mercoledì 31 ottobre 2007

La dieta hoplà

I primi freddi ti hanno fatto addentare qualche focaccia di troppo? Le corte giornate autunnali ti fanno curare la depressione a suon di Sachertorte e bomboloni alla crema? L'ago della bilancia è in rapida salita? Niente paura, è in arrivo la soluzione a tutti i tuoi problemi di accumuli calorici: la dieta hoplà, rapida e indolore. Anzi, indolore proprio per niente, ma si fa per dire. Il trucco sta nell'imbattersi nel respiro giusto al momento giusto, nello starnuto invadente, nel colpo di tosse sparato ad altezza naso-bocca dal vicino di bus o di ascensore e... hoplà, il gioco è fatto. Complimenti, avete appena preso a bordo il virus giusto. Sissignori, il virus che volenti o nolenti in termine di ventiquattro ore vi farà perdere quei rotolini faticosamente accumulati sui fianchi e vi renderà una linea perfetta da fare invidia alle top. Se poi nell'arco delle succitate ventiquattro ore avrete fatto innumerevoli corse in bagno, avrete avuto un mal di testa lancinante e sarete sopravvissute doloranti e febbricitanti, sdraiate nel letto in stato comatoso con un fiato che avrebbe steso un lupo mannaro, non impressionatevi perché è così che questa dieta funziona al meglio. E quando il virus, dopo avervi spremute come un limone, avrà traslocato da qualche altra parte e vi trascinerete al lavoro con i pantaloni più larghi di due taglie, il colorito del viso di una splendida nuance tra il grigio e il verde e due meravigliose occhiaie da Morticia Addams vi sentirete perfettamente a vostro agio, orgogliose del nuovo physique du rôle da indossare fino a tarda sera, nel più pieno stile Halloween. Dolcetto o scherzetto? Per quanto mi riguarda, assolutamente dolcetto. Devo recuperare un po' di calorie.

giovedì 25 ottobre 2007

Soprattutto


Ci sono momenti in cui penso di essere dalla parte del torto, di stare sbagliando clamorosamente, di aver preso la cantonata della mia vita. Quando le altre parlano di palestra, di colf, di parrucchiere tutti i sabati, dell'ultimo modello Vuitton. In altri invece sono sicura che la strada intrapresa sia quella giusta, quella che ha voluto il mio cuore, quella che non ce ne sarebbe potuta essere una diversa. Il mio essere mamma, completamente, visceralmente, appassionatamente. Più ancora di essere donna, di essere moglie, di esser me stessa, io sono madre. Forse è sbagliato annullarsi così, rinunciare a un qualsiasi tipo di futuro professionale più gratificante, ché già chiamarla carriera mi pare troppo, per scegliere, anzi volere, bramare, pretendere un part-time che mi ha fatta automaticamente diventare l’ultima ruota del carro. E forse il fatto che le nonne non possono essere arruolate, una vorrebbe ma non può, l’altra potrebbe ma non vuole, di fondo è solo una scusa che ho issato a mo’ di vessillo per giustificarmi. Il mondo è pieno di baby-sitter, tate, ragazze alla pari, scuole a tempo pieno e campus estivi a quindicine intere. Basta pagare. Ma sono convinta che la busta paga più grassa che un ruolo diverso mi avrebbe garantito sarebbe bastata a pagare i conti, un po’ di shopping firmato e la piega settimanale, certamente, ma non sarebbe bastata a far tacere il mio cuore. Non c’è bustarella che tenga per un cuore di mamma come il mio, che si crede di essere l'unico e l'indispensabile e che forse prima o poi si accorgerà che non ne valeva la pena, chissà. Ma che adesso è così felice di mettercela tutta, di barcamenarsi ogni giorno come un acrobata sul filo, di arrivare a sera col fiatone. Felice di sgridare, di baciare, di arrabbiarsi, di lavare, di ascoltare, di esserci. All’uscita da scuola, pioggia o sole che sia. Al ginocchio sbucciato. Al segreto confidato. Alla bugia scoperta. Alle matite spuntate. Alle bambole rotte. Alla buonanotte e al buongiorno. Sempre e comunque, soprattutto mamma.
E fanbrodo all'ultimo modello Vuitton.

mercoledì 24 ottobre 2007

Muffins diamante e cioccolato


Traendo ispirazione dalla torta con pepite di Diamanterosa, aggiungendo un po’ di yogurt magro, tanto per restare sul light, e un’idea di limone, ché l’agrume io lo infilo dappertutto, mi sono finalmente concessa una rilassantissima seduta di frulla-sbatti-incorpora-impasta, grembiule d’ordinanza e Louis Armstrong a illuminarmi il cuore. Una mezzora più tardi dal mio forno sono usciti questi simpatici muffins, profumati e prêt-à-porter. Al marito semiaddormentato sul divano, nello zaino della picci, in ufficio qui con me.

Ingredienti:
3 uova
250 gr. di ricotta
250 gr. di zucchero
125 gr. di yogurt al limone
300 gr. di farina
1 bustina lievito
1 tavoletta di cioccolato fondente o al latte

Preparazione:
Sbattere le uova con lo zucchero fino ad ottenere una crema omogenea, aggiungere lo yogurt e la ricotta ed amalgamare bene con la frusta. Versare pian piano la farina mescolando bene e infine il lievito. Spezzettare il cioccolato a pezzetti grossolani, versarlo nell’impasto e mescolare. Ungere con olio degli stampini da muffins e versarci il composto riempiendoli fino a 1 cm. dal bordo. Infornare in forno caldo a 190° per circa 25 minuti. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente e sformare. Servire tiepidi o freddi.

lunedì 22 ottobre 2007

Voglia di aromi

Mentre il vento gelido mi arrossa le guance e mi rendo conto che, Ottobre o no, i jeans non bastano a scaldarmi in questi giorni strani e bianchi che fan sembrare il Natale ben più vicino di quanto sia, mi accorgo di aver voglia di aromi. Speziati, dolciastri, pungenti, salati, croccanti. Quei profumi caldi e rassicuranti che in questa stagione seducono il mio olfatto altrimenti sintonizzato su odori diversi, bucato, erba, traffico, shampoo, temperamatite. In questa giornata rigida e grigia le mie narici cercano aromi di forno e di pasticceria, di trattoria e sala da tè, di ristorante stellato e cucina della nonna. Le mie mani fremono dalla voglia di impastare, mescolare, frullare e amalgamare. Incorporare, anche. Spadellare, forse. Sfornare, soprattutto. Davanti ai miei occhi scorrono i titoli di testa, nitidi e lucidi. Marrone caldo e avvolgente di cioccolato e castagne, arancio giocoso di zucca e carote, bianco sincero di zucchero e ricotta, giallo affettuoso di mele e limoni, rosso impavido di vino e filetto, oro fuso e brillante di miele e cannella. Appaiono pentole, padelle, stampi, pirofile e casseruole, impilate ordinatamente ma pronte a girare la loro scena, a scattare sotto i riflettori al minimo cenno del regista. Il buio avanza in questa giornata ormai giunta agli sgoccioli, il grembiule appeso al gancio, in fiduciosa attesa del suo ruolo di comparsa. Gli ingredienti ci sono tutti, tranne uno. Quello fondamentale e, ahimè, il più raro, il più prezioso. Neppure al supermercato più fornito l’ho trovato e anche alla drogheria un po’ retrò, quella con l’alto bancone in legno scuro, sapevano dove fosse finito. Il tempo, questo malandrino, che anche per oggi mi è scivolato tra le mani senza neppure chiedermi se avevo ancora bisogno di lui. Capisco che il primo attore si faccia desiderare alquanto, ma così, forse, è troppo. Anche per stasera, la mia casa di produzioni si accontenterà di girare uno spaghetti western al volo, tra le notizie del tg, un paio di telefonate e il diario da firmare. Ma non dispero, forse domani sarà il giorno giusto per un bel kolossal in cinemascope. Chissà.

venerdì 19 ottobre 2007

Chi cerca trova


Dopo alcuni anni di ricerche, migliaia di annunci letti e cerchiati, centinaia di telefonate, dozzine di abitazioni visitate e due trattative naufragate, è arrivata finalmente la casa che cercavamo. Che si trova anche molto più vicino di quello che pensassimo. E che è apparsa all’orizzonte da sola, senza annunci ritagliati dai quotidiani o cartelli fluorescenti appesi ai pali della luce, senza telefonate untuose di agenti immobiliari sempre più simili ad avvoltoi, senza visite di gruppo in orari scomodi e vie sconosciute da cercare sullo stradario. Niente di tutto ciò. Sono bastate invece poche parole, scambiate ormai tanti anni fa che non ricordavamo quasi più, e invece, per fortuna, c’è chi ha buona memoria. I vicini del piano di sopra, che si trasferiscono e vendono il loro appartamento. Non è che vi interessa ancora, nel qual caso, vediamo, potremmo fare una scala, demolire, murare, perché no. Ed io che non volevo cambiare zona, non volevo sradicarmi da questa parte della città che non è la mia perché non vi sono nata né cresciuta ma che mi piace così tanto. Che è quella dove mio marito rincorreva i suoi fratelli da piccolo, dove spingevo la carrozzina sotto il sole caldo e dove mia figlia ha imparato ad andare in bicicletta. Non volevo allontanarmi e sono stata accontentata. Anche troppo, visto che non cambierò neppure l’indirizzo. O meglio, quando arriverà l’esercito di muratori, carpentieri, idraulici, imbianchini ed architetti, l’indirizzo lo dovrò cambiare per forza e il solo pensiero mi terrorizza. Io che vado in crisi al semplice cambio degli armadi, che odio far bagagli, che al solo sentir nominare la parola trasloco mi vengono le bolle, dovrò chiudere e sigillare, scegliere e imballare, selezionare e portar via solo l’essenziale. L’essenziale? Se per un paio di settimane di vacanza riempio una station wagon, per alcuni mesi fuori casa non mi basterà un TIR. Ansia. Se poi penso anche a quella parolina semplice e corta che ultimamente è così di moda che è tutto un gran parlarne, il mutuo, sì il mutuo a tasso fisso, variabile o misto, quello che avevi giusto finito di pagare due anni fa, e che adesso si ripresenterà puntuale alla tua porta per un altro secolo o giù di lì, l’ansia non basta più e fa il suo ingresso trionfale l’attacco di panico. Terrore allo stato puro, ecco. Roba da non dormirci la notte, che al confronto Dario Argento in prima serata mi farebbe da sonnifero. Occavolo, ma siamo proprio sicuri che la casa più grande ci volesse davvero? Mia nonna mi avrebbe saggiamente risposto: l’hai voluta la bicicletta? …pedala!

giovedì 18 ottobre 2007

C'è posta per me


E’ arrivata per posta, dalle nebbiose terre inglesi, accompagnando una lettera triste per la verità, ché quando qualcuno ci lascia per sempre, anche dopo una vita lunga e felice, vi è sempre tristezza, cieli grigi e sguardi velati. Ma, come un raggio di luce che improvvisamente squarcia le nubi e brilla sul mondo bagnato e abbacchiato, come un abbraccio consolatorio che ti spinge a proseguire e a guardare oltre, c'erano queste parole di augurio, così belle che mi hanno fatto tremare il cuore. Un'antica benedizione irlandese, autore sconosciuto, come spesso accade quando ci si imbatte in versi semplici ma così densi di significato. Parole benauguranti dunque, che mi hanno resa felice e che dispenso a mia volta con somma gioia. Un augurio alla sottoscritta Gallina, che troppo spesso si complica la vita rincorrendo sogni e castelli. Un augurio al suo Galletto, consorte e compagno di vita, di sale, pepe e battibecchi. Un augurio alla loro meravigliosa Pulcina, che cresce svelta, briccona, furba e dolce come il miele. Un augurio a tutta la famiglia Coccodé, nella versione allargata, sempre amata, a volte odiata, frequentemente sopportata, mai rifiutata e molto spesso incompresa. E infine un augurio a tutto il pollaio, a tutti quelli che passano di qui, per caso o per diletto, che razzolano, svolazzano e magari depongono anche un uovo.

A Gaelic Benediction

May the road rise to meet you
may the wind be always at your back
may the sun shine warm upon your face
the rains falls soft upon your fields
and until we meet again
may God hold you in the palm of his hand.

May God be with you and bless you
may you see your children’s children
may you be poor in misfortune
rich in blessings
may you know nothing but happiness.

From this day forward
may the road rise to meet you
may the wind be always at your back
may the warm rays of sun fall upon your home
and may the hand of a friend always be near.

May green be the grass you walk on
may blue be the skies above you
may pure be the joys that surround you
may true be the hearts that love you.

lunedì 15 ottobre 2007

Il giorno dei lupetti


Che bellissima giornata. Semplice, pura, rara. E proprio per questo meravigliosa. Di quelle giornate che iniziano presto, quasi all'alba, che l'esser mattinieri è caratteristica di ogni buon branco che si rispetti. E quello dei lupetti non può certo essere da meno. Di quelle che vecchi jeans e comode sneakers bastano e avanzano, felpa legata in vita e capelli selvatici tenuti a bada da un elastico, da mamma lupa per l'appunto. Di quelle da zaino in spalla, vecchia coperta da buttare in terra e pranzo al sacco in quantità industriale, che l'appetito non mancherà di certo tra i giovani lupacchiotti, figuriamoci tra i più datati. Di quelle che fortuna che c'è il sole e anche una brezza leggera tanto per ricordarci che signori, perbacco, siamo in Autunno. Di quelle che la picci non la tieni nel letto un minuto di più, tanta è l'eccitazione e la voglia di partecipare, di scoprire, di giocare, di fare il suo ingresso. Di quelle che inizia a cinguettare alle sette del mattino e smetterà solo a tarda sera, testa ciondolante nel sedile di dietro, arruffata, sporca, sudata e infine addormentata. E così ricca dentro. Di quelle che si chiacchiera e si ride con chi si conosce già e poi anche con gli altri, che dopo cinque minuti è come se ci si conoscesse da una vita. Di quelle che l'indice impazzisce e inizia a scattare a raffica sull'otturatore perché ogni momento sembra più intenso di quello appena trascorso, fammi vedere com'è venuta, guardami, levati le dita dal naso. Di quelle che la torta salata che hai preparato per il concorso di cucina delle mamme lupe sfigura un po' in mezzo a certi manicaretti da rivista, ma nella sua allegra semplicità è lì che sorride a tutti e ammicca invitante, assaggiami dai che son buona anch’io. Di quelle che quanto tempo che non mi divertivo così, che stavo bene con gli altri, che non assaporavo questa gioia fatta di piccole, piccolissime cose. Impalpabili quasi. Di quelle che ti auguri tornino presto, prestissimo, speriamo, chissà. Di quelle che strabocchi di contentezza per l'allegria di tua figlia, per l'amore e la passione che traspare dalle parole, dai gesti e dal cuore dei suoi nuovi capi, per la fortuna di averli incontrati sul tuo e sul suo cammino. Di quelle che, mannaggia, avessi una trentina d'anni di meno, quel cappellino lo indosserei proprio volentieri. Di quelle che si impara da piccoli a diventare grandi. Ma anche di quelle che si impara da grandi a ritornare piccoli.

giovedì 11 ottobre 2007

La sindrome dello scoiattolo


Ci risiamo. Non appena la colonnina di mercurio comincia a scendere, le giornate iniziano a farsi più corte e fanno il loro ingresso sulla scena eserciti di golfini e scaldacuori, io vengo invariabilmente colta dalla sindrome dello scoiattolo. Il mio inconscio, convinto che il letargo sia alle porte, inizia ad inviare segnali allarmanti al mio cervello, il quale fa scattare la necessità impellente ed irrefrenabile di accumulare calorie, che l’inverno è lungo, il gelo incombe e le scorte scarseggiano. Da lì alla sensazione di fame nera il passo, purtroppo, è breve. L’appetito cresce a dismisura, il mio stomaco sembra perennemente vuoto e reclama a gran voce una farcitura di qualsiasi tipo, ettolitri di acquolina iniziano a zampillare nella mia bocca appena sento solo lontanamente nominare parole tipo focaccia, pizza o patatine e vengo colta da raptus improvvisi che mi fanno scassinare il frigorifero alle ore più impensate. Insomma, quello che l’equilibrata dieta primaverile mi aveva fatto raggiungere, riuscendo a farmi rientrare in quei bellissimi pantaloni bianchi che sonnecchiavano sul ripiano dell’armadio da un paio di stagioni, è a serio rischio di finire brutalmente nel secchio. Potrei anche infischiarmene e buttarmi a capofitto in una ciotola di noccioline, ma in questo caso allora gradirei anche approfittare di un bel letargo. Sissignori. Infilarmi sotto il piumone con una bella scorta di Pringles, Fonzies e focaccine assortite e poltrire fino a Marzo inoltrato. Questa sì che sarebbe una giusta contropartita. E se al risveglio i pantaloni bianchi non mi entrassero più, pazienza, sarebbe il loro turno di letargo fuori stagione.

martedì 9 ottobre 2007

Ti ringrazio


Mi ha fatto piacere incontrarti, rivederti, sentirmi nuovamente accanto a te. Era un bel po’ di tempo che non venivo a casa tua, che non ascoltavo le tue parole, che non avvertivo la tua presenza. Nei miei pensieri ci sei sempre stato e questo tu lo sai bene. Sei nelle gocce di rugiada che imperlano i petali dei fiori, nei raggi di sole che scaldano i cuori, nello sguardo un po’ appannato di mia figlia quando si sveglia al mattino, nelle mie mani che impastano, scrivono, amano. Tu ci sei sempre e anche io questo lo so bene. Come so bene di essere un po’ pigra e sempre troppo piena di cose da fare. E così rimando spesso, al giorno dopo, alla settimana seguente, al mese successivo. Ma ti penso. Come due vecchi amici del cuore e dell’anima che non si vedono spesso e si telefonano solo raramente, nelle occasioni speciali, ma che sanno di esserci, l’uno per l’altro, in qualsiasi momento, sempre. Forse non basta, ma io sono fatta così. Domenica però sono stata felice di essere lì a casa tua, seduta sulla panca di legno, mentre le labbra ricordavano perfettamente parole da troppo tempo dimenticate e il mio sguardo ti cercava nella luce che filtrava obliqua dalle vetrate policrome e cadeva sulla testolina bionda di mia figlia che, seduta in prima fila, iniziava quello stesso percorso che anche io iniziai tanti anni fa. E non credere che se non vengo più spesso da te sia perché ho dimenticato. Ma so che anche questo tu lo sai bene. Ed è per questo che ti ringrazio, Gesù.

venerdì 5 ottobre 2007

I love you cialda


La mia ciambella di salvataggio di metà mattina, quando l’occhio comincia a farsi vitreo e il livello di attenzione cala drammaticamente come il livello del Po a ferragosto. La mia ancora di salvezza, che mi rimette in carreggiata quando comincio a sbandare in curva peggio di una A112 Abarth al Rally degli Abeti. Il mio antivirus personale, pronto ad intervenire al primo accenno di sbadiglio nel bel mezzo di una cartella Excel o di un improvviso attacco di ipnosi durante infinite schermate Windows. E' lei, la mia coccola quotidiana, che occhieggia invitante dal cassetto della mia scrivania, vezzosa e modaiola col suo abitino rosso e argento. E' lei, tonda e paffutella, che spande nell'aria quell'aroma intenso e inconfondibile di arabica a media tostatura. E' lei, la mia amatissima cialda, che una volta all'interno del suo box doccia personale, mi regalerà un nettare caldo e profumato, scuro, denso e cremoso al punto giusto. Il mio caffè quotidiano, momento prezioso, rito sacrosanto e indispensabile, assolutamente irrinunciabile.

giovedì 4 ottobre 2007

Cake alle olive e speck


Seguendo parzialmente una ricetta che avevo trovato qualche tempo fa e aggiungendoci un po’ del mio, ieri ho sfornato questo fragrante cake salato, che si è rivelato semplice e gustoso, ottimo come piatto unico da servire con una fresca insalata di misticanza e un pinzimonio di crudité. L’ho immaginato anche su una allegra tovaglia a quadri durante una scampagnata o facente parte del buffet di una simpatica cena in piedi e trovo che in entrambi i casi non si sentirebbe affatto fuori posto.

Ingredienti:
250 gr. di farina
4 uova
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di olio extra vergine di oliva
2 cucchiai di senape medio-forte
100 gr. di groviera grattugiato
150 gr. di speck piuttosto morbido, a dadini
200 gr. di olive verdi snocciolate
1 bustina di lievito
pepe verde

Preparazione:
In una ciotola versare il vino bianco e sciogliervi dentro la senape, aggiungere l’olio e mescolare bene. Incorporare le uova e con l’aiuto di una frusta amalgamare il tutto. Macinare del pepe verde e mescolare, senza salare. Versare la farina e infine il lievito. Quando l’impasto sarà ben cremoso, aggiungere i dadini di speck, le olive e il groviera grattugiato. Foderare uno stampo da plum cake con carta da forno imburrata e versarci l’impasto. Cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti. Servire tiepido.

martedì 2 ottobre 2007

Per sempre poesia


Mamma, avrei voglia di scrivere un testo poetico, hai detto. I tempi cambiano, si sa, e per sottolinearlo e confonderci un po’ la scuola cambia anche il nome alle cose. Sui miei quaderni, i pensierini crescendo si trasformavano in temi. Adesso, grandi o piccoli che siano, son tutti testi. E i quaderni, ingrassati da indigestioni di vocali e consonanti, son diventati quadernoni. Anche le poesie hanno cambiato nome, con buona pace di Pascoli e Ungaretti, trattasi adesso di testi poetici. Un testo poetico?, ti ho risposto, che bella cosa. E su cosa lo vorresti scrivere?, ti ho chiesto abbracciandoti. Sui libri, mamma, mi piacciono così tanto che vorrei scrivere cosa penso di loro. Ho delle parole dentro che avrei voglia di far uscire fuori, hai detto guardandomi seria. Fallo allora, fallo figlia mia, ti ho detto mentre il mio cuore saltava un battito, che le parole e i pensieri non si devono mai tenere chiusi. Vanno liberati, come uccellini chiusi in gabbia, da far volare in alto fino a quando incontrano il blu del cielo. E tu l’hai fatto, un po’ emozionata e un po’ stupita da ciò che stava uscendo dal tuo cuore per prender forma sulla carta. La tua prima poesia. Che ti auguro di essere la prima di una lunga serie, che ti aiuterà a vedere, a sentire, a percepire, ad ascoltare, a gustare e ad amare la vita che ti scorrerà tra le mani. Mi sento felice mamma, mi hai detto poi, come dopo che si è fatta una cosa bella. L’hai fatta, amore mio, l’hai fatta. In una luminosa mattina di fine Settembre sul lungomare di Capraia, hai fatto una cosa bellissima. E tua madre, attonita, ancora stenta a crederlo. E per lei, si tratterà per sempre di poesia.

"Un libro è "

Un libro è una gioia
un mare che scorre dentro di te
un fiocco di neve che cade sul tuo cuore.
Un libro non ti fa mai sentire sola
è un sentimento che ti accompagna
tristezza, paura, amore.
Un libro è una fata
che con la sua bacchetta magica
rende incantevole quello che leggi.
Un libro è tutto quello che pensi
che ti adora
e che non ti abbandonerà mai.

(il mio pulcino di 8 anni – 30 Settembre 2007, Isola di Capraia
)

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