mercoledì 30 settembre 2009

Amori, amorini, amorazzi

Quando arriva l’amore c’è sempre poco da fare. Nulla, in realtà. Si resta lì a prendersi la botta, inebetiti e beati, gli occhi a cuoricino e il sorriso da paresi. Ma non c’è solo quell’amore lì, quello con la maiuscola, quello infinito e del finché morte non vi separi. Ci sono anche gli amorini volatili e passeggeri come le rondini, cherubini che svolazzano di nube in nube veloci come le frecce che scoccano, cottarelle, amorazzi, momenti di passione fugaci come un sospiro. Oh, sì. Capita, eccome se capita. Sai che noia se non ci fossero. Sono i momenti di gioia che rischiarano le giornate, che raddrizzano i momenti storti, che improvvisamente trasformano una giornata grigia piena di riunioni di lavoro e la verniciano di rosa fluò. E chi l’ha detto che debba trattarsi di Brad, di Jude o del fidanzatissimo George. Anche, sicuro, ma non solo. I miei amori toccata e fuga durano il tempo di leggere un libro che mi appassiona particolarmente e del quale non vorrei mai chiudere le pagine. Scoccano inarrestabili per un profumo recentemente ricevuto in dono e col quale è nato un folle amore a prima vista, anzi a primo respiro, che guai a non spruzzarmi i polsi ogni mattina che potrei andare in crisi d’astinenza. Nascono improvvisi per una piantina nuova da mettere sul davanzale, un’erica che forse non è erica, ma così carina e gonfia di fiorellini che solo a guardarla mi mette allegria. Mi esplodono dentro per una canzone che mi ha presa di brutto e che sentirei in continuazione, facendo a gara con la picci per chi si impossessa dello stereo per prima, nemmeno avessi dieci anni anche io. Ma che importa. Il bello è proprio lì, nel sentire queste minuscole passioni dirompenti, sciocche e leggere come ali di farfalla, lasciarsi trasportare anche da un nonnulla, sorriderne e saper godere di questo sorriso. L’amore, in fondo, è fatto anche di piccole cose.

venerdì 25 settembre 2009

Strudel settembrino

Lo ammetto. Lo strudel è uno dei miei dolci preferiti, mi piace farlo e mi piace mangiarlo. Senza dubbio perché il suo profumo mi ricorda la mia amata montagna, perché è facile da fare, e perché adoro quell’effetto sorpresa, quando esce dal forno tutto chiuso, dorato e fragrante, senza rivelare il contenuto in anticipo, come uno scrigno contenente chissà cosa, da aprire lentamente con un po' di trepidazione. Così, dopo la versione invernale e quella estiva, ho creato una versione autunnale, dolce e morbida, come una tranquilla domenica mattina d’autunno passata a cucinare in vestaglia, mentre fuori dalla finestra le foglie volano via nel vento.

Ingredienti:
un grappolo di uva nera da vino
confettura di fichi senza zucchero
250 gr. pasta sfoglia
zucchero
cannella in polvere
6 biscotti savoiardi
granella di mandorle
burro
zucchero a velo

Preparazione:
Lavare l’uva, tagliarla a metà e privarla dei semi. Metterla in un pentolino con un cucchiaio di zucchero, un cucchiaio di acqua e un cucchiaino di cannella in polvere. Cuocere a fiamma bassa per qualche minuto, mescolando dolcemente. Spengere il fuoco e far raffreddare. Nel frattempo stendere un rettangolo di pasta sfoglia di circa 30 centimetri per 25 e spalmarci sopra con una spatola due cucchiai abbondanti di confettura di fichi, fermandosi a due centimetri dal bordo della sfoglia. Ricoprire la confettura con i savoiardi sbriciolati. Versare al centro della sfoglia l’uva con lo sciroppo che si sarà formato nel pentolino, allargarla un po’ e cospargerla con una manciata di granella di mandorle. Arrotolare la pasta sfoglia chiudendo all’interno tutti gli ingredienti e rimboccando le due estremità. Fare un paio di taglietti sulla parte superiore e spennellare tutta la superficie con burro fuso. Adagiare lo strudel su una placca da forno rivestita di carta da forno e cuocere in forno caldo a 180° per circa 40 minuti. A cottura ultimata lasciar intiepidire e poi cospargere con zucchero a velo.


Con questa ricetta partecipo al concorso “Sunday Morning” indetto da Juls’ Kitchen e sponsorizzato da Macchine Alimentari.


lunedì 21 settembre 2009

Vino al vino

Non bevo, ma è come se bevessi. Nel senso che ancora non mi sono arresa alle lusinghe della nobil bevanda e continuo ad impersonare la moglie pecora nera del novello sommelier, limitandomi ad assaggiare giusto un dito ogni tanto e ben più spesso a respirarne il bouquet, ma l’atmosfera appassionante dell'universo del vino mi coinvolge ugualmente, mi affascina così tanto che, da astemia, riesco ad ubriacarmi lo stesso. Una sbornia di sensazioni, una sbronza che coinvolge tutti i sensi tranne uno. Figuriamoci se bevessi, sai che spettacolo, dovrebbero portarmi via a braccia. Nel frattempo adoro farmi travolgere da questa ebbrezza che mi riempie di gioia. Amo star lì a guardare i produttori che versano nei calici mentre narrano i come ed i perché di un certo vino, mentre gli appassionati o i semplici curiosi girovagano col calice al collo come api che ronzano di fiore in fiore, succhiando un po' lì e un po' là. Guardo, osservo, studio, rimiro. E' un mestiere di passione quello del vignaiolo, di quelli fatti col cuore e la fatica, e si vede. Ti parlano di un vino e di un'annata come di un figlio, di una vendemmia particolarmente buona come di un esame superato col massimo dei voti, di un invecchiamento in barriques come di un gioiello tenuto in cassaforte. Mi rapisce e mi incanta davvero questo mondo. Mi piace, mi piace assai. E anche se sicuramente sarà pur vero che non è tutto oro quello che luccica e che business is business tra i vigneti come tra le pareti di un ufficio, ho la sensazione che vi sia una rara purezza tra coloro che vivono di questo, un maggior calore e sicuramente tanta forza, che trasmettono negli sguardi e nei sorrisi cordiali. E mentre in cielo si addensavano i nuvoloni neri di un temporale di fine estate, osservavo gli avventori di questo semplice e intrigante appuntamento nel cuore del Chianti, gente del luogo e gli immancabili americani, molti uomini ma anche tante donne e, soprattutto, tanti giovani che chiacchieravano e ridevano tra una degustazione e l’altra. E chissà se sono stati solo i miei occhi a vederli diversi o forse il merito è davvero dei calici che stringevano tra le mani, ma mi sono sembrati lontani anni luce da quella gioventù un po’ sciupata che trascorre le serate inseguendo l’happy hour.

venerdì 18 settembre 2009

Alla luce





In questi giorni sto approfittando dei rari momenti liberi per cercare di smistare le tonnellate di fotografie fatte durante l’estate, che con la digitale ci vado giù pesante e poi mi ritrovo centinaia di scatti sepolti nella cartella immagini col rischio di dimenticarmene. Impossibile stampare tutto, non basterebbero gli scaffali della Biblioteca Nazionale e tutte le cornici dell’Ikea messi insieme. Ma neanche lasciarli lì a prender polvere, quella virtuale of course, nella memoria del mio pc. Così mi son data l’obiettivo di creare dei montaggi da riversare su dvd, piazzarli a due centimetri dalla nuova tv che impera in soggiorno e vedere se durante i bui pomeriggi invernali a qualcuno verrà la voglia di riguardare un po’ di foto. Sul galletto ho qualche serio dubbio, che oltre ad essere refrattario allo scatto lo è anche allo sfogliare gli albums, siano essi su carta o su schermo, ma sulla pulcina nutro invece forti speranze, visto che da qualche tempo si diverte un mondo a guardare le foto di quando eravamo giovani e belli e, con la spietata sincerità dei bambini, ce lo fa pure notare. In ogni caso, se il progetto proseguirà a questi ritmi, si tratterà dei bui pomeriggi invernali del duemiladodici, ma non si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera? Così, mentre visionavo foto, rinominavo e creavo sottocartelle, mi sono innamorata di alcune foto un po’ particolari, certamente non da cornice e forse neanche da montaggio, ma che non voglio rimangano sepolte dentro al computer. Sono momenti speciali, fermati alla velocità di un click, mentre il vento trasportava l’odore della salsedine, i rumori del bosco o una risata di mia figlia. Rappresentano la nostra estate, ed in ognuno vi è racchiuso un pezzetto di noi. Lasciarli al buio di uno schermo spento mi dispiaceva troppo, così ho deciso di metterli alla luce qui.

lunedì 14 settembre 2009

Back to school

Primo giorno di baraonda ufficiale, di quella che ne parla anche il telegiornale, snocciolando numeri e statistiche, quanti nuovi iscritti in prima, quanti ripetenti, prezzi del corredo scolastico, la storia del maestro unico e il grembiule obbligatorio. Insomma, tutto l’ambaradan al gran completo. E noi, puntuali all’appello, anche quest’anno eravamo lì, nel vocìo del cortile pieno zeppo di bambini, famiglie e macchine fotografiche, andando dai ciao, come stai, che avete fatto di bello quest’estate agli ho saputo che la maestra d’inglese è cambiata ma la nuova pare sia più brava, sussurrato a mezza voce dalla mamma di G che, non si sa come, sa sempre tutto. Di chiacchiere da fare ce ne sarebbero state per delle ore, ma il trillo della campanella ha ricordato a tutti il motivo per cui eravamo nuovamente lì, baciando i figli che s’incamminavano verso le scale trascinando zaini da scoliosi e cercando di nascondere alla bell’e meglio la lacrimuccia che cercava di farsi largo tra le ciglia. Avevo deciso di lasciarla salire da sola, ma poi, ben consapevole del fatto che l’anno prossimo le mamme saranno off limits non soltanto in classe ma sicuramente anche nel cortile delle scuole medie, ho sapientemente eluso la sorveglianza del preside che piazzatosi a gambe larghe a metà scale rimandava indietro i genitori con uno sguardo da ufficiale della Gestapo, fingendo di uscire e rientrando invece subito dopo dalla porta che conduce all’altra rampa di scale, che l’averci passato già sette anni in quella scuola, tra materna ed elementari, qualcosa vorrà pur dire, perlomeno in fatto di scorciatoie e passaggi segreti, e sono salita in classe. La scusa ufficiale era vedere l’aula nuova e fare un saluto alla maestra, rimasta unica, ahimè, come voluto dalla nostra ministra, e vedere accanto a chi si sarà seduta la picci e chissà in che fila è e se chiacchiera di già, ma in realtà l’ho voluta semplicemente guardare, seduta al banco, qualsiasi esso fosse, impettita ed emozionata col suo grembiulino blu e stamparmi il suo visino nel cuore. Per fortuna non sono stata la sola ad avere l’idea di ignorare le direttive del preside e nel corridoio c’erano altri genitori, così mi sono mimetizzata, ho scambiato due parole con la maestra e mi sono affacciata un secondo alla porta della classe, mentre cercavo di mascherare con un sorriso l’emozione che mi assaliva, cogliendo con un unico sguardo tutti i particolari: i fiori di carta colorati appesi alle pareti, le tende bianche, lo scaffale pronto ad accogliere libri e lavoretti. L’ho già detto, questo anno scolastico mi emozionerà in particolar modo, e non solo perché sono una piagnona. Il fatto è che i figli crescono. E il problema è che io non sono mica tanto preparata.

sabato 12 settembre 2009

Quarantaquattro (gatti)

Eccoli qua, ci sono proprio tutti. Stamattina appena mi sono alzata li ho trovati tutti lì ad aspettarmi ai piedi del letto, acciambellati, addormentati, intenti a fare il pane o a fare le fusa, ma erano comunque tutti lì, tutti e quarantaquattro, che quando ho pensato a questo numero è stato talmente automatico ricordarmi della canzoncina dello Zecchino d’Oro della mia infanzia che ho deciso che oggi, così, tanto per cambiare, compio i gatti anziché gli anni. Anche perché un po’ gatta in effetti a quest’età credo di esserlo diventata davvero, un filo più sorniona, più indipendente e pure un pochino più furba, finalmente direi, che per i bischeri ‘un c’è paradiso come si dice da queste parti. Insomma, nata indubbiamente cane, fiduciosa e fin troppo bonacciona, ma diventata con il tempo, con l’età e con le mille musate battute a destra e manca, anche un po’ più scaltra. Beh, perlomeno lo spero. Così, stamani me li son trovati tutti lì intorno questi quarantaquattro gatti e li ho ascoltati tutti, che ognuno aveva qualcosa da raccontarmi, con un sorriso, una smorfia o una lacrima. Ho ascoltato il gatto dei calzettoni bianchi traforati e i sandalini Giglio, mentre svelta pedalavo sul viale con la mia biciclettina arancione e mio nonno mi aspettava su una panchina leggendo il giornale. Son stata a sentire il gatto di quel giorno buio in cui i miei si separarono e non capendo bene cosa mi stesse succedendo di lì a poco mi ritrovai a far da madre alla mia stessa mamma. C’era quel micio che mi diceva di quel cucciolino color del miele che una mattina d’inverno infilai nella tasca del mio cappottino bianco per dare l’inizio ad una meravigliosa storia d’amore. Ho riso ascoltando il gatto del compito di matematica passatomi dall’amica secchiona all’ultimo secondo e copiato così velocemente da non accorgermi di star copiando anche delle incognite x y in una prova con solo a b, il che la dice lunga sulla mia passione per i numeri. Ho chiuso gli occhi mentre parlava il gatto del mio primo bacio, ricordando come al posto delle tanto decantate campane io sentissi solo il galoppo impazzito del mio cuore. Il gatto del mio matrimonio mi ha fatta sorridere al ricordo di un giorno speciale programmato fin nei minimi dettagli per mesi e mesi, consumatosi poi in troppo poco tempo, lasciandomi con un abito da riporre per sempre e un po’ di nostalgia. Mentre il gatto del mio pancione faceva le fusa socchiudevo gli occhi al ricordo di quei calci dentro di me che mi tenevano compagnia mentre ascoltavo la ninna nanna di Jovanotti e pensavo a come sarebbe stata la mia bambina quando fosse arrivata e a quanto sia buffo il fatto che adesso sono io che molto spesso avrei voglia di prendere a calci colei che è diventata l’amore indissolubile della mia vita. Li ho ascoltati tutti, uno ad uno, e se anche qualche graffio questi gatti a volte me l’hanno dato, non ne vorrei cambiare neppure uno. Così, li tengo tutti con me, in fila per sei col resto di due, e mi auguro un buonissimo, felicissimo quarantaquattresimo gatto.

martedì 8 settembre 2009

Sarà

Sarà l’aria frizzante di Settembre, che da sempre mi mette allegria e mi carica di energia e voglia di fare neanche mi avessero messo le Duracell, così che in questi giorni di ripartenza accumulo progetti e idee a non finire, mi iscriverò in palestra, riempirò di ciclamini il davanzale, farò la schiacciata con l’uva, che sennò che Settembre è mai questo, mi comprerò un paio di Hogan. Poco importa se alcuni andranno in porto ed altri no, mi piace talmente tanto questo ribollire di entusiasmo che saprò perdonarmi se qualcosa andrà perso per strada, se l’iscrizione in palestra salterà anche stavolta e le scarpe resteranno un sogno dentro la vetrina. Sarà il sorriso che mi rimanda lo specchio quando mi vedo come oggi, in total black e capello fatto, con scarpe ciclamino e borsa in tinta, che una Birkin fucsia decisamente mancava all’appello. Sarà il nuovo catalogo Ikea trovato nella cassetta delle lettere, intonso e ricco di pagine da sfogliare e da pensare, un brainstorming creativo alla fioca luce dell’abat-jour prima di dormire o in bus verso l’ufficio, ancora non so, ma già pregusto le mille idee che mi verranno solo a guardarlo, niente di eccezionale, per carità, che qui è tutto uno spendere per questa casa che ci sta costando come la reggia di Versailles, ma basta poco, un nuovo colore per i cuscini del divano, un paio di calici serigrafati per aumentare la collezione o forse anche solo un porta cd colorato da infilare in un angolo. Sarà la festa in piazza di ieri sera, il corteo, la banda, il vescovo e il sindaco, tutti lì a far festa alle rificolone e a premiare la più bella, mentre al ritmo degli stornelli toscani si improvvisava ridendo un trescone indisciplinato sul selciato della Santissima Annunziata. Sarà il giardino finalmente tirato a lucido, le azalee strapiene di minuscole foglioline brillanti come fossero goccioline di rugiada, segno evidente che la nuova location è di loro gradimento, o i due ricosperni nuovi di zecca, alti come giocatori di basket, che in un paio di giorni hanno già allungato le braccia avviticchiandosi alle travi più alte del gazebo rimesso a nuovo. Sarà tutto questo, chissà. Ma vorrei che giorni così potessero durare per sempre, anche quando la nebbia, il gelo e la noia me li avranno fatti dimenticare.

lunedì 7 settembre 2009

Da Milano in frecciarossa

Da Milano in frecciarossa
svelta parto alla riscossa
che la fiera è già finita
e non è stata una gita.
E' bastato il cambio mese
per trovar tutte le intese
cielo terso e aria croccante
si riaprono le danze.
Sono pronta alla battaglia
sia di ferro o sia di paglia
e bevo al fiume della vita
che mi scorre tra le dita.
Arriva il treno a fine corsa
lesta agguanto la mia borsa
corro a casa di filata
l'avventura è già iniziata.

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