giovedì 27 settembre 2007

I giorni della cipolla

E’ tutta la mattina che indosso questo golfino per poi togliermelo nuovamente poco dopo. Un momento rabbrividisco, con la punta delle dita che si fanno fredde mentre imperterrite digitano sulla tastiera, un momento dopo ho caldo, mi manca l’aria, e getto via l’indumento indossato solo pochi minuti prima. E’ l’effetto cipolla, e direi che da oggi ci siamo entrati proprio dentro. Con sbalzi repentini, come l’umore che mi accompagna in queste giornate, la temperatura cambia velocemente e ci si deve adeguare. Stamani sono uscita di casa stratificata come un millefoglie, dalla canotta al giubbotto, passando per maglietta, golfino e pashmina. Se tra un paio d’ore splenderà il sole mi ci vorrà una valigia per tirarmi dietro tutta questa roba. Ma si sa, l’autunno porta con se tante sorprese, non per niente i nativi americani questa stagione multicolore e multitepore la chiamavano estate. Così, in questi giorni che è ancora presto per il cambio degli armadi ma che qualcosina sarebbe proprio il caso di cominciare a tirarla fuori, sulla poltroncina di camera mia staziona di tutto, dal cotone alla lycra, dalla felpa al velour, dal lino alla flanella, mentre nelle vicinanze occhieggiano impavide infradito e corazzatissime sneakers. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Basta solo stare attenti che l’effetto cipolla non si propaghi anche agli occhi, che l’autunno porta sempre con se un po’ di malinconia e capita che le lacrime cadano giù senza chiederti il permesso, come le foglie del mio albicocco cha hanno già deciso di traslocare sul prato. In quel caso avrai fatto bene ad avere ancora a portata di mano gli occhiali da sole estivi, quelli belli scuri, e i fazzoletti di cotone spesso, quelli da raffreddori invernali. Ti serviranno entrambi.

mercoledì 26 settembre 2007

Memiamoci un po'

Ricevo comunicazione da Giuliana, la simpaticissima Mamma in Corriera, di essere stata nominata per un meme. ...un che? Cosa sarebbe un meme? Il meme, apprendo, è la nuova moda dilagante tra bloggers e, per essere una che è sbarcata su questi lidi da soli tre mesi, mi sento profondamente onorata da questo invito. Insomma, mi fa sentire parte integrante della squadra. Quindi, ma sì, memiamoci un po', anche se so già che non sarà impresa facile. Innanzitutto, le regole: bisogna parlare di otto fatti a caso che riguardino se stessi in un post dedicato, scegliere altre otto persone da taggare e dire loro che sono taggate (e, ovviamente, ricordarsi di postare le regole). Dopodiché, partenza per il meme della Vecchia Gallina:

1. Da piccola ho sbavato per anni per entrare in gruppo scout, ma nella zona dove abitavo non ce n’erano, così mi rassegnai ad accettare come sostituzione l’iscrizione al Club delle Giovani Marmotte, fantasticando di camminate nei boschi in compagnia di Qui, Quo, Qua e attenta supervisione del Gran Mogol. Che somma delusione quando scoprii che non spedivano né il cappello da Davy Crockett né venivano effettuate gite o escursioni. Insomma, una gran fregatura. La settimana scorsa ho ricevuto una telefonata dove mi è stato confermato che mia figlia è stata accolta nel gruppo scout dove era in lista d’attesa da due anni. Lei ne è stata felicissima. Ma credo che la piccola mai-scout che alberga in me lo sia stata ancora di più. Chiamiamola una specie di rivincita.

2. Nipote e figlia di cacciatori, fin dalla più tenera età sono stata a contatto con tordi da spennare, lepri da cuocere e fagiani da far frollare. Animali che rispetto da vivi, ma che amo ancora di più arrostiti su uno spiedo o trasformati in sugo denso e saporito da versare sulle pappardelle. Con me i proclami della lega anticaccia non attaccano: l’uomo è sempre stato cacciatore, fin dall’epoca di lance e fionde. E così sia. Da piccolina avevo un’abitudine particolare: quando mio padre tornava a casa dalla caccia il sabato mattina e depositava sul tavolo di cucina gli uccellini, ovviamente morti, io li osservavo attentamente e poi sceglievo il più carino, il quale si sarebbe meritato un trattamento di tutto riguardo. Mentre i suoi compagni di sventura venivano messi tutti insieme in un sacchetto in fondo al frigorifero, il mio prescelto avrebbe goduto di un lettino su misura appositamente creato dalla sottoscritta con carta da cucina, da adagiarsi su uno dei ripiani alti del frigo. Durante la sua permanenza al freddo sarei andata ad accarezzarlo più di una volta, dopodiché, una volta che mia madre avesse decretato che era giunto il momento della spennatura, il mio favorito avrebbe goduto del trattamento direttamente dalle mie manine. Io ne decidevo poi la posizione sullo spiedo, in modo da poterlo riconoscere, e sempre io naturalmente infine me lo mangiavo, rosicchiando gli ossicini uno per uno. Ero un po’ macabra? Forse. Ma tuttora, quando ci ripenso, sento solo tanta dolcezza.

3. Scrivo, da sempre, con la penna blu, meglio se a inchiostro liquido e con punta 0.5, anche se la vecchia Bic blu va lasciata stare. Non sopporto invece le penne nere. A meno che non abbia una gran fretta, se mi capita tra le mani una penna nera, devo cambiarla con una blu.

4. Ho studiato per lavorare nel turismo e, nonostante la mia carriera professionale abbia poi seguito un percorso ben diverso, la passione per organizzare i viaggi mi è rimasta tutta. Così, sono diventata l’agente di viaggio della mia famiglia, una specie di personal-trainer delle vacanze fai da te. Ogni anno, nel cuore dell’inverno, inizio a programmare le vacanze dell’estate successiva: pensare alle destinazioni, cercare informazioni, buttar giù itinerari, pianificare tappe e spostamenti. All’inizio è tutto un calderone di date, nomi, luoghi, il momento in cui tiro fuori tutta la mia creatività e il mio entusiasmo. Poi, pian piano il viaggio prende forma fino a diventare la nostra vacanza. E che soddisfazione quando al ritorno posso constatare che tutto è filato liscio come l’olio, che tempi e ritmi erano stati calibrati a dovere e che la bellezza dei luoghi visitati era andata oltre ogni previsione.

5. Sono una brava cercatrice di funghi. Dopo anni di uscite all’alba nel bosco con mio marito, ottimo cercatore, ho imparato la tecnica e affinato l’occhio. L’unica cosa che ancora proprio non mi va giù di questa pratica, che di per se sarebbe anche divertente, è il fatto di diversi obbligatoriamente alzare dal letto in orario antelucano. La mattina ha l’oro in bocca, e su questo non vi è alcun dubbio, ma chi l’ha detto che la mattina debba per forza iniziare alle cinque?

6. Adoro la pizza. Posso fare follie per una Margherita con doppia farcitura di mozzarella di bufala o una Napoli ricoperta da tante acciughe e capperi. Che poi mi farà venire una sete tremenda, ma questa è un’altra storia.

7. Sono una collezionista incallita, o meglio ero, perché adesso non ho più molto tempo per coltivare questa passione. Ho iniziato con francobolli e cartoline, seguiti da monete, adesivi e carte da lettera. Ho proseguito con i campioncini di profumo, continuato con le saponettine degli alberghi, terminato con i calici di cristallo, rigorosamente diversi gli uni dagli altri.

8. Come ogni buona Vergine che si rispetti, sono maniaca dell’ordine e della precisione, anche troppo a volte. Odio vedere oggetti fuori posto o quadri appesi storti alle pareti. I libri impilati devono avere gli angoli perfettamente combacianti, le scarpe nel ripostiglio devono essere appaiate, gli utensili sul bancone della cucina obbligatoriamente al loro posto. Se invece c'è polvere sulle mensole, uno schizzo di sugo sul piano cottura o gocce d'acqua sullo specchio del bagno, non importa, non mi danno assolutamente fastidio e per quanto mi riguarda potrebbero restarci giorni interi. Lo so, sono alquanto strana.

E adesso passiamo alle nominations. Sperando di non essere mandata al diavolo... nomino con piacere la cara Diamanterosa nel suo splendido campo di Fragole Infinite; nomino la neo-mamma Ruben sperando che si decida a tornare nel suo Patio Andaluso abbandonando per qualche minuto poppate e pannolini; nomino Sandra del Tocco di Zenzero sperando che non mi mandi davvero visto che è in pieno trasloco; nomino Fux dalle mani di fata sperando che lei invece lo abbia finito il trasloco (ma traslocano tutti qui?); nomino Adrenalina ottima cuoca e ottima madre; nomino Koala dal suo angolo americano dove regna una principessa di nome Alinuska; nomino la carissima Marzo sperando che le serva da passatempo scacciapensieri nei suoi Ritagli Quotidiani e infine nomino la simpaticissima Chris the Angel nei suoi Passaggi Silenziosi. A voi la parola!

martedì 25 settembre 2007

Il sole va a dormire


La salita alla vetta della duna si rivelava più facile del previsto, aiutata da quasi duecento gradini, che se da un lato ne sciupavano un pochino quell’aspetto da duna del Sahara venuta a cercar fortuna in Europa, dall’altro aiutavano quelli come me, che da quando mi è venuta l’asma sbuffo e soffio come un mantice solo a fare due piani di scale. Mia figlia se li faceva di corsa, allegra e impaziente come solo a quell’età si può essere, voltandosi ogni tanto per vedere se stavo salendo, con l’occhio indagatore di quella che non ci crede che ti sia fermata per fare una foto ma bensì per riprendere fiato. A onor del vero, diciamo pure che mi fermavo per entrambe le ragioni. Il luogo magico che mi circondava mi aveva fatto venire sia un po’ di affanno sia quel fremito inconfondibile dell’indice destro quando non riesce a trattenersi dal premere continuamente sull’otturatore. Ogni metro che salivo, la prospettiva cambiava e sembrava ancora più bella, dovevo fotografarla, perbacco. Mio marito procedeva in testa alla cordata, con lo stesso passo svelto e sicuro di quando si arrampica sulle rocce dolomitiche, lanciando sguardi ammirati tutt’intorno, attento a non far trapelare troppo entusiasmo, che non sarebbe stato certo da lui, eterno brontolone. Man mano che salivamo il vento salmastro soffiava più forte, scompigliandomi i capelli e ingarbugliandomi i pensieri già piuttosto confusi: non sapevo bene cosa aspettarmi e cosa avrei visto una volta lassù. L’impazienza era una presenza tangibile, aleggiava nell’aria, non solo nelle gambe di mia figlia che saltellavano sui gradini come quelle di uno stambecco. L’avvertivo anche io, distinta e sottile insinuarsi sotto la mia pelle, increspandomi le labbra in un lieve sorriso all’idea di quello che avremmo condiviso di lì a breve. Come quando si trovano i pacchetti sotto l’albero il mattino di Natale e si muore dalla voglia di scartarli per vedere cosa c’è dentro. Sono sicura che anche tutte le altre persone che stavano salendo con noi stessero avvertendo le medesime sensazioni. C’era un sentimento nuovo che ci accomunava tutti, in barba alle differenze di lingua e di età, il senso di profondo rispetto per quello spettacolo che la duna e l’oceano ci avrebbero offerto, immutato da milioni di anni ma non per questo meno emozionante: avremmo accompagnato il sole a dormire. Dopo l’ultimo scalino, il mio sguardo si perse e si innamorò all’istante di ciò che ci circondava: il crinale si allungava accanto a noi, una montagna di sabbia dorata lunga quasi tre chilometri, sospesa tra il verde sconfinato della foresta delle Landes e il blu immenso dell’oceano Atlantico, centoventi metri sotto di noi. I miei piedi nudi sprofondavano nel tepore della sabbia, impalpabile come borotalco, mentre percorrevamo il crinale, increduli e stupefatti da tanta bellezza. Da un lato quella enorme e infinita distesa blu, dalla superficie brillante arricciata da una miriade di crestine bianche, interrotta soltanto dalla piatta sagoma verdastra del Banc d’Arguin, proprio davanti a noi, ultima propaggine di terra semisommersa prima di arrivare alle coste americane, invisibili laggiù in fondo, ben oltre l’orizzonte. Dall’altro questa cattedrale di sabbia e di vento, solcata da milioni di impronte di mani, di piedi e di cuori, che si ergeva fiera a difesa del verde circostante, compatto e interminabile. Sopra, l’azzurro accecante del cielo estivo che mentre accompagnava il disco infuocato del sole nella sua lenta discesa, assumeva gradualmente tutte le sfumature del celeste, del blu, dell’indaco, fino al viola, al grigio, al nero. E lui, l’interprete principale, fiero del suo ruolo di prim’attore, si beava dei nostri sguardi rapiti e ammutoliti mentre si prodigava in un favoloso tramonto, assumendo tonalità sempre più accese. Ci accoccolammo sulla duna, mentre lungo tutto il crinale tantissime altre persone facevano altrettanto, e tenendo i piedi sepolti nella sabbia tiepida al riparo dal vento che stava diventando freddo, accompagnammo il sole con i nostri sguardi mentre si preparava lentamente ad una notte di riposo. Non avrei mai dimenticato lo sguardo meravigliato di mia figlia mentre assisteva con stupore al primo tramonto della sua vita, aspettandosi quasi di avvertire lo sfrigolio della palla infuocata quando avesse toccato l’acqua, mentre in silenzio ci tenevamo per mano. Non avrei mai dimenticato l’applauso, immediato e fragoroso, sgorgato simultaneamente e spontaneamente da centinaia di mani, testimoni dello stesso stupefacente momento, quando anche l’ultimo minuscolo pezzettino arancione fu inghiottito dal mare. Ci rialzammo un po’ intorpiditi, un po’ incapaci di accettare che una cosa così semplice potesse essere così bella, apprestandoci alla via del ritorno, mentre il vento si faceva pungente e i colori si smorzavano sempre più. La ripida discesa di sabbia incitava ai tuffi, alle capriole, all’obbligatoria corsa su una pendenza degna di una pista nera, che mia figlia e suo padre si fecero tutta d’un fiato ridendo come matti. Io, nel pieno rispetto delle mie preferenze sciistiche, scelsi il lato pista rossa, correndo giù allegra e scanzonata, trattenendo dentro di me quel susseguirsi di emozioni fantastiche che mi avevano accompagnata per tutta la serata. I ricordi sono così. Quando ti assalgono li devi far scorrere dietro ai tuoi occhi chiusi come un filmino in Super 8, traballante e un po’ sgranato, assaporando e rivivendo luoghi, persone, fatti, odori e colori. Oggi mi sono ricordata di una serata estiva, unica ed indimenticabile, quando rimboccammo le coperte al sole che andava a dormire dalla Dune du Pyla.

venerdì 21 settembre 2007

Schiacciata con l'uva


Dopo averne evocato il dolce aroma nel mio precedente scritto, ho deciso di immortalarne la fragranza e i colori, dal rosso rubino del succo d’uva alla lucentezza dello zucchero fuso, all’oro e al bronzo della pasta, soffice e croccante al tempo stesso. Uno tra i dolci più antichi e popolari delle mie terre, semplice e genuino e, proprio per questo, assolutamente delizioso.

Ingredienti:
1 kg. di uva nera da vino
400 gr.di farina
200 gr. di zucchero
1 bustina di lievito di birra disidratato
olio extra vergine di oliva
un cucchiaino di sale fino
acqua

Preparazione:
Impastare a mano o con l’ausilio del mixer la farina, il sale, 4 cucchiai di olio, 4 cucchiai di zucchero, il lievito e un bicchiere di acqua tiepida. Dopo aver impastato bene, fare una palla e lasciarla lievitare per 1 ora, coperta da un asciughino e in un luogo riparato da sbalzi di temperatura. Prendere circa 2/3 dell'impasto e stendere una sfoglia sottile. Ricoprire il fondo di una teglia da forno rettangolare con carta da forno unta d’olio e metterci la sfoglia, lasciando i bordi di pasta alti. Metterci sopra circa 700 gr. di acini d’uva, precedentemente lavati. Spargere sull’uva tre cucchiai di zucchero e irrorare con un bel giro di olio. Stendere a sfoglia anche la pasta rimanente, con la quale ricoprire l’uva ripiegando i lembi della sfoglia sottostante sopra la nuova sfoglia. Ricoprire con gli acini d’uva rimasti, premendoli leggermente sulla sfoglia, spargere altri tre cucchiai di zucchero e nuovo giro di olio. Cuocere in forno preriscaldato a 180° per un’ora. A cottura ultimata, far raffreddare completamente a temperatura ambiente. Dovrebbe essere mangiata il giorno dopo, quando il succo d'uva sarà ben penetrato nell'impasto. Non mettere in frigorifero.

mercoledì 19 settembre 2007

Settembre


Eccolo qua, il mio magico Settembre. Puntuale anche quest’anno come un orologio svizzero. Nonostante si mormori che non ci siano più le mezze stagioni e si vociferi che alcuni suoi colleghi, tali Aprile e Maggio, abbiano segretamente tradito la fidanzata storica, tale Primavera, Settembre è invece rimasto fedele al suo ruolo, immutato negli anni, perlomeno quelli di cui io conservo il ricordo. Come un uomo d’altri tempi, educato e rispettoso delle tradizioni, porta con se il suo inconfondibile bagaglio, che amo e che mi rende felice. Forse è per il fatto che io ci sono nata in Settembre, chissà. Magari una folata di vispo vento settembrino entrò nella mia culla scomponendo il tulle che la ricopriva e io annusandola la incorporai al mio DNA. O forse non c’entra affatto. Fatto sta che quando arrivano queste giornate croccanti, fatte di cielo indaco e gonfi nuvoloni all’orizzonte, di aria frizzante del mattino che ci vuole già il golfino sulle spalle, di piogge improvvise e quanto mai benvenute da prati, boschi e davanzali assetati, di tuoni nella notte, cupi brontolii di stelle arrabbiate, di vento birichino che fa sbattere porte e finestre, di sole che tramonta all’ora giusta, quando si torna a casa e si comincia a preparare la cena, io mi sento serena e appagata da tutto quello che mi circonda. Poco importa se una repentina raffica di vento rovescerà i vasi nel mio giardino, se le scarpe leggere si infradiceranno sotto un temporale improvviso, se l’aria fresca mi farà starnutire quando mi sveglio al mattino. Poco importa se significa poter gustare una tazza di tè bollente, mentre appoggiata al bancone della cucina raccolgo i capelli e i pensieri e dal forno acceso la schiacciata con l’uva riempie la casa di quel suo profumo unico e dolcissimo. Poco importa davvero. Bentornato Settembre.

lunedì 17 settembre 2007

Pesciolino rosso


L’atmosfera è la stessa di sempre, le voci che rimbombano, l’aria umida, il vago odore del cloro, gli istruttori a bordo vasca, i genitori seduti sulle gradinate, chi legge, chi guarda, chi parla al cellulare. Davanti a me si stende l’acqua, così azzurra da creare un’illusione caraibica, quando invece si tratta solo di una piscina cittadina, con piattaforme numerate al posto delle palme e delimitata da corsie bianche e blu anziché da una bella orlatura di sabbia bianca. I pesciolini son tutti in acqua, cuffie colorate che guizzano veloci come tante palline galleggianti sulla superficie brillante di neon e raggi di sole. Tra tutti quei pesciolini rossi, lì nel mezzo ci sei anche tu, e il mio sguardo ti osserva rapito e ammirato mentre fendi l’acqua veloce con bracciate perfette. Chiudo gli occhi e ti rivedo qui, in questa stessa piscina, poco più di sette anni fa, mentre con i tuoi pochi mesi, pochi capelli e mutandine in spugna rosa, tuo padre ti soffiava sul viso affinché tu trattenessi il respiro e poi ti tuffava nel blu, mentre io da queste stesse gradinate trattenevo il fiato a mia volta finché non ti vedevo riemergere, occhi sgranati e labbra increspate in un sorriso. Sei sempre stata un pesciolino vivace, fin da quando sperimentavi capriole e giravolte subacquee nel mio pancione, ballerina di nuoto sincronizzato in miniatura, scalciando e sgomitando che forse l’acqua era già troppo poca per te. Adesso anche la piscina comincia a starti stretta e vedo già vicino il giorno in cui le profondità marine ti faranno innamorare di gorgonie e cernie giganti, pesci luna e barracuda, degna figlia di tuo padre. Qualche mese fa hai provato per la prima volta a respirare sott’acqua ed è bastato che l’istruttore ti dicesse che era già l’ora di tornar su per farti arrabbiare. Credo che il pesciolino rosso si stia velocemente trasformando in delfino ed io, che l’acqua la amo solo se non supera i due metri, continuerò a guardarti dal bordo. Della vasca o della barca, poco importa. Io, ci sarò.

giovedì 13 settembre 2007

A caval donato non si guarda in bocca


Per il mio compleanno ho ricevuto in dono una giornata di trattamenti benessere in una spa cittadina. Un carnet composto da un massaggio rilassante alla farina di ceci, uno agli oli essenziali, un trattamento di pulizia profonda del viso con maschera rigenerante, uno scrub aromaterapico al cacao, un trattamento mani-piedi e ancora qualcos’altro che al momento non ricordo. Probabilmente tante signore e signorine andrebbero in brodo di giuggiole per un regalo così. Io no. Io, che in vita mia sono andata una volta sola dall’estetista e ne sono uscita con la faccia gonfia come un pallone. Io, che non amo sentirmi toccare e strofinare da mani estranee. Io, che soffrendo di una dermatite cronica non posso neanche prenderli in considerazione scrub e pulizie del viso. A caval donato non si guarda in bocca, dice il proverbio, e si sa che i proverbi in quanto a saggezza vanno lasciati stare. E a cose normali, se il regalo mi fosse giunto da colleghi, amici o finanche mia suocera (questa è un’eventualità impossibile, ma si fa per dire) avrei sorriso con garbo, esclamando che si trattava di un bellissimo regalo, grazie infinite di cuore. Così mi hanno insegnato e così si fa. Ma quando il dono in questione ti arriva dalla tua dolce metà col quale hai condiviso gli ultimi ventidue anni della tua vita, mica ventidue giorni, ci resti male. E dissimulare la delusione è difficile. A me non è riuscito. Se a volte col resto del mondo riesco a stamparmi sulla faccia un sorriso di circostanza, con mio marito non riesco a non essere sincera. Forse è un difetto, non so. Ma quello che mi ha fatto più male non è stato l’aver ricevuto un regalo sbagliato, quello può capitare anche dalle persone che ti conoscono meglio: taglia sbagliata, colore che non è il tuo, genere che non ami particolarmente, profumo non proprio di tuo gusto, e la lista può essere infinita. E’ stato il dover ammettere con me stessa che, nonostante ventidue anni insieme, per tante, forse troppe cose, non so, corriamo su due binari paralleli che in quanto tali non si incontreranno mai.

mercoledì 12 settembre 2007

42° giro di boa


Ci sono dei momenti in cui penso di essere molto diversa da quella bimba boccoluta in cappottino e calzetti corti di un pomeriggio domenicale trascorso ai giardini pubblici di Barberino del Mugello nel 1967. A volte invece penso di non essere cambiata affatto. Mi sento ancora molto bambina. Ma anche donna. Una donna bambina, ecco. Perché quel lato giocoso e spensierato del mio carattere non mi ha mai abbandonata per cedere il posto alla serietà e al rigore della maturità ma bensì si è solo fatto un po’ più in là, come quando ci si stringe in quattro sul sedile posteriore di una Panda, per entrarci tutti senza lasciar a piedi nessuno. Una stretta convivenza di spensieratezza e austerità, compostezza e vivacità, impegno e risate. La mia ancora di salvezza del resto, una riserva di allegria e di ottimismo a cui attingere nei momenti più bui, per riuscire a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Non tutti se ne accorgono subito, beninteso, che sotto la superficie seria e riflessiva, composta e tenace, si nasconde un animo buffo e divertente che sa prendersi in giro e mettersi in gioco al momento giusto. Un po’ come una mela, liscia, lucida, dalla sobria buccia sfumata, che ospiti al proprio interno un torsolo rosa fucsia come una Big Babol e zuccheroso come marzapane. Anche oggi, che la mia navigazione giunge al 42° giro di boa, non senza aver attraversato tempeste e bonacce, burrasche e venti tesi, son lì che mastico il mio nocciolo rosa e ogni tanto ci faccio anche un palloncino.

martedì 11 settembre 2007

Mamma, portami un regalo


E’ una tradizione. E come tale, naturalmente, va rispettata, ci mancherebbe altro. Così, le due-tre volte l’anno che parto per un viaggetto di lavoro, so che al mio ritorno il mio bagaglio verrà accuratamente ispezionato da un paio di manine ben più attente di quelle di un ispettore doganale, alla ricerca del pacchettino del caso. Le prime volte che è successo, vista l'impossibilità di incrociare un negozio in orario di apertura, sono caduta su un acquisto last-second in stazione, in uno di quegli empori dell'improponibile zeppi di giocattoli Made in China e gadget di dubbio gusto. Ma tant'è, la pargola ha comunque gradito l'asciugacapelli a batterie per il suo stuolo di bambole e l'imitazione scadente del super-mag. Poi mi sono fatta furba e sono passata all'acquisto casalingo prima della partenza, da occultarsi in valigia, tra pigiama e moduli d'ordine, e portarsi appresso nelle peregrinazioni. Così sono arrivati libri, Hamtaro e Polly Pocket. A questo giro però mi sono fatta cogliere un po' impreparata. A dire il vero, un pacchettino contenente un libriccino l'avevo imboscato nella tasca della biancheria, ma non mi convinceva molto, l'avevo preso al volo, mentre per scegliere un buon libro ci vuole il suo tempo. La fretta non è mai una buona consigliera. Neppure per un libro da bambini. Così, mi ronzava in testa il pensiero che avrei dovuto trovare qualcos'altro, qualcosa di più soddisfacente. Anche una sciocchezza, ma più appagante, più sfiziosa. Ed ecco che durante una passeggiatina tra colleghi per aiutare il filetto di Angus al pepe nero e vino di Borgogna, le patate al forno e la millefoglie di frutti rossi e caramello a trovare la loro giusta collocazione in area digestiva, mi imbatto in un banchetto improvvisato pieno di quel tipo di paccottiglia sbrilluccicosa che tanto mi piace. E lì nel mezzo, tra anelli extra large e collanone estive, ti vedo un giro di falsissime perle con una simpaticissima Hello Kitty di rosso vestita attaccata nel mezzo. Perfetto! La mia picci vanitosa la adorerà, come sua madre del resto sta già facendo. Così, affare fatto, la kitsch-collana diventa mia, anzi sua. E son già lì che penso se sia sconveniente pensare di farmela prestare qualche volta quando a poca distanza noto un braccialetto altrettanto kitsch e altrettanto sfizioso, perle rosate, qualche perla iridescente e tre mini Hello Kitty rosa confetto che ciondolano allegramente. Colpo di fulmine, naturalmente, e poco dopo è già lì al mio polso destro, tra il Tiffany e il tennis. Il sacro accanto al profano. Ma sì, ogni tanto ci vuole, fa bene all’umore. E l’abbraccio di mia figlia felice del suo collier di gran classe è stato il più bel regalo di bentornata che potessi desiderare.

venerdì 7 settembre 2007

Prossima fermata, Milano


Milano, sì. Non solo quella da bere, ma anche quella da mangiare, che a Milano i ristoranti vanno lasciati stare, sissignori, sopraffini sia agli occhi che al palato. Anche quella da lavorare, naturalmente, perché mi aspettano alcune giornate belle toste, milanesi per l’appunto, di quelle che a sera ho due zampogne al posto dei piedi. Ma dopo, Milano si fa sempre perdonare, tra un aperitivo in Corso Como, un risottino perfettamente mantecato e, se non crollo prima, due passi notturni in zona Brera. E poi, per me questi giorni di evasione professionale sono sempre una piccola, brevissima vacanza. Della mente se non del corpo, beninteso, ma comunque preziosi per staccare la spina da tutto quello che la normalità della mia vita comporta. Lavatrici da fare e da stirare, cene da preparare, letti da rifare, tabelline da risentire, pane e latte da acquistare, macchie da smacchiare e caffèlatte da versare. Per pochi giorni, via tutto ciò, cancellato come una scritta in gesso alla lavagna. Concedermi il lusso di lasciare schizzi d’acqua in bagno dopo la doccia, il letto disfatto, i vestiti alla rinfusa. Scegliere con calma da ricchi menù tra una chiacchiera e un grissino sgranocchiato. Sfogliare il quotidiano fresco di stampa aspettando la colazione, servita tra fiandra e argenti. Mica poco, perbacco. Mica poco davvero. E allora ben venga Milano. Da bere, da mangiare e anche da lavorare.

mercoledì 5 settembre 2007

Insalata Granny Smith


Qualche sera fa, durante una simpatica cena in piedi, ho assaggiato una buonissima insalata di mele verdi, diversa e sfiziosa, che ieri ho subito provato a rifare a casa per la gioia delle mie papille gustative e incurante delle neppure tanto velate minacce di divorzio da parte del mio consorte, acerrimo nemico di aringhe, acciughe e affini. Con sommo sprezzo del pericolo, mi sono quindi lanciata nella preparazione di questo semplice ma intrigante piatto, che per un'aringa-dipendente come la sottoscritta si è rivelato una vera prelibatezza. Il risultato è stato perfetto, un piatto fresco, veloce e molto appetitoso. Peccato averlo dovuto gustare in solitudine ma, si sa, mica tutte le ciambelle riescono col buco. Men che meno i mariti.

Ingredienti (per 4 persone):
2 mele verdi Granny Smith
2 pere Kaiser
2 patate bollite
2 filetti di aringa marinati
olio extra vergine di oliva
sale
limone

Preparazione:
Lavare bene le mele e tagliarle a pezzetti non troppo piccoli, lasciando la buccia. Aggiungere le pere sbucciate e tagliate a pezzetti. Bollire le patate senza che si ammorbidiscano troppo, sbucciarle, tagliarle a pezzetti e aggiungerle alla frutta. Tagliare i filetti di aringa a pezzetti e mescolarli al resto. Condire con olio extravergine di oliva, un pizzico di sale e qualche goccia di limone. Lasciare riposare una mezz’ora a temperatura ambiente prima di servire, accompagnando con fettine di pane integrale.

martedì 4 settembre 2007

Il mio capodanno


E’ proprio vero. Come già qualcun altro sostiene, anche per me il nuovo anno inizia ai primi di Settembre, quando tutto si rimette in moto dopo la letargia estiva. Quando le tessere del puzzle, fatto di abitudini e consuetudini, tornano al loro posto e il ritmo che accompagna la mia vita da Settembre a Giugno ricomincia a scandire le mie giornate. Il capodanno di San Silvestro è solo un banalissimo cambio di data e l’occasione per brindare mentre scoppia qualche petardo. Quello di questi giorni segna invece la nascita del nuovo anno lavorativo e familiare, dove tutto sta per ricominciare e riprendere vita e, mentre mi sistemo sui blocchi di partenza, mi fa sentire emozionata e tranquillizzata al tempo stesso, perché non c’è niente di meglio di una bella dose di banalissima routine per sentirsi protetti e rilassati, anche se, come è normale che sia, l’imprevisto che condirà con sale e pepe le mie giornate è naturalmente già pronto dietro l’angolo. Eccomi quindi di nuovo e per fortuna alle prese con la riapertura della scuola e l’acquisto del nuovo corredo scolastico: astuccio a tre scomparti con tigrotto in campo verde perché quello di Barbie ha definitivamente rassegnato le sue dimissioni, diario con cuccioli assortiti che le Winx son già finite nel dimenticatoio, penne cancellabili, grembiulini blu elettrico pronti ad affrontare centinaia di lavatrici e libri di testo allegri e colorati da ricoprire accuratamente con plastica trasparente, che le manine che li sfoglieranno non saranno mica poi così gentili. E poi, il giochino degli incastri, la composizione degli impegni settimanali, dove tutto viene scandito da orari, corsi e luoghi da mixare e frullare a perfezione per creare un cocktail di facile gestibilità, che poi non si rivela mai così facile come avevo pronosticato. I giorni di danza classica sono rimasti gli stessi ma l’orario si è allungato, inglese dovrebbe essere invariato ma cambia l’insegnante, la piscina resta per il sabato mattina e da qualche parte c’è pure da infilare il catechismo, la new entry dell’anno. Ma sì, ce la faremo, non ho dubbi. Tra corse in bus, pioggia, vento, raffreddori, compiti, amichette, merende, feste e programmi puntualmente da riprogrammare, ce la faremo anche quest’anno. E’ il bello della diretta. 3,2,1… si ricomincia. Buon anno Gallina!

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin