venerdì 24 febbraio 2012

Non è la primavera

Cosa c’è, cosa non c’è. Ma cosa vuoi che ci sia, le tue solite fisime, i magoni, i ferri da stiro piantati in gola e gli occhi che ti diventano lucidi per un nonnulla. Ohibò, sarà la primavera. No, che non è la primavera, testona che non sei altro, che poi come fai a parlare di primavera che fino a due giorni fa sembrava di essere in Siberia e ora mica può bastare una mezza giornata di sole e una manciata di gradi per farti gridare al cambio di stagione. No cara, siamo ancora in inverno e quindi non è la primavera. Te lo dico io cos’è, è la tua strullaggine, per non dir di peggio, la tua troppa sensibilità, la tua anima fragile e i tuoi pensieri di carta velina, ecco cos’è. Non hai ancora imparato che al mattino dopo la doccia e la crema idratante devi indossare l’armatura, la cotta di maglia di Lancillotto e in certi giorni, perché no, anche l’elmo di ferro, quello integrale che fa tanto bene alla cervicale. Demodé dici? Beh, in effetti, non hai tutti i torti. Ti consiglio allora un bel completino in mylar della Nasa al quale volendo puoi aggiungere l’alabarda spaziale di Goldrake, giusto per un piccolo tocco vintage. L’effetto non cambia. Ti devi fortificare cara mia, e qui mica bastano le vitamine che prendi a colazione. Qui bisogna rafforzarsi da dentro, irrobustirsi, cambiare la fodera, come si faceva con i cassetti della nonna, via la carta vecchia ed ingiallita e vai con una nuova tutto un tripudio di rose Sanderson. Cosa c’è, cosa non c’è. Suvvia che non c’è nulla, e lo sai bene. Come sai bene che no, non è la primavera.

lunedì 13 febbraio 2012

Mica sei tanto malata

La malata è come il pesce, dopo tre giorni puzza. E se si tratta della mamma, o della moglie, ne bastano appena due. E benché dopo diversi giorni di rapporti intimi con termometro e tachipirina io non abbia certamente il profumo di una rosellina all’alba, sono sicura di non emanare neppure odori nauseabondi. No, il puzzo di pesce in oggetto è tutt’altra cosa. Sono gli sguardi di incredulità, gli sbuffi, le decine di uffa e i ripigliati che mi piovono addosso che mi fanno imbestialire. Le madri e le mogli non hanno il diritto di ammalarsi mai e se poi cotanta arroganza si manifesta proprio a cavallo del fine settimana dove il galletto si sente investito di gravosissimi compiti extra, quali preparare del cibo, sparecchiare la tavola o aiutare la pulcina a fare una ricerca, spalancati cielo che disgrazia. Se poi la malata, povera ingenua, si fa beccare mentre a letto, invece di esalare affannosi respiri febbricitanti con gli occhi arrovesciati, sta guardando placida un film o legge un libro, oppure se durante il percorso dalla camera al bagno si sofferma a staccare un fiore secco ad una pianta, ecco che partono subito le dolci, inestimabili parole: ma allora non sei mica tanto malata. Insomma, se non ti vedono una flebo attaccata al braccio fai meglio ad infilarti una tuta e a far finta di sentirti meglio.

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