venerdì 31 agosto 2007

Scuola di baci


Negli ultimi tempi mia figlia sta frequentando un corso speciale sui baci. Ha deciso che deve imparare assolutamente come si fa e, anche se ammette che avendo otto anni ci dovrebbe essere ancora un po’ di tempo prima del fatidico primo bacio, ha paura che il Principe Azzurro possa arrivare prima e la colga impreparata. E la cosa non le aggrada per niente. Così, ogni coppietta che si sbaciucchia alla fermata del bus viene attentamente osservata dalla piccola allieva, per non parlare di spot pubblicitari, trailers o spezzoni di fiction che le capitano a tiro dove ci siano un lui e una lei intenti a baciarsi. Inutili tutti i miei tentativi di dissuaderla, che non è educato fissare la gente che si fa i fatti propri, che spiare non è buona cosa e che comunque è roba da grandi. Lei continua imperterrita nel suo studio e poi, naturalmente, ogni tanto decide di fare un po’ di pratica, tanto per vedere se ha capito bene la tecnica, baciando furiosamente il cuscino del divano, il suo avambraccio oppure Ken, il quale però, viste le dimensioni, non deve darle grande soddisfazione. Insomma, ecco come ti si trasforma una picci, che ancora non sa bene come nascono i bambini e proprio ieri mi chiedeva se un padre sia proprio necessario per farne uno, che crede fermamente a Babbo Natale e alla fatina dei dentini, che in spiaggia è ancora la regina indiscussa di secchiello e formine. Poi, improvvisamente, cresce. Lasciandoti spiazzata, divertita e anche un po’ spaventata.

giovedì 30 agosto 2007

Questione di charme


Alla fine credo che tutto si risolva in questa parola, che i dizionari traducono come fascino, incanto, grazia, attrattiva, senza che secondo me nessuna ne colga perfettamente il significato. Lo charme è charme. E’ intraducibile. E’ un mix di fascino e di eleganza, cura dei particolari, leggiadria, sobrietà e un pizzico di magia. O ce l’hai o non ce l’hai. Punto e basta. I francesi, che non a caso hanno coniato il termine, ce l’hanno, eccome se ce l’hanno. Non so se risieda nel loro DNA e se lo trasmettano ignari di generazione in generazione o se lo insegnino fin dall’asilo come si fa con le tecniche di collage e cartapesta, fatto sta che in terra francese ti imbatti nello charme dietro ogni angolo, dentro ogni aiuola, sopra ogni tavola. E’ quel qualcosa in più che spesso noi, per quanto ci sforziamo, non riusciamo a raggiungere neppur lontanamente. Una perfetta sincronia cromatica tra tovagliolo e piatto, in una nuance dal taupe al tortora chiaro, in un semplice ristorantino con quattro tavolini in fila sul marciapiede. Gusto assoluto e cura indescrivibile nella composizione delle aiuole, sia in parchi sontuosi che in rotonde di periferia, perfino quelle appese ai pali della luce che da soli proprio carini in effetti non sono. Eleganza squisita nelle mura coperte di edera dove piccole finestre dalle imposte laccate si aprono lasciando intravedere davanzali straboccanti di fiori. Insegne sobriamente perfette, dove riccioli di ferro battuto circondano amorevoli un nome od un simbolo. Superbi vigneti ordinati e brillanti, dove anche un filo d’erba non è mai fuori posto e dove le rose non son mai parse più belle così vicine ai grappoli neri e traslucidi. Elegante semplicità di un menù scritto a mano su una lavagna nera, semplicemente accostato ad un bosso e illuminato dal rosso allegro dei gerani. E’ così, è tutta una questione di charme. O ce l’hai o non ce l’hai. E in questi giorni, che i miei occhi sono ancora sensibilizzati dal fascino d’oltralpe, mentre guardo le tristi aiuole rinsecchite che adornano le strade della mia città, le ordinarie facciate dei palazzi abbellite da scritte irripetibili, le insegne troppo vistose e troppo colorate, il verde incolto delle periferie, mi rendo conto che noi, proprio non ce l’abbiamo. Siamo simpatici, chiassosi, certamente fantasiosi, ma charmants no. Direi proprio di no.

