martedì 31 luglio 2007

Brutti ma simpatici


La prima volta che li ho visti, multicolori e pieni di fori come fette di groviera, ho pensato fossero destinati a medici e infermieri di Topazia, perché anche Geronimo Stilton ogni tanto avrà bisogno di andare dal medico, per un mal di gola o un’indigestione da gorgonzola. E li ho subito scartati e dimenticati, come si fa con un oggetto che mai e poi mai penseremmo possa interessarci. Adesso invece, devo ammettere di stare lentamente rivalutandoli. Lentamente, molto lentamente. Però si stanno facendo strada, mi strappano un sorriso e mi sorprendo a osservarli con sguardo allegro. Insomma, stanno cominciando a piacermi. Bruttarelli lo sono, su questo non vi è dubbio alcuno, ma con la complicità dei colori accattivanti e di quella forma rotondeggiante come le scarpe di Topolino sprizzano simpatia e giocosità, come la naso-pallina rossa dei clown in corsia. Al mare li calzano davvero in molti mentre qui in città per adesso sono solo ai piedi di tanti bambini, ma chissà che prima o poi non nascano le versioni metropolitan chic, con glitter, stampe optical o swarovski, e che comincino a spuntar fuori anche da sotto le scrivanie degli uffici. Del resto, anche i cugini Birkenstock, ce ne hanno messo di tempo per far sì che i nostri occhi li degnassero di uno sguardo più attento. Quando sbarcarono, monopolio prima di tedeschi con calzino corto d’ordinanza e poi di frati in versione sportiva, non si potevano neanche guardare. Poi, lentamente, molto lentamente… Chissà che non mi capiti anche con i Crocs. Avrei giusto bisogno di rinnovare il mio parco di calzature da spiaggia, proprio ieri sono spirati definitivamente i miei amati infradito neri glitterati. La decisione è comunque rimandata alla prossima estate. Nel frattempo, continuerò a guardarli. E a sorridere.

lunedì 30 luglio 2007

Del perché amo la montagna


O del perché la montagna ami me. Perché mi coccoli e mi rassereni come neanche il caldo abbraccio di una madre. Perché mi faccia sentire così piena, colma, di allegria, di energia e di mille cose buone, come una torta ben farcita. Perché mi faccia sempre sentire in pace con me stessa e con il mondo, sazia di complicazioni e predisposta alla più totale tranquillità. Qualcuno mi poneva questa domanda pochi giorni fa, del come sia nato questo amore, totale e ricambiato. La risposta che mi è venuta facile alle labbra è stata semplice, perché ci vado da sempre. Perché le vacanze estive la mia famiglia le ha sempre trascorse in montagna, con solo qualche breve tradimento consumato al mare, e io conservo nel mio cuore ricordi e profumi di giorni spensierati e meravigliosi, verdi e brillanti, circondati da rocce e abeti fitti come la nebbia che li avvolge dopo la pioggia agostana. Sere fresche di maglione sulle spalle e cielo di velluto cosparso da migliaia di stelle che se allunghi un braccio ne puoi rubare una. Ore di sentieri stretti e piedi uno avanti all’altro godendo del semplice buongiorno scambiato con altri montanari, perché in montagna come in nessun altro luogo la buona educazione non la si scorda mai. Chiacchiere intorno al fuoco mentre le braciole sfrigolano e spandono nell’aria il loro aroma e mucche dagli enormi campanacci che curiose ci osservano oltre il recinto. Brividi di freddo dopo il tuffo nelle acque gelide del torrente per pagare pegno e interminabili partite a carte sui tavoli di legno delle malghe perché fuori proprio non si può stare. Un chinotto bevuto al buio in fondo al prato nascosti dalle lenzuola stese mentre intorno infuriano risate e grilli. Tramonti insanguinati e irreali nella quiete della sera mentre le Dolomiti lentamente si colorano di rosa e balzi fugaci di cerbiatti dalla lenta seggiovia, tra macchie di sole e chiazze di mirtilli. Ecco perché la amo. Ecco perché lei ama me.

venerdì 27 luglio 2007

La famiglia (quasi) reale


Certamente lontani da Carlo e Camilla. E menomale. Caso mai più vicini a Carolina ed Hernst con la piccola Alexandra, se non altro per il fattore età. Della picci beninteso. A loro capita moltissime volte all’anno, forse troppe. A noi una soltanto o al massimo due, sicuramente poche. Ma anche noi eravamo parecchio bellini ieri sera al ricevimento, eleganti e perfetti, in seta, chiffon e gemelli. Sorridenti e sereni davanti all’obiettivo del fotografo di turno, abbiam fatto la nostra signora figura. Una famiglia reale, o quasi. Ma non potremmo essere così sempre? mi son chiesta guardandoci, seduti sulle panche fresche della chiesa o mentre conversavamo lungo i tavoli del buffet illuminati da mille candele, con quell’aura di pacata eleganza e capelli in piega perfetta, pure quelli della picci che in genere volan sempre di qua e di là. Non potremmo guardarci allo specchio tutti i giorni e scoprirci così, belli e raffinati, anche al mattino presto quando a malapena accendo la macchina del caffè o la sera quando svengo sul divano nel vano tentativo di guardare la tv? Oddio, probabilmente le paillettes, anche se micro e solo vagamente iridescenti, sarebbero un filo esagerate per la corsa selvaggia verso l’autobus in partenza, sempre che un tacco, alto e argenteo, non decidesse di spaccarsi lì sul selciato lasciandomi stupefatta e zoppicante. E anche lo chiffon sfumato tra lo smeraldo e l’ametista di mia figlia, etereo e svolazzante, stonerebbe un po’ alla caccia al tesoro del centro estivo, tra orde di ragazzini vocianti e zainetti buttati alla rinfusa. Sì, credo che vada bene così, solo ogni tanto. Giusto per rincuorarci e sapere che anche noi, umili mortali, anche solo per una volta, possiamo trasformarci in cigni. Perché, diciamocelo, il Principato di Monaco è lontano.

mercoledì 25 luglio 2007

L’orco del vicino è sempre più verde


Non è un errore di battitura purtroppo. Sarebbe molto meglio scrivere di orti e giardini. Non si tratta neppure di Shrek, orco verde per eccellenza, tenero e dolce quanto un cocker spaniel. L’orco a cui mi riferisco è quello che sempre più spesso ci siede accanto sul bus o sulla panchina del parco, che incrociamo frettolosi sul marciapiede, col quale beviamo un caffè al bar o che condivide il nostro stesso pianerottolo. Quello che ispira fiducia, che gentilmente ti chiede un’informazione, che mai avremmo pensato. E che improvvisamente si trasforma in qualcosa di molto diverso, un essere abbietto e mostruoso che ruba i bambini, li fa sparire, li spenge per sempre. I giornali riportano incessanti notizie orribili che non riesco neppure a finire di leggere, ogni giorno si aggiunge un nuovo tassello a questo puzzle di atrocità e mi chiedo dove stia andando a finire l’uomo, quali limiti invalicabili stia ancora cercando di oltrepassare. Mi accorgo che purtroppo non c’è fine. Non c’è mai fine al peggio. Mi ritrovo a guardarmi costantemente intorno, a respirare il sospetto, a giudicare e scandagliare tutti quelli che incontro, che ci vivono vicini o che sfioriamo soltanto. La fiducia nel prossimo è solo un lontano ricordo, liso e sbiadito. Anche se non vorrei, sto insegnando a mia figlia a non fidarsi praticamente di nessuno. Che assurdità. Meglio aver paura che buscarne, diceva mia nonna, ma quanto dolore mi provoca leggere nei suoi occhi stupiti e intimoriti che il lupo cattivo esiste anche fuori dai libri di fiabe. Ed io, da sempre contraria alla pena di morte mi accorgo di aver improvvisamente cambiato idea. Che tristezza infinita.

martedì 24 luglio 2007

Fuga dalla città


Partenza all’alba o quasi. Anzi non proprio, ma va bene lo stesso. L’importante era fuggire dal caldo appiccicoso e stagnante, anche solo per un paio di giorni. Non avrei sopportato un altro fine settimana circondata dal cemento fuso e rovente, barricata in casa ad ascoltare il ronzio dell’aria condizionata. Così, con la complicità di un’immersione subacquea last minute, sabato mattina all’alba-o-quasi-anzi-non-proprio abbiamo caricato un po’ di cose in auto e via col vento direzione mare. Mare che mi ha un po’ delusa, a dir la verità, rispetto ai ricordi che conservavo di quei luoghi, vecchi di alcuni anni. Anni che sono passati evidentemente impietosi non solo con la sottoscritta ma anche con la povera costa toscana, un tempo limpida e cristallina e adesso vagamente somigliante a un caffè d’orzo. L’unica cosa che resta immutata è il sale, ma chissà che prima o poi per colpa nostra non si trasformi, che so, in zucchero di canna, che col caffè d’orzo ci starebbe pure bene. In ogni caso, sabbia sporca e consacrazione ufficiale a membri della tribù dei Piedi Neri a parte, tutti gli altri elementi tipici di un’italico fine settimana balneare c’erano tutti: dalla spiaggia libera invasa da famigliole allegre e vocianti sotto una miriade di ombrelloni sparsi a caso come coloratissimi funghi nati nella notte, allo stabilimento modello Twiga-dei-poveri con ombrelloni di canna e arredamento shabby-chic per un’illusione caraibica, dal pedalò stracarico e pericolosamente inclinato neanche fosse una carretta del mare piena di albanesi, alla infinita processione di vu cumprà con tarocchi, collanine e parei. La differenza, sostanziale, l’ha fatta la campagna maremmana, per fortuna ancora lì, identica e immutata, greggi di pecore e file di cipressi, asinelli docili e affettuosi come labrador, il frinire ininterrotto delle cicale, stelle accese in cielo come fari e una buttera alla brace che avrei voluto non finisse mai. Una fuga dalla città e dal caldo che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. La prossima volta, forse, fuggiremo in montagna.

venerdì 20 luglio 2007

Otto


Otto anni sono trascorsi da quella sera di Luglio, quando dopo l’ultima spinta aprii gli occhi e ti vidi, bagnata e rossa, gli occhi sgranati e curiosi su tua madre e sul mondo. Ecco perché hai scelto una camicia da notte azzurra anche se aspettavi una femmina - mi disse l’ostetrica sorridendo - perché così si sarebbe intonata al colore dei suoi occhi! Occhi azzurri? - pensai incredula ancora frastornata dagli eventi delle ultime ore e degli ultimi nove mesi. Per me era già semplicemente un miracolo guardarli quegli occhi, che il colore era proprio l’ultima cosa. Mi persi immediatamente e irrimediabilmente in te, avvertii distintamente il cuore che si spaccava per riceverti e l’ondata di emozioni che ne fuoriusciva travolgendomi in una girandola di sensazioni uniche e irripetibili. Gioia, incredulità, timore, felicità, ansia, orgoglio, euforia. Tutto si confondeva e si alternava, come una risacca spumeggiante che lambiva il mio corpo e la mia mente a ondate regolari. Ero madre. Eri mia figlia. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da te, da quel nasino, da quella bocca così simile alla mia, da quei piedini minuscoli e perfetti, mentre cercavi di attaccarti al mio seno per le prime piccolissime gocce di vita. Tuo padre, felice e stravolto, lì accanto a noi, ci guardava in silenzio, accarezzandomi, senza riuscire a credere a ciò che i suoi occhi avevano appena visto. Otto anni sono trascorsi da quella sera. Anni di corse al parco e ginocchia sbucciate, di pappe sputate e ciucci dimenticati, di notti insonni di febbre e Tachipirina, di filastrocche inglesi e tuffi in piscina, di saggi di danza e pupazzi di neve, di grembiulini blu e disegni a pastello, di Barbie spettinate e secchiello con formine, di carezze a cani e gatti e pattini a rotelle, di capelli da legare e seggioloni da scalare, di Nutella e di schiacciata all’olio, di biberon di latte e Mylicon in gocce, di dita nel naso e fatina dei dentini, di cartoni animati e libri da inventare prima ancora di saperli leggere. Anni di amore e arrabbiature, risate e punizioni, bronci lacrimosi e coccole infinite. Otto anni semplicemente meravigliosi. Sei la mia vita. Buon compleanno amore mio.

giovedì 19 luglio 2007

Vertigini da tacchi


A causa di un impegno mondano che avrò nei prossimi giorni e della mise piuttosto elegante che ho deciso di indossare per l'occasione, mi sono decisa ad acquistare un bel paio di sandalini argentati, carini, femminili, sexy e ahimè dotati di tacco 9. Io che vivo praticamente sempre rasoterra, compagna inseparabile di sneakers e ballerine, infradito-dipendente e amica del cuore di birkenstock e mocassini, mi sono ritrovata ai piedi due oggetti sconosciuti e affascinanti, che osservavo compiaciuta e stupita con un misto di estasi e timore reverenziale. E paura anche, paura di crollare rovinosamente a terra mentre sorseggio l'aperitivo a bordo piscina. Che non sarebbe una cosa granché bella a vedersi. No, assolutamente sconveniente. Meglio evitare. Così, come un atleta che si prepara per una gara o una cantante lirica che scalda la voce a suon di solfeggi, da ieri ho iniziato l'allenamento, barcollando per casa in tacchi alti mentre passavo l'aspirapolvere o asciugavo i capelli di mia figlia appena uscita dalla doccia. Lei mi guardava rapita e affascinata da quelle due meraviglie attaccate ai miei piedi e si è fatta giurare che quando sarà grande glieli regalerò. Quando invece è rincasato mio marito e mi ha trovata che sbucciavo le patate con grembiule e tacchi argentei mi ha guardata come si guarda un ufo chiedendomi se avessi irrimediabilmente perso quel poco di cervello che mi è rimasto. Giustamente gli anglosassoni li chiamano stiletto, come una pugnalata al cuore o, per dirla alla Gianna Nannini, belli e impossibili. Almeno per me.

mercoledì 18 luglio 2007

Libertà di pancione


Seduti vicini, sfiorandosi le mani, sui divanetti della sala d’attesa, al fresco dell’aria condizionata con sottofondo di musica jazz. Tutti un po’ avanti negli anni, certamente non anziani ma neppure ragazzini, segno che di tempo ne è passato parecchio in attesa di un momento di gioia non ancora arrivato. Coppie diverse tra loro, per aspetto fisico, estrazione sociale o professionale, ma tutte legate dallo stesso destino che li ha portati a condividere quei divanetti in un caldo pomeriggio d’estate. Mentre aspettavo di essere ricevuta dal mio medico per il solito tagliando annuale che spetta di prassi a noi femminucce, sfogliavo distrattamente un giornale e li osservavo di sottecchi, seri e pensierosi, e mi chiedevo se avrei percorso la stessa strada se fosse capitato a me. La voglia di pancione è umana e naturale e credo fermamente che non debba essere negata a nessuno, in nessun modo. Non è un percorso facile da intraprendere quando non si ha la fortuna di ritrovarsi in mano lo stick che ti segnala la positività senza averci pensato molto, in alcuni casi senza averci pensato affatto. E’ una strada in salita, fatta di attese in studi medici, analisi e provette, numeri incomprensibili, diagnosi e cure, speranze accese e delusioni cocenti. Una strada che se non si è ben forti e consapevoli di ciò che ci aspetta rischia di far crollare anche la mente più dura e la volontà più ferrea, una strada che ha visto tante coppie abbandonarla lungo il percorso, distrutte dall’infelicità e dalla frustrazione. Al muro, coloratissime e un po’ sovrapposte, un collage di fotografie di tutti quei bellissimi risultati raggiunti, paffutelli, in pannolino, con ciuccio in dotazione o placidamente addormentati nelle loro culle, come tanti ex-voto in una cappella della Vergine Maria, a dare speranza a coloro che forse stanno per abbandonarla, convinti che a casa loro la cicogna non arriverà mai. I loro sguardi scorrevano sulle foto senza soffermarsi troppo, per timore forse dell’ennesima illusione, dell’ennesima delusione. Io avrei voluto abbracciarli, baciarli, dirgli di non perdere la forza e la fiducia, di crederci fino in fondo, mentre in muta ammirazione li osservavo seguire il camice bianco lungo il corridoio. E in silenzio ho pregato per loro.

martedì 17 luglio 2007

Le due estati


Stavolta è arrivata per davvero. L’Estate, rovente e implacabile, dopo qualche avvistamento e falso allarme, è giunta in città anche quest’anno. Non posso certo dire che l’aspettassi, per me poteva anche andare a trascorrere le vacanze in qualche altro luogo, concedersi un anno sabbatico o magari il prepensionamento, che di questi tempi meglio afferrarlo al volo se te lo danno. Io non ne avrei comunque sentita la mancanza. Dell’Estate cittadina, beninteso, quella che ti si affianca inesorabile mentre corri al lavoro e inizi a sudare già alle otto di mattina, quella delle notti in bianco a rigirarsi scalciando via lenzuola e zanzare, quella che quando sali in autobus ti chiedi se gli altri occupanti conoscano il significato della parola deodorante. Non certo della sua meravigliosa sorella, l’Estate vacanziera, frivola e caciarona, che invece amo alla follia, sia che la incontri su una battigia azzurra e schiumosa che su di un irto sentiero montano oppure quando mi fa compagnia mentre, macchina fotografica a tracolla, girovago per vicoli e piazzette sconosciute. Ecco qua invece sbarcata tra i palazzi la sorella metropolitana, con il suo bagaglio di quasi 40° all’ombra e un tasso di umidità molto vicino a quello della mia doccia. Marciapiedi roventi dove le impronte dei tacchi restano impresse neanche fosse pongo e l’aria tremolante che quando la incontri in Arizona ha indubbiamente il suo bel perché, ma all’uscita dall’ufficio, stanca e affamata, l’avrei scambiata volentieri con una fresca tramontana, come si fa con le figurine dei calciatori. Anche i turisti in coda davanti ai monumenti, che spesso mi suscitano un po’ di invidia solo per il fatto di essere in vacanza, mi hanno fatto una certa pietà con i loro ombrellini aperti e le canotte sudate tutti presi a sventolarsi con le guide turistiche. Meno male che c’è un po’ di vento, ha detto qualcuno. Vento? Ma se mi pareva che una parrucchiera distratta mi avesse puntato un phon in piena faccia, mentre mi dirigevo a riprendere mia figlia al centro estivo, rasentando l’ombra e il muro come i cani. Lei mi è corsa incontro, rossa e accaldata, ed ho pensato che stesse per sciogliersi, come un ghiacciolo alla fragola sotto il solleone. No no, anche se sorelle, forse gemelle, io preferisco sempre l’altra, quella vacanziera e spensierata. Sarà parzialità? Può darsi benissimo.

lunedì 16 luglio 2007

Inventiamoci un cheesecake


Con la complicità di alcune cose in frigo acquistate per un manicaretto che poi non ho avuto il tempo di fare, un invito a cena estemporaneo - se vuoi porta qualcosa di dolce - e tanta voglia di sperimentare, ieri mi sono inventata un cheesecake. Un cheesecake in estate con questo caldo?! Sissignori, un bel cheesecake alle ciliegie, fresco ed estivo, che, modestia a parte, è venuto proprio buono e pure bello a vedersi, perché io sono del partito che anche l'occhio vuole la sua parte. Mi dispiace di non avere avuto il tempo di fotografarlo, ma pochi attimi dopo non erano rimaste che le briciole e le richieste di sapere la ricetta che non senza un certo orgoglio ho divulgato, con quel pizzico di sussiego che un esperimento riuscito a perfezione ti infonde per forza. Insomma, brava gallina, stavolta hai fatto centro.

Ingredienti:
500 gr. di ciliegie mature
250 gr. di biscotti Digestive
100 gr. di burro
250 gr. di ricotta fresca
250 gr. di mascarpone
170 gr. di zucchero
2 uova
cannella in polvere
scorza grattugiata di mezzo limone
zucchero a velo

Preparazione:
Sbriciolare finemente i biscotti al mixer e amalgamarli con il burro fuso. Stenderli sul fondo di una tortiera a cerchio apribile, pressandoli bene e creando un po' di bordo tutto intorno. Mettere in frigorifero. Lavare e snocciolare le ciliegie (lasciandone 3-4 intere con il gambo per la decorazione finale) metterle in un pentolino con 100 gr. di zucchero e un pizzico di cannella e cuocere a fuoco basso per 10 minuti. Lasciar raffreddare. In una ciotola fare una crema morbida e senza grumi con il mascarpone, la ricotta, le due uova, 70 gr. di zucchero e la scorza grattugiata. Togliere la tortiera dal frigo e versarci le ciliegie con il loro liquido di cottura. Ricoprire con la crema, livellando bene. Infornare a 180° per 35 minuti, senza mai aprire il forno. Lasciar raffreddare i primi minuti con la porta del forno aperta, poi a temperatura ambiente e infine in frigorifero per almeno 2 ore, togliendolo una mezz'ora prima di servirlo. Al momento di servire cospargere la superficie con zucchero a velo e decorare con le ciliegie intere appena imbiancate di zucchero
.

giovedì 12 luglio 2007

Amiche


Ieri sera sono uscita con un gruppetto di amiche, sei giovani signore che si frequentano da più di vent’anni. Che da ragazzine spavalde o timide, sovrappeso o secche come un chiodo, bionde o more, laureate o no, si sono trasformate nel tempo in donne e madri, mogli e compagne, separate e rifidanzate. Insomma, un bel gruppetto eterogeneo ma con un ingrediente fondamentale che le accomuna tutte, l’aver trascorso insieme quegli anni di spensieratezza e gioventù, fatti di amori nati e finiti, di notti in discoteca e di chiacchiere confuse fino al mattino, di sciate e di nuotate, di campeggio libero e di topless, di pianti irrefrenabili e risate sgangherate, di sigarette e di Tampax da provare, di segreti sussurrati e litigi furibondi. Sono passati gli anni, con i matrimoni, le nascite, i viaggi, le professioni più disparate, le strade della vita che ci hanno lentamente allontanate, ma nonostante i lunghi silenzi, i periodi bui che ognuna di noi ha prima o poi dovuto attraversare, mi sono resa conto ancora una volta che quel legame che ci unisce è rimasto lì, intatto e indissolubile, e in un attimo ci siamo ritrovate nuovamente ragazzine, a ridere e scherzare, farsi foto sceme e abbracciarsi strette. Credo che si tratti irrimediabilmente di amicizia.

mercoledì 11 luglio 2007

Ricordi a colori


Fino a un po’ di anni fa, al rientro da una vacanza c’era il rito del far sviluppare le fotografie, dal fotografo di fiducia, non fosse mai che qualche rotolino prendesse luce o andasse smarrito. Passavano in genere diversi giorni prima di poterle andare a ritirare, che trascorrevo con ansia e impazienza e quando poi mi ritrovavo quella busta di carta tra le mani non potevo aspettare di essere tornata a casa per aprirla: mi fermavo per strada, nell’androne di un palazzo o su una panchina del parco e davo furtivamente la prima occhiata a quei ricordi stampati su carta a colori. Nello scorrere le immagini tra le dita, qualcuna sempre mossa o sfuocata, rivivevo il piacere della vacanza trascorsa, ricordando perfettamente di ognuna la luce, gli odori e i sapori, mentre un sorriso mi increspava le labbra. Le meraviglie della scienza e della tecnica hanno fatto sì che adesso tutto ciò possa avvenire immediatamente subito dopo lo scatto, valutando, modificando, salvando o cestinando, togliendo un po’ il sapore a quelle emozioni che mi procuravano l’attesa e la sorpresa. Ma siamo nell’era dell’immediatezza, e bisogna adeguarsi. Stavolta, nonostante avessi frettolosamente scaricato le foto appena tornata e avendone certamente già guardata qualcuna, quando ieri sera con calma ho iniziato a farle scorrere sullo schermo, luce bassa e tranquillità, non c’è stato digitale o analogico che tenesse, le emozioni sono esplose tutte, ugualmente, gonfiandomi il cuore al ricordo dei bellissimi momenti trascorsi. Ho rivisto mia figlia, a caccia di conchiglie e ossi di seppia, capelli svolazzanti e risate birichine, lettrice pomeridiana e diva in posa sulla scogliera, emozionata al battesimo subacqueo e fradicia e infreddolita dentro l’asciugamano. Ho rivisto mio marito, burbero e tenero, capelli dritti di sale, far volare l’aquilone, tra immersioni infinite, pennichelle e abbracci stritolanti alla sua picci. Ho rivisto me stessa, rilassata e felice, piedi scalzi e ciuffi di capelli dispettosi, soldatino senza piedi sul bagnasciuga, cuoca improvvisata, costumi da sciacquare e litri di crema solare. Ho rivisto quei luoghi, così belli da togliere il fiato, mare sabbia sole vento cielo nuvole e nient’altro, ombra di pini e macchie di ginepro, scogli rossi, gabbiani solitari e vele colorate. Ho sentito nuovamente quell’esplosione di tranquillità, gioia e allegria e ho cercato di trattenerla dentro di me, come una riserva preziosa di colori da usare nei momenti grigi che prima o poi, come sempre, arriveranno.

martedì 10 luglio 2007

Ode allo screensaver


Mi passa davanti sempre quando meno me l’aspetto, con quel suo sorriso sornione da strappamutande. Oppure serio ma con un luccichio negli occhi che ti chiedi cosa abbia mangiato sua madre mentre lo aspettava per mettere al mondo un uomo così. Ma anche giocoso e allegro, barba lunga, occhiali da sole o mentre sorseggia il Martini, perché sappiamo bene che no Martini, no party. A volte mi soffermo a guardarlo in smoking, elegante e implacabile, altre sono attratta dal suo bicipite che esce spavaldo dalla t-shirt aderente, ma quando passa con il suo completo scuro e la cravatta allentata cado inevitabilmente in estasi. Miracoli del salvaschermo. Perché sono moglie e madre, certamente, ma anche donna. E, diciamolo con franchezza, per niente cieca.

lunedì 9 luglio 2007

Mare e piedi


Non sono certo dei bei piedi, di questo sono perfettamente consapevole. Son piedi che corrono sempre, o quasi. E quasi sempre chiusi in scarpe basse e sportive, tranne le rare volte che decido di arrampicarmi su un paio di tacchi. Son piedi cittadini, di fermate d’autobus e cortili di scuola, di code al supermercato, marciapiedi infuocati e box doccia. Non molto curati, lo ammetto, ma il tempo per una pedicure ben fatta è ormai diventato un lusso che non riesco quasi più a concedermi. Un frettoloso peeling e una passata di smalto sono il massimo a cui arrivo, ma va bene così. Del resto, non ci facevano certo una brutta figura, stesi lì sotto il sole, bagnati di sale e sabbia o scalzi sul legno del pontile. Ed erano i miei piedi, proiettati contro il blu del mare, che il mio sguardo pigro inquadrava aprendo appena gli occhi nella luce abbacinante di Luglio, alzando il mento quel tanto che bastava. Che vista, ho pensato, il panorama che vorrei vedere tutto l’anno, mentre circondata dal dolce suono della risacca e dalle chiacchiere di mia figlia che costruiva castelli, buche profonde e pizze di sabbia con doppia farcitura di conchiglie, sdraiata al sole come una lucertola assaporavo la calma che finