venerdì 26 febbraio 2010

Magnolia days

L'ultimo giorno è sempre un po' velato di tristezza, di qualsiasi ultimo giorno si tratti, che sia di scuola, di vacanza, di palestra, di casa vecchia, di corso pre-parto, persino di ospedale che a volte capita anche di affezionarsi ai medici e agli infermieri. Nel mio caso si tratta dell'ultimo giorno nei vecchi uffici, già completamente invasi da dozzine di scatoloni, traslocatori che vanno e vengono e polvere ovunque, per la gioia della mia allergia. La scrivania già deserta, resta solo questo pc, il telefono e una bottiglia d'acqua minerale. Mi mette tristezza pensare che da lunedì le mie dita scorreranno su una tastiera diversa, che non mi conosce come io non conosco lei, e mi faccio domande sceme tipo se sarà di quelle silenziose o di quelle dove si sente il ticchettare dei tasti, che ne mio caso poi è un gran bel ticchettare visto che nonostante anni di dattilografia continuo imperterrita a scrivere con i soli due indici, anche se dalla velocità non si direbbe. Faremo amicizia, è ovvio, ma non sarà la stessa cosa, non subito perlomeno. La mia amica nera e argento qui davanti a me conosceva bene le mie dita ma anche le lacrime che a volte ci sono rotolate dentro all'improvviso, le briciole di focaccia che poi cercavo inutilmente di soffiare via, e anche qualche schizzo di caffè. Otto anni non sono proprio pochi, e anche se il lavoro non cambia di una virgola, i colleghi restano gli stessi e la nuova sede è semplicemente meravigliosa oltre che vicinissima a casa mia, mi mancheranno le semplici cose di tutti i giorni, come la magnolia davanti alla finestra, che solo guardandone le foglie capisco se piove o se c'è il sole, quella macchia sul muro che tutti scambiano per un ragno, i rumori attutiti dell'ora di pranzo, la mia sedia girevole mezza sciancata e macchiata di blu. Per me che mi affeziono a tutto, anche ai bus, sarà difficile dire addio oggi a questo palazzo storico affacciato sul fiume, al bar all'angolo, al ponte da attraversare sull'Arno limaccioso e gonfio di pioggia, o stanco e verdastro dell'estate. Ai bellissimi anni trascorsi tra queste mura.

giovedì 25 febbraio 2010

Sulle punte

Alla fine il gran giorno è arrivato. Anche se sembra solo ieri quel pomeriggio d’inverno in cui ti accompagnai alla tua prima lezione di gioco-danza, tenerissimo cucciolo in calzamaglia di poco più di tre anni, in realtà di tempo ne è passato tanto e tutto trascorso in trepida attesa delle famose punte, guardando con occhi sognanti le grandi che le indossavano rapide nello spogliatoio e immaginando quando saresti stata tu ad incrociare i nastri rosa attorno alle caviglie, per poi spiccare il volo. Nel ripostiglio conservo ancora le tue prime mezze punte, la pelle grinzosa ed i laccetti sfilacciati, il numero non si legge più ma poco importa, sono così piccine che sembrano le miniature che le ballerine attaccano al borsone, vezzosissima charm che grida al mondo intero la propria passione, e che anche tu a questo punto ti sei affrettata ad appendere. Sì, ci siamo, le punte, quelle vere, sono arrivate, acquistate da sola con le compagne di corso e l’insegnante, in una spedizione speciale fatta solo per quello e per la tradizionale crèpe alla Nutella che storicamente segue l’importantissimo acquisto, degna coronazione di un pomeriggio da ricordare. Le hai guardate, ammirate, baciate, strette al cuore, incredula che fossero finalmente tue. Ci vado su benissimo mamma, la maestra ha detto che ho un collo del piede fantastico, che qui mica si scherza più con i colli del piede signori miei, lo sanno anche i muratori ed i commercialisti ormai che il collo del piede è roba seria, Celentano docet. In ogni caso, anche se il collo del piede indubbiamente aiuta, la strada da fare è ancora lunga, e così si comincia con le prime lezioni traballanti, le imbottiture di lana, i salva dita tubolari che poi sono gli stessi che le vecchiette usano per i calli, ed immancabilmente i piedi doloranti. Però all’uscita dalla sala le tue gote sono accese, gli occhi brillano come diamanti, sei così felice che neppure ti accorgi di zoppicare un po’. Il tuo sorriso copre tutto. Io ti guardo e gli anni si annullano, in un attimo ritrovo quella cucciolina che uscì ridendo dalla sala, divertita come non mai.

lunedì 22 febbraio 2010

Verde speranza

Ancora un altro lunedì, un'altra settimana, tutta da inventare, da comporre come un puzzle per farci stare dentro tutto, come le valigie che non si vogliono chiudere e ti ci devi sedere sopra per far scattare la chiusura e poi ti accorgi che c'è sempre l'orlo di una gonna o il laccetto di un bikini che sono rimasti a contrasto e ti tocca riaprirla e ricominciare. Così sarà la mia settimana, come tutte del resto da un bel pezzo in qua, piena del solito ordinario e del molto straordinario, da gestire con pazienza, con abilità da domatore, con qualche gioco di prestigio e forse anche qualche magia. Se penso a tutto mi viene il mal di mare. Troppo, decisamente. Devo concentrarmi sul presente, sulla mezza giornata, forse anche solo su questa ora senza sforare su quella successiva. Un beverone dolce-amaro da buttare giù a piccoli sorsi, perché in una volta sola rischierei di soffocare. Non so quando il ritmo si interromperà, spero presto, ma chissà, forse trovare la calma tutta insieme mi farebbe addirittura male, perdinci, mica ci son più abituata. Mi potrei ammalare da choc da nullafacenza, patologia gravissima per la quale non sono vaccinata e non ho neppure più le difese immunitarie. Avrei bisogno di una cosina graduale, delicata, come si confà ad una signora, ad una vecchia gallina del mio stampo. Ecco, potrebbe andar bene anche un tè di una mezz’ora con un'amica, è già sarebbe tanta roba. Inutile farneticare, per adesso non c'è problema, continuando a correre come sto facendo non corro alcun rischio e resto immune. Ci penseremo al momento opportuno. Nel frattempo però comincio a vedere tutti questi segni di rinascita intorno a me, come i piccoli ciuffi verdi dei bulbi seminascosti nella terra bagnata, interrati in un lontano giorno d'autunno e dei quali mi ero quasi dimenticata, e sorrido.

mercoledì 17 febbraio 2010

Dentro e fuori

Sarebbe meglio non doversi mai recare in una terapia intensiva, per nessun motivo. Si respira un'aria tesa, strana, come sospesa, in attesa di qualcosa. Di un miglioramento, di una guarigione, di un miracolo. Si cerca di fare meno rumore possibile e quando si incontrano gli altri parenti nel corridoio o in sala d'aspetto ci si guarda di sottecchi, come se a guardarsi apertamente si potesse venir travolti anche dal dolore o dalla preoccupazione degli altri, come se il nostro non bastasse già. Si ascoltano storie tristi senza neppure volerlo, un commento dei parenti del malato accanto, una frase della signora seduta davanti che sta parlando al telefonino. Di tutte queste storie che si incrociano tra monitor e segnali acustici, quella di mio padre adesso è senz’altro tra le più lievi, e quasi me ne vergogno. Lui ride, scherza con le infermiere mentre lo imbocco e ascolta la partita per radio con le cuffiette del walkman, proprio mentre al di là della tenda c'è qualcuno senza molte speranze e in corridoio una madre un po' in là con gli anni ha un malore per la disperazione di un figlio che forse non ce la farà a vivere quanto lei. Cammino in punta di piedi, in silenzio, trattenendo il respiro. Esco nella notte, l'aria è fredda, pungente. Guardo le stelle, ma quanto è bella la notte. Adoro tutto ciò che mi circonda, gli alberi, i passanti sul marciapiede, l'autobus affollato, ho occhi diversi stasera. La prospettiva della cena ancora da preparare, la stanchezza, le rispostacce di mia figlia, stasera tutto mi sembra splendido. Forse dovrebbe essere sempre così.

giovedì 11 febbraio 2010

Nevica

Guardare cadere la neve mi è sempre piaciuto tanto. Volgere lo sguardo verso quel mare grigio e compatto del cielo e ipnotizzarsi osservando quei milioni di pallini bianchi cadere giù senza tregua, infiniti e silenziosi. Guardandoli dal basso ho sempre l’impressione che loro in effetti stiano fermi, sospesi a mezz’aria, e che in realtà sia io che sto volando verso di loro. Oggi è diverso però. Questa nevicata improvvisa che sta imbiancando tetti e giardini la sto osservando attraverso i vetri della finestra di questa sala d’aspetto, fredda, asettica, luci al neon e scomode poltroncine metalliche. Sto aspettando ormai da quasi tre ore che mio padre esca dalla sala operatoria, cercando di non pensare a come ne uscirà, quando ne uscirà. I rischi li conoscevo già tutti, la decisione è la sua ed io non posso che rispettarla e in parte anche condividerla, ma sentirselo ripetere ancora, più volte, dal neurochirurgo e dall’anestesista, già pronti in camice verde e mascherina, non è stato facile. Ma del resto mi chiedo cosa mai sia stato facile nella mia vita. Aspetto. In silenzio, sola, in compagnia di mille pensieri, di questa penna e di questo taccuino fucsia, unica nota di colore in questa stanza triste dove siedo da molto tempo. Erano tanti giorni che non facevo che correre, oggi finalmente posso stare seduta. E’ solo il mio cuore che continua a galoppare. Fuori, intanto, cade la neve.

venerdì 5 febbraio 2010

On parle français

In effetti era già più di un anno che la pulcina diceva che alle medie avrebbe scelto il francese come seconda lingua. Poi però la data delle iscrizioni si avvicinava e l’opzione spagnolo era sulla bocca di tutti. E’ più moderno, più utile, più allegro, più facile, più diffuso. Sembrava che quasi tutta la scuola stesse scegliendo lo spagnolo, lasciando il vecchio e desueto francese a coloro che non sapevano stare al passo con i tempi, a quelli un po’ snob e ai semplici sfigati. Così, nell’arco di poco tempo, la pulcina è stata colta da atroci dubbi e ansie di fare la scelta sbagliata e lasciandosi trasportare dall’onda ha pensato che sì, sicuramente fosse meglio scegliere lo spagnolo. Ma il tarlo restava, lavorando in silenzio, scavando senza tregua, notte e giorno, rinnovando un nuovo stato d’ansia. Lo vedevo, lo percepivo, leggevo nei suoi occhi la domanda, sarà la scelta giusta? ciò che preferisco davvero? Poi, improvvisamente, a pochissimi giorni dalla fatidica iscrizione, è scoppiato il bubbone. Quasi con le lacrime agli occhi, ha detto a chiare lettere che no, a lei non importava che le sue amiche scegliessero spagnolo o che il liceo più vicino a casa avesse per l’appunto una sezione dedicata, che poi con tutta questa serie di riforme delle scuole superiori vattelapesca cosa ci sarà tra tre anni in quel liceo, magari la sezione di cinese. A lei non importava che lo spagnolo fosse considerato più moderno, facile o divertente. Lei preferiva il francese. Lei vuole scegliere il francese. Sospiro di sollievo. Grandi sorrisi. Felice che la sua volontà sia emersa, si sia manifestata, abbia alzato la voce. Mai scegliere qualcosa solo perché lo fanno tutti, figlia mia. Mai. E poi, prima che arrivasse l’inglese a farla da padrone, per tanti anni la lingua d’oltralpe è stata la mia prima lingua, quella che parlavo meglio, che ho iniziato a studiare fin da piccola e che adesso è chiusa da anni in un cassettino impolverato della mia memoria. Vorrà dire che inizierò a rispolverarla per lei. Con lei. Ormai è deciso, on y va!

lunedì 1 febbraio 2010

L'amicizia è un'altra cosa

Per essere freddo, è freddo. Generale Inverno in piena regola, non c’è che dire. Neve, pioggia ghiacciata, vento polare, è passato di tutto in questi ultimi due mesi, e anche se da qualche giorno il cielo è azzurro, in realtà il sole è solo un bottone dorato cucito nel bel mezzo di una tenda di seta, giusto una decorazione, perché di calore proprio non se ne parla. I suoi raggi fanno scintillare la brinata che ricopre le strade e le auto mentre cammino svelta fasciata nella sciarpa come una mummia ed i pensieri si condensano in rapide nuvolette di fiato. Ho ancora stampato sulle labbra il sorriso di pochi minuti fa, quando negli ultimi trafelati momenti prima di uscire di casa, tra una passata di mascara e la lista della spesa da buttare in borsa, lo sguardo mi è caduto fuori dai vetri e mi sono accorta che, incurante del gelo che ancora incombe, la mia amata Debbie ha deciso di aprire il primo coloratissimo boccio. Che sorpresa vedere quella macchia brillante in mezzo al verde scuro del triste giardino spoglio. Lei era lì, nonostante il sottozero, fedelissima, ad annunciarmi come tutti gli anni che, anche se non sembra, la primavera non è poi così lontana. E’ quasi un albero adesso, e tutte le volte che la guardo ripenso a quel piccolo arbusto in vaso acquistato al mercato dei fiori in pieno centro che mi portai a casa in autobus. Ne è passato di tempo da quel giorno ma, nonostante gli anni e un trapianto che forse non ha gradito ma che non poteva essere evitato, adesso è più rigogliosa che mai e saluta l’inverno con la sua spavalda divisa fucsia. Bella cosa la fedeltà. Penso a come sarebbe bello poter contare con la stessa matematica certezza anche sulle persone che reputiamo speciali. Gli amici, ad esempio. A volte ci accorgiamo che improvvisamente quel fiore non sboccia più, che quella che reputavi amicizia purtroppo non lo era. Come sta capitando alla pulcina in questi giorni, alle prese con la sua prima delusione. Ma allora forse non era un vera amica. Non prendertela, le ho detto, farai nuove amicizie. E’ vero, sarà indubbiamente così, ma non ho potuto fare a meno di notare nei suoi occhi quel primo, fugace, triste velo di amarezza. Hai ragione bambina mia, l’amicizia è un’altra cosa.

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin