupetti


Che bellissima giornata. Semplice, pura, rara. E proprio per questo meravigliosa. Di quelle giornate che iniziano presto, quasi all'alba, che l'esser mattinieri è caratteristica di ogni buon branco che si rispetti. E quello dei lupetti non può certo essere da meno. Di quelle che vecchi jeans e comode sneakers bastano e avanzano, felpa legata in vita e capelli selvatici tenuti a bada da un elastico, da mamma lupa per l'appunto. Di quelle da zaino in spalla, vecchia coperta da buttare in terra e pranzo al sacco in quantità industriale, che l'appetito non mancherà di certo tra i giovani lupacchiotti, figuriamoci tra i più datati. Di quelle che fortuna che c'è il sole e anche una brezza leggera tanto per ricordarci che signori, perbacco, siamo in Autunno. Di quelle che la picci non la tieni nel letto un minuto di più, tanta è l'eccitazione e la voglia di partecipare, di scoprire, di giocare, di fare il suo ingresso. Di quelle che inizia a cinguettare alle sette del mattino e smetterà solo a tarda sera, testa ciondolante nel sedile di dietro, arruffata, sporca, sudata e infine addormentata. E così ricca dentro. Di quelle che si chiacchiera e si ride con chi si conosce già e poi anche con gli altri, che dopo cinque minuti è come se ci si conoscesse da una vita. Di quelle che l'indice impazzisce e inizia a scattare a raffica sull'otturatore perché ogni momento sembra più intenso di quello appena trascorso, fammi vedere com'è venuta, guardami, levati le dita dal naso. Di quelle che la torta salata che hai preparato per il concorso di cucina delle mamme lupe sfigura un po' in mezzo a certi manicaretti da rivista, ma nella sua allegra semplicità è lì che sorride a tutti e ammicca invitante, assaggiami dai che son buona anch’io. Di quelle che quanto tempo che non mi divertivo così, che stavo bene con gli altri, che non assaporavo questa gioia fatta di piccole, piccolissime cose. Impalpabili quasi. Di quelle che ti auguri tornino presto, prestissimo, speriamo, chissà. Di quelle che strabocchi di contentezza per l'allegria di tua figlia, per l'amore e la passione che traspare dalle parole, dai gesti e dal cuore dei suoi nuovi capi, per la fortuna di averli incontrati sul tuo e sul suo cammino. Di quelle che, mannaggia, avessi una trentina d'anni di meno, quel cappellino lo indosserei proprio volentieri. Di quelle che si impara da piccoli a diventare grandi. Ma anche di quelle che si impara da grandi a ritornare piccoli.

giovedì 11 ottobre 2007

La sindrome dello scoiattolo


Ci risiamo. Non appena la colonnina di mercurio comincia a scendere, le giornate iniziano a farsi più corte e fanno il loro ingresso sulla scena eserciti di golfini e scaldacuori, io vengo invariabilmente colta dalla sindrome dello scoiattolo. Il mio inconscio, convinto che il letargo sia alle porte, inizia ad inviare segnali allarmanti al mio cervello, il quale fa scattare la necessità impellente ed irrefrenabile di accumulare calorie, che l’inverno è lungo, il gelo incombe e le scorte scarseggiano. Da lì alla sensazione di fame nera il passo, purtroppo, è breve. L’appetito cresce a dismisura, il mio stomaco sembra perennemente vuoto e reclama a gran voce una farcitura di qualsiasi tipo, ettolitri di acquolina iniziano a zampillare nella mia bocca appena sento solo lontanamente nominare parole tipo focaccia, pizza o patatine e vengo colta da raptus improvvisi che mi fanno scassinare il frigorifero alle ore più impensate. Insomma, quello che l’equilibrata dieta primaverile mi aveva fatto raggiungere, riuscendo a farmi rientrare in quei bellissimi pantaloni bianchi che sonnecchiavano sul ripiano dell’armadio da un paio di stagioni, è a serio rischio di finire brutalmente nel secchio. Potrei anche infischiarmene e buttarmi a capofitto in una ciotola di noccioline, ma in questo caso allora gradirei anche approfittare di un bel letargo. Sissignori. Infilarmi sotto il piumone con una bella scorta di Pringles, Fonzies e focaccine assortite e poltrire fino a Marzo inoltrato. Questa sì che sarebbe una giusta contropartita. E se al risveglio i pantaloni bianchi non mi entrassero più, pazienza, sarebbe il loro turno di letargo fuori stagione.

martedì 9 ottobre 2007

Ti ringrazio


Mi ha fatto piacere incontrarti, rivederti, sentirmi nuovamente accanto a te. Era un bel po’ di tempo che non venivo a casa tua, che non ascoltavo le tue parole, che non avvertivo la tua presenza. Nei miei pensieri ci sei sempre stato e questo tu lo sai bene. Sei nelle gocce di rugiada che imperlano i petali dei fiori, nei raggi di sole che scaldano i cuori, nello sguardo un po’ appannato di mia figlia quando si sveglia al mattino, nelle mie mani che impastano, scrivono, amano. Tu ci sei sempre e anche io questo lo so bene. Come so bene di essere un po’ pigra e sempre troppo piena di cose da fare. E così rimando spesso, al giorno dopo, alla settimana seguente, al mese successivo. Ma ti penso. Come due vecchi amici del cuore e dell’anima che non si vedono spesso e si telefonano solo raramente, nelle occasioni speciali, ma che sanno di esserci, l’uno per l’altro, in qualsiasi momento, sempre. Forse non basta, ma io sono fatta così. Domenica però sono stata felice di essere lì a casa tua, seduta sulla panca di legno, mentre le labbra ricordavano perfettamente parole da troppo tempo dimenticate e il mio sguardo ti cercava nella luce che filtrava obliqua dalle vetrate policrome e cadeva sulla testolina bionda di mia figlia che, seduta in prima fila, iniziava quello stesso percorso che anche io iniziai tanti anni fa. E non credere che se non vengo più spesso da te sia perché ho dimenticato. Ma so che anche questo tu lo sai bene. Ed è per questo che ti ringrazio, Gesù.

venerdì 5 ottobre 2007

I love you cialda


La mia ciambella di salvataggio di metà mattina, quando l’occhio comincia a farsi vitreo e il livello di attenzione cala drammaticamente come il livello del Po a ferragosto. La mia ancora di salvezza, che mi rimette in carreggiata quando comincio a sbandare in curva peggio di una A112 Abarth al Rally degli Abeti. Il mio antivirus personale, pronto ad intervenire al primo accenno di sbadiglio nel bel mezzo di una cartella Excel o di un improvviso attacco di ipnosi durante infinite schermate Windows. E' lei, la mia coccola quotidiana, che occhieggia invitante dal cassetto della mia scrivania, vezzosa e modaiola col suo abitino rosso e argento. E' lei, tonda e paffutella, che spande nell'aria quell'aroma intenso e inconfondibile di arabica a media tostatura. E' lei, la mia amatissima cialda, che una volta all'interno del suo box doccia personale, mi regalerà un nettare caldo e profumato, scuro, denso e cremoso al punto giusto. Il mio caffè quotidiano, momento prezioso, rito sacrosanto e indispensabile, assolutamente irrinunciabile.

giovedì 4 ottobre 2007

Cake alle olive e speck


Seguendo parzialmente una ricetta che avevo trovato qualche tempo fa e aggiungendoci un po’ del mio, ieri ho sfornato questo fragrante cake salato, che si è rivelato semplice e gustoso, ottimo come piatto unico da servire con una fresca insalata di misticanza e un pinzimonio di crudité. L’ho immaginato anche su una allegra tovaglia a quadri durante una scampagnata o facente parte del buffet di una simpatica cena in piedi e trovo che in entrambi i casi non si sentirebbe affatto fuori posto.

Ingredienti:
250 gr. di farina
4 uova
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di olio extra vergine di oliva
2 cucchiai di senape medio-forte
100 gr. di groviera grattugiato
150 gr. di speck piuttosto morbido, a dadini
200 gr. di olive verdi snocciolate
1 bustina di lievito
pepe verde

Preparazione:
In una ciotola versare il vino bianco e sciogliervi dentro la senape, aggiungere l’olio e mescolare bene. Incorporare le uova e con l’aiuto di una frusta amalgamare il tutto. Macinare del pepe verde e mescolare, senza salare. Versare la farina e infine il lievito. Quando l’impasto sarà ben cremoso, aggiungere i dadini di speck, le olive e il groviera grattugiato. Foderare uno stampo da plum cake con carta da forno imburrata e versarci l’impasto. Cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti. Servire tiepido.

martedì 2 ottobre 2007

Per sempre poesia


Mamma, avrei voglia di scrivere un testo poetico, hai detto. I tempi cambiano, si sa, e per sottolinearlo e confonderci un po’ la scuola cambia anche il nome alle cose. Sui miei quaderni, i pensierini crescendo si trasformavano in temi. Adesso, grandi o piccoli che siano, son tutti testi. E i quaderni, ingrassati da indigestioni di vocali e consonanti, son diventati quadernoni. Anche le poesie hanno cambiato nome, con buona pace di Pascoli e Ungaretti, trattasi adesso di testi poetici. Un testo poetico?, ti ho risposto, che bella cosa. E su cosa lo vorresti scrivere?, ti ho chiesto abbracciandoti. Sui libri, mamma, mi piacciono così tanto che vorrei scrivere cosa penso di loro. Ho delle parole dentro che avrei voglia di far uscire fuori, hai detto guardandomi seria. Fallo allora, fallo figlia mia, ti ho detto mentre il mio cuore saltava un battito, che le parole e i pensieri non si devono mai tenere chiusi. Vanno liberati, come uccellini chiusi in gabbia, da far volare in alto fino a quando incontrano il blu del cielo. E tu l’hai fatto, un po’ emozionata e un po’ stupita da ciò che stava uscendo dal tuo cuore per prender forma sulla carta. La tua prima poesia. Che ti auguro di essere la prima di una lunga serie, che ti aiuterà a vedere, a sentire, a percepire, ad ascoltare, a gustare e ad amare la vita che ti scorrerà tra le mani. Mi sento felice mamma, mi hai detto poi, come dopo che si è fatta una cosa bella. L’hai fatta, amore mio, l’hai fatta. In una luminosa mattina di fine Settembre sul lungomare di Capraia, hai fatto una cosa bellissima. E tua madre, attonita, ancora stenta a crederlo. E per lei, si tratterà per sempre di poesia.

"Un libro è "

Un libro è una gioia
un mare che scorre dentro di te
un fiocco di neve che cade sul tuo cuore.
Un libro non ti fa mai sentire sola
è un sentimento che ti accompagna
tristezza, paura, amore.
Un libro è una fata
che con la sua bacchetta magica
rende incantevole quello che leggi.
Un libro è tutto quello che pensi
che ti adora
e che non ti abbandonerà mai.

(il mio pulcino di 8 anni – 30 Settembre 2007, Isola di Capraia
)

giovedì 27 settembre 2007

I giorni della cipolla

E’ tutta la mattina che indosso questo golfino per poi togliermelo nuovamente poco dopo. Un momento rabbrividisco, con la punta delle dita che si fanno fredde mentre imperterrite digitano sulla tastiera, un momento dopo ho caldo, mi manca l’aria, e getto via l’indumento indossato solo pochi minuti prima. E’ l’effetto cipolla, e direi che da oggi ci siamo entrati proprio dentro. Con sbalzi repentini, come l’umore che mi accompagna in queste giornate, la temperatura cambia velocemente e ci si deve adeguare. Stamani sono uscita di casa stratificata come un millefoglie, dalla canotta al giubbotto, passando per maglietta, golfino e pashmina. Se tra un paio d’ore splenderà il sole mi ci vorrà una valigia per tirarmi dietro tutta questa roba. Ma si sa, l’autunno porta con se tante sorprese, non per niente i nativi americani questa stagione multicolore e multitepore la chiamavano estate. Così, in questi giorni che è ancora presto per il cambio degli armadi ma che qualcosina sarebbe proprio il caso di cominciare a tirarla fuori, sulla poltroncina di camera mia staziona di tutto, dal cotone alla lycra, dalla felpa al velour, dal lino alla flanella, mentre nelle vicinanze occhieggiano impavide infradito e corazzatissime sneakers. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Basta solo stare attenti che l’effetto cipolla non si propaghi anche agli occhi, che l’autunno porta sempre con se un po’ di malinconia e capita che le lacrime cadano giù senza chiederti il permesso, come le foglie del mio albicocco cha hanno già deciso di traslocare sul prato. In quel caso avrai fatto bene ad avere ancora a portata di mano gli occhiali da sole estivi, quelli belli scuri, e i fazzoletti di cotone spesso, quelli da raffreddori invernali. Ti serviranno entrambi.

mercoledì 26 settembre 2007

Memiamoci un po'

Ricevo comunicazione da Giuliana, la simpaticissima Mamma in Corriera, di essere stata nominata per un meme. ...un che? Cosa sarebbe un meme? Il meme, apprendo, è la nuova moda dilagante tra bloggers e, per essere una che è sbarcata su questi lidi da soli tre mesi, mi sento profondamente onorata da questo invito. Insomma, mi fa sentire parte integrante della squadra. Quindi, ma sì, memiamoci un po', anche se so già che non sarà impresa facile. Innanzitutto, le regole: bisogna parlare di otto fatti a caso che riguardino se stessi in un post dedicato, scegliere altre otto persone da taggare e dire loro che sono taggate (e, ovviamente, ricordarsi di postare le regole). Dopodiché, partenza per il meme della Vecchia Gallina:

1. Da piccola ho sbavato per anni per entrare in gruppo scout, ma nella zona dove abitavo non ce n’erano, così mi rassegnai ad accettare come sostituzione l’iscrizione al Club delle Giovani Marmotte, fantasticando di camminate nei boschi in compagnia di Qui, Quo, Qua e attenta supervisione del Gran Mogol. Che somma delusione quando scoprii che non spedivano né il cappello da Davy Crockett né venivano effettuate gite o escursioni. Insomma, una gran fregatura. La settimana scorsa ho ricevuto una telefonata dove mi è stato confermato che mia figlia è stata accolta nel gruppo scout dove era in lista d’attesa da due anni. Lei ne è stata felicissima. Ma credo che la piccola mai-scout che alberga in me lo sia stata ancora di più. Chiamiamola una specie di rivincita.

2. Nipote e figlia di cacciatori, fin dalla più tenera età sono stata a contatto con tordi da spennare, lepri da cuocere e fagiani da far frollare. Animali che rispetto da vivi, ma che amo ancora di più arrostiti su uno spiedo o trasformati in sugo denso e saporito da versare sulle pappardelle. Con me i proclami della lega anticaccia non attaccano: l’uomo è sempre stato cacciatore, fin dall’epoca di lance e fionde. E così sia. Da piccolina avevo un’abitudine particolare: quando mio padre tornava a casa dalla caccia il sabato mattina e depositava sul tavolo di cucina gli uccellini, ovviamente morti, io li osservavo attentamente e poi sceglievo il più carino, il quale si sarebbe meritato un trattamento di tutto riguardo. Mentre i suoi compagni di sventura venivano messi tutti insieme in un sacchetto in fondo al frigorifero, il mio prescelto avrebbe goduto di un lettino su misura appositamente creato dalla sottoscritta con carta da cucina, da adagiarsi su uno dei ripiani alti del frigo. Durante la sua permanenza al freddo sarei andata ad accarezzarlo più di una volta, dopodiché, una volta che mia madre avesse decretato che era giunto il momento della spennatura, il mio favorito avrebbe goduto del trattamento direttamente dalle mie manine. Io ne decidevo poi la posizione sullo spiedo, in modo da poterlo riconoscere, e sempre io naturalmente infine me lo mangiavo, rosicchiando gli ossicini uno per uno. Ero un po’ macabra? Forse. Ma tuttora, quando ci ripenso, sento solo tanta dolcezza.

3. Scrivo, da sempre, con la penna blu, meglio se a inchiostro liquido e con punta 0.5, anche se la vecchia Bic blu va lasciata stare. Non sopporto invece le penne nere. A meno che non abbia una gran fretta, se mi capita tra le mani una penna nera, devo cambiarla con una blu.

4. Ho studiato per lavorare nel turismo e, nonostante la mia carriera professionale abbia poi seguito un percorso ben diverso, la passione per organizzare i viaggi mi è rimasta tutta. Così, sono diventata l’agente di viaggio della mia famiglia, una specie di personal-trainer delle vacanze fai da te. Ogni anno, nel cuore dell’inverno, inizio a programmare le vacanze dell’estate successiva: pensare alle destinazioni, cercare informazioni, buttar giù itinerari, pianificare tappe e spostamenti. All’inizio è tutto un calderone di date, nomi, luoghi, il momento in cui tiro fuori tutta la mia creatività e il mio entusiasmo. Poi, pian piano il viaggio prende forma fino a diventare la nostra vacanza. E che soddisfazione quando al ritorno posso constatare che tutto è filato liscio come l’olio, che tempi e ritmi erano stati calibrati a dovere e che la bellezza dei luoghi visitati era andata oltre ogni previsione.

5. Sono una brava cercatrice di funghi. Dopo anni di uscite all’alba nel bosco con mio marito, ottimo cercatore, ho imparato la tecnica e affinato l’occhio. L’unica cosa che ancora proprio non mi va giù di questa pratica, che di per se sarebbe anche divertente, è il fatto di diversi obbligatoriamente alzare dal letto in orario antelucano. La mattina ha l’oro in bocca, e su questo non vi è alcun dubbio, ma chi l’ha detto che la mattina debba per forza iniziare alle cinque?

6. Adoro la pizza. Posso fare follie per una Margherita con doppia farcitura di mozzarella di bufala o una Napoli ricoperta da tante acciughe e capperi. Che poi mi farà venire una sete tremenda, ma questa è un’altra storia.

7. Sono una collezionista incallita, o meglio ero, perché adesso non ho più molto tempo per coltivare questa passione. Ho iniziato con francobolli e cartoline, seguiti da monete, adesivi e carte da lettera. Ho proseguito con i campioncini di profumo, continuato con le saponettine degli alberghi, terminato con i calici di cristallo, rigorosamente diversi gli uni dagli altri.

8. Come ogni buona Vergine che si rispetti, sono maniaca dell’ordine e della precisione, anche troppo a volte. Odio vedere oggetti fuori posto o quadri appesi storti alle pareti. I libri impilati devono avere gli angoli perfettamente combacianti, le scarpe nel ripostiglio devono essere appaiate, gli utensili sul bancone della cucina obbligatoriamente al loro posto. Se invece c'è polvere sulle mensole, uno schizzo di sugo sul piano cottura o gocce d'acqua sullo specchio del bagno, non importa, non mi danno assolutamente fastidio e per quanto mi riguarda potrebbero restarci giorni interi. Lo so, sono alquanto strana.

E adesso passiamo alle nominations. Sperando di non essere mandata al diavolo... nomino con piacere la cara Diamanterosa nel suo splendido campo di Fragole Infinite; nomino la neo-mamma Ruben sperando che si decida a tornare nel suo Patio Andaluso abbandonando per qualche minuto poppate e pannolini; nomino Sandra del Tocco di Zenzero sperando che non mi mandi davvero visto che è in pieno trasloco; nomino Fux dalle mani di fata sperando che lei invece lo abbia finito il trasloco (ma traslocano tutti qui?); nomino Adrenalina ottima cuoca e ottima madre; nomino Koala dal suo angolo americano dove regna una principessa di nome Alinuska; nomino la carissima Marzo sperando che le serva da passatempo scacciapensieri nei suoi Ritagli Quotidiani e infine nomino la simpaticissima Chris the Angel nei suoi Passaggi Silenziosi. A voi la parola!

martedì 25 settembre 2007

Il sole va a dormire


La salita alla vetta della duna si rivelava più facile del previsto, aiutata da quasi duecento gradini, che se da un lato ne sciupavano un pochino quell’aspetto da duna del Sahara venuta a cercar fortuna in Europa, dall’altro aiutavano quelli come me, che da quando mi è venuta l’asma sbuffo e soffio come un mantice solo a fare due piani di scale. Mia figlia se li faceva di corsa, allegra e impaziente come solo a quell’età si può essere, voltandosi ogni tanto per vedere se stavo salendo, con l’occhio indagatore di quella che non ci crede che ti sia fermata per fare una foto ma bensì per riprendere fiato. A onor del vero, diciamo pure che mi fermavo per entrambe le ragioni. Il luogo magico che mi circondava mi aveva fatto venire sia un po’ di affanno sia quel fremito inconfondibile dell’indice destro quando non riesce a trattenersi dal premere continuamente sull’otturatore. Ogni metro che salivo, la prospettiva cambiava e sembrava ancora più bella, dovevo fotografarla, perbacco. Mio marito procedeva in testa alla cordata, con lo stesso passo svelto e sicuro di quando si arrampica sulle rocce dolomitiche, lanciando sguardi ammirati tutt’intorno, attento a non far trapelare troppo entusiasmo, che non sarebbe stato certo da lui, eterno brontolone. Man mano che salivamo il vento salmastro soffiava più forte, scompigliandomi i capelli e ingarbugliandomi i pensieri già piuttosto confusi: non sapevo bene cosa aspettarmi e cosa avrei visto una volta lassù. L’impazienza era una presenza tangibile, aleggiava nell’aria, non solo nelle gambe di mia figlia che saltellavano sui gradini come quelle di uno stambecco. L’avvertivo anche io, distinta e sottile insinuarsi sotto la mia pelle, increspandomi le labbra in un lieve sorriso all’idea di quello che avremmo condiviso di lì a breve. Come quando si trovano i pacchetti sotto l’albero il mattino di Natale e si muore dalla voglia di scartarli per vedere cosa c’è dentro. Sono sicura che anche tutte le altre persone che stavano salendo con noi stessero avvertendo le medesime sensazioni. C’era un sentimento nuovo che ci accomunava tutti, in barba alle differenze di lingua e di età, il senso di profondo rispetto per quello spettacolo che la duna e l’oceano ci avrebbero offerto, immutato da milioni di anni ma non per questo meno emozionante: avremmo accompagnato il sole a dormire. Dopo l’ultimo scalino, il mio sguardo si perse e si innamorò all’istante di ciò che ci circondava: il crinale si allungava accanto a noi, una montagna di sabbia dorata lunga quasi tre chilometri, sospesa tra il verde sconfinato della foresta delle Landes e il blu immenso dell’oceano Atlantico, centoventi metri sotto di noi. I miei piedi nudi sprofondavano nel tepore della sabbia, impalpabile come borotalco, mentre percorrevamo il crinale, increduli e stupefatti da tanta bellezza. Da un lato quella enorme e infinita distesa blu, dalla superficie brillante arricciata da una miriade di crestine bianche, interrotta soltanto dalla piatta sagoma verdastra del Banc d’Arguin, proprio davanti a noi, ultima propaggine di terra semisommersa prima di arrivare alle coste americane, invisibili laggiù in fondo, ben oltre l’orizzonte. Dall’altro questa cattedrale di sabbia e di vento, solcata da milioni di impronte di mani, di piedi e di cuori, che si ergeva fiera a difesa del verde circostante, compatto e interminabile. Sopra, l’azzurro accecante del cielo estivo che mentre accompagnava il disco infuocato del sole nella sua lenta discesa, assumeva gradualmente tutte le sfumature del celeste, del blu, dell’indaco, fino al viola, al grigio, al nero. E lui, l’interprete principale, fiero del suo ruolo di prim’attore, si beava dei nostri sguardi rapiti e ammutoliti mentre si prodigava in un favoloso tramonto, assumendo tonalità sempre più accese. Ci accoccolammo sulla duna, mentre lungo tutto il crinale tantissime altre persone facevano altrettanto, e tenendo i piedi sepolti nella sabbia tiepida al riparo dal vento che stava diventando freddo, accompagnammo il sole con i nostri sguardi mentre si preparava lentamente ad una notte di riposo. Non avrei mai dimenticato lo sguardo meravigliato di mia figlia mentre assisteva con stupore al primo tramonto della sua vita, aspettandosi quasi di avvertire lo sfrigolio della palla infuocata quando avesse toccato l’acqua, mentre in silenzio ci tenevamo per mano. Non avrei mai dimenticato l’applauso, immediato e fragoroso, sgorgato simultaneamente e spontaneamente da centinaia di mani, testimoni dello stesso stupefacente momento, quando anche l’ultimo minuscolo pezzettino arancione fu inghiottito dal mare. Ci rialzammo un po’ intorpiditi, un po’ incapaci di accettare che una cosa così semplice potesse essere così bella, apprestandoci alla via del ritorno, mentre il vento si faceva pungente e i colori si smorzavano sempre più. La ripida discesa di sabbia incitava ai tuffi, alle capriole, all’obbligatoria corsa su una pendenza degna di una pista nera, che mia figlia e suo padre si fecero tutta d’un fiato ridendo come matti. Io, nel pieno rispetto delle mie preferenze sciistiche, scelsi il lato pista rossa, correndo giù allegra e scanzonata, trattenendo dentro di me quel susseguirsi di emozioni fantastiche che mi avevano accompagnata per tutta la serata. I ricordi sono così. Quando ti assalgono li devi far scorrere dietro ai tuoi occhi chiusi come un filmino in Super 8, traballante e un po’ sgranato, assaporando e rivivendo luoghi, persone, fatti, odori e colori. Oggi mi sono ricordata di una serata estiva, unica ed indimenticabile, quando rimboccammo le coperte al sole che andava a dormire dalla Dune du Pyla.

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