martedì 28 agosto 2007

Prima o poi mi arrenderò


Negli ultimi mesi mi sono sentita molto corteggiata a dir la verità. Più di una volta il pensiero mi ha sfiorata, lo ammetto, e in qualche occasione le labbra si sono avvicinate, gustando impercettibilmente mentre gli aromi avvolgevano il mio olfatto. E poi tutta questa conoscenza improvvisa, un mondo di sapere che mi si è spalancato davanti, così ricco di storia e di amore, non poteva che affascinarmi. Parecchio, direi. Così, credo proprio che prima o poi cederò alle lusinghe e alle tentazioni e mi arrenderò ai piaceri del vino, dei suoi fruttati e dei suoi tannini, del suo colore e del suo perlage. Nell’ultimo anno, da quando mio marito frequenta il corso per sommelier, e quello che per lui era un semplice piacere si è trasformato in autentica passione, mi sono trovata circondata da bottiglie di Syrah, Barolo, Gewurtztraminer, persino un Pinotage. Conversazioni che spaziano esclusivamente tra annate e barrique, tra uvaggi e vendemmie tardive. Giornate primaverili trascorse tra Cantine Aperte e degustazioni a spasso per tutta la Toscana. Libri che sembrano enciclopedie, ma che appena ho iniziato a sfogliare non riuscivo a richiudere. Insomma, dopo anni di semplicissimo Chianti ci sarebbe stato da incuriosire chiunque. La stoccata finale, o meglio la freccia di Cupido, è arrivata durante il viaggio in Francia, con le visite agli chateaux più importanti circondati da meravigliosi vigneti, sparsi tra il Médoc e Saint-Emilion, mentre ascoltavo rapita le parole dei vignerons ed ho imparato che per produrre un ottimo vino ci vogliono tantissime cose, prima fra tutte il cuore. Dopo aver visitato le cantine si passava immancabilmente alla sala delle degustazioni dove inevitabilmente pas pour moi grazie lo stesso, non bevo, che suonava come una bestemmia, anche alle mie orecchie. Credo sia giunto il momento di porre rimedio a questa mia lacuna, non solo per la gioia di mio marito ma probabilmente anche per la mia, e magari la prossima volta avrò il piacere di degustarla davvero quella bottiglia di Angelus, anziché limitarmi a fotografarla. Chissà.

lunedì 27 agosto 2007

Casa dolce casa


Sorvolando sul fatto che da sabato sera sono vittima di un raffreddore che in confronto quelli che mi assalgono in pieno inverno sono un gioco da ragazzi, e che forse la poca voglia di uscire possa essere stata un po’ legata al fatto che non potevo allontanarmi di molto dalla scorta di kleenex sparsi per tutta la casa, fatto sta che la giornata domenicale di ieri, trascorsa interamente tra le mura domestiche, non mi ha trasformata in una tigre in gabbia come normalmente accade ma al contrario mi ha fatta sentire calma e rilassata come non accadeva da tempo, felice di essere attorniata dalle mura di casa mia, circondata dai colori, dai rumori e dagli odori del mio habitat familiare. Ho quasi amato la mattinata trascorsa tra i fornelli e l’asse da stiro, mentre il mio consorte allungato sul divano era immerso nella lettura assai impegnativa del suo amato Tex e dalla cameretta della picci provenivano i suoi allegri cinguettii mentre allestiva alacremente la casa di campagna di Barbie e Ken. Ho apprezzato la tranquillità, assaporando il tempo a disposizione, gratuito e abbondante, mentre nelle pigre ore pomeridiane cercavo di selezionare i quasi novecento scatti fatti in viaggio (avrò esagerato?) e dal soggiorno arrivava sommesso il commento televisivo del gran premio, cosa che normalmente non considero affatto la colonna sonora ideale. Ieri, invece, no. Amavo tutto della mia casetta, anche la polvere sugli scaffali e la solita roba accatastata qua e là causa mancanza di spazio. Lo sguardo cadeva sul giardino invaso dal sole e dalle foglie cadute durante i temporali dei giorni scorsi e invece di venir colta da un attacco di panico al pensiero di dover prima o poi porvi rimedio, sorridevo inebetita e felice. E l’idea che la quarantina di bottiglie di vino che mio marito si è portato appresso come souvenir continuino a stazionare all’ingresso come soldatini chissà per quanto tempo ancora non mi generava alcun tipo di ansia, ma solo una placida e serena rassegnazione. Non so se siano stati i quattromila chilometri percorsi o la ressa di immagini e sensazioni che ancora invade la mia testa, ma per una volta la sindrome del ritorno al nido è stata un vero toccasana.

giovedì 23 agosto 2007

Piove, per fortuna


Meglio così. Sai che nervi se fossi rientrata al lavoro sotto un sole splendido circondato dal blu frizzante tipico di queste giornate vagamente settembrine. Questa pioggia battente invece mi aiuta a sopportare il rientro alla normalità, alla routine quotidiana, alla semplicità della vita di ogni giorno. Mi fa pesare meno il fatto che le vacanze siano, purtroppo, finite. Solo il fatto di affrontare il viaggio di ritorno, con quel misto di stanchezza, malinconia e una leggera voglia di rivedere il proprio nido mi aveva messa un po’ di malumore. Tra tutte quelle ore di auto, con i pensieri del ritorno che si accavallavano, le chiavi di casa che non si trovavano, i bagagli da scaricare, da svuotare, da smistare e da lavare, il frigorifero tristemente vuoto e la cassetta delle lettere allegramente straboccante. Mi sentivo frastornata e fuori fase, giravo a vuoto per la casa con mille pensieri in testa e nessuno che arrivava a compimento. Perlomeno, il cielo grigio e chiuso mi infondeva un po’ di forza, lo sentivo partecipe del mio stato d’animo. Oggi poi è stato ancora più benevolo, scaricando sulla città secchiate d’acqua a non finire, tanto a cosa sarebbe servito il sole per stare dietro ad una scrivania. Tuttavia, per il mio bucato steso ieri, mi avrebbe fatto decisamente comodo. Sarebbe forse il caso di provare a sorridere, magari sbilanciandomi anche in una risatina. Chissà che il cielo non continui a seguirmi e squarci le nubi con qualche raggio dorato? Così il bucato si asciuga ed io avrò ritrovato il mio consueto buonumore.

venerdì 3 agosto 2007

Servizio bagagli a domicilio


Non so se esista già, se qualcuno abbia già pensato anche a questo. In quest’era di pizza a domicilio, dieta a domicilio, fitness a domicilio, magari esiste anche un servizio di bagagli a domicilio. So solo che mi farebbe parecchio comodo. Perché per quanto sia vero che adoro viaggiare, amo far vacanze e impazzisco per i fine settimana fuori porta, è altrettanto vero che non sopporto fare i bagagli, odio sistemare abiti nelle valigie, aborro la scelta delle cose da portar via. E’ una cosa che mi mette proprio ansia, agitazione. Con la paura di dimenticarmi qualcosa di assolutamente essenziale finisco sempre per portarmi appresso mezza casa, praticamente un trasloco. Ci sarà una tecnica specifica, mi chiedo, per poter affrontare questa pratica con calma e tranquillità e riuscire a preparare quei bagagli minimi di cui leggi sul giornale, dove l’esperta di turno comunica serafica che dietro lei si porta solo lo stretto necessario. Stretto necessario? Il mio è sicuramente un largo necessario. So già che anche stavolta riempirò la station wagon e mi sorbirò lo sguardo incredulo e i rimproveri infiniti di quel santo di mio marito. Ma tant’è. Non riesco proprio a rinunciare all’irrinunciabile. Se invece potesse arrivare a casa mia un personal trainer del bagaglio perfetto, dlin-dlon di campanello, apro la porta di casa e dell’armadio, valigie vuote e carta bianca. Che meraviglia sarebbe. Il tempo di andare a farsi una messa in piega veloce e trovare al ritorno lì sulla porta i bagagli già pronti. Solo da caricare in auto. Però forse non metterebbe nello zainetto della picci il suo libro preferito. Non prenderebbe i miei jeans da viaggio, quelli comodi e vecchiotti, ma quelli più modaioli che per girare tutto il giorno non son certo l’ideale. Non metterebbe i fornelletti antizanzare, che vuoi che ne sappia dei bubboni che mi fanno le simpatiche bestiole. No, probabilmente lascerebbe a casa gran parte dell’irrinunciabile, a cui per l’appunto non riesco a rinunciare. Ho capito. Anche stavolta, ansia, agitazione, armi e bagagli. Sarà tutta opera mia.

giovedì 2 agosto 2007

J'arrive


Sto arrivando Francia, aspettami. Ho voglia di rivederti, di riabbracciarti, di crogiolarmi nella tua eleganza e silenziosità. Di gustare lentamente ostriche servite con burro fresco e pane, di bere una tazza di sidro, leggero e frizzantino come piace a me. Di percorrere i tuoi viali punteggiati da platani immensi e sobrie vetrine, di avvertire la piacevole frescura all’interno dei tuoi castelli, di farmi scompigliare i capelli dal vento oceanico e di sorseggiare un bicchierino di Sauternes al crepuscolo. Di perdermi nei tuoi giardini fiabeschi fatti di bosso e di rose, di lasciar vagare lo sguardo tra le onde del Mediterraneo mentre il sole caldo mi sfiora la pelle, di rovistare curiosa nella mercanzia di qualche brocante. Di passeggiare tra vigneti assolati e cantine umide e fresche, di sbagliare strada e tornare indietro, di scalare dune di sabbia e aspettare con pazienza il tramonto. Ho voglia di bistrot e di brasserie, di oui, di non e di bien sur. Francia, ho voglia di te. Aspettami.

mercoledì 1 agosto 2007

Auguri, mamma


Oggi pomeriggio ti guarderò e cercando di sorridere per non piangere, ti abbraccerò. E ti dirò buon compleanno, anche se mai e poi mai avrei voluto che il tuo settantacinquesimo compleanno venisse festeggiato così. Se si può parlare di festeggiamenti. No, direi di no. Decisamente. La tua mano macchiata dalla vita e dall’età stringe quel fazzoletto, appoggiata sul lenzuolo a fiori, ormai da tanti anni. Troppi. E ancora di più sono gli anni che ti hanno strappata a me, che crescevo e sentivo il vuoto accanto farsi sempre più buio e profondo, mentre la mia mano cercava a tentoni la tua e non la trovava. C’eri, ma non c’eri più. Mi sei mancata tanto, mamma. Anche se non te lo dicevo. Per non farti soffrire, per non farti rendere conto più di quanto ti rendessi conto da sola di quanto è stata triste la vita per te. E quanto lo sia ancora. Mi dispiace, mamma. Terribilmente. E le lacrime che mi stanno annebbiando la vista mentre le dita scorrono veloci sulla tastiera servono a ben poco, se non ad aprire una ferita che non si chiuderà mai. Vorrei poter tornare indietro, mamma. Per fermare quel momento che sarebbe arrivato, per gridargli in faccia il mio dolore e la mia paura, mamma, spaventarlo a morte e farlo andare via. Vorrei poter tornare indietro, mamma. A quel giorno caldo e ventoso, mentre l’autobus verde si arrampicava lento su per i colli e tu portavi tua figlia a vedere la mostra dei macchiaioli, mamma. A quel pomeriggio di quiete casalinga e radiolina accesa, mentre lavavi i piatti e io decisi che quella schiuma bianca e iridescente era perfetta per farci tuffare la mia bambola, mamma. A quella notte nera di paura e di sudore, mentre mi abbracciavi stretta per mandar via l’incubo che mi aveva avvolta. A quella mattina di spiaggia romagnola, quando ritta sulla battigia mi tenevi d’occhio tra le onde, braccioli rossi e cuffia a fiorellini. Vorrei poter tornare indietro, mamma, ma indietro non si torna. E quando oggi pomeriggio ti abbraccerò e ti porterò le rose, che per giorni e giorni guarderai sul comodino, vorrei poterti dire tutto questo, mamma. Ma non lo farò.

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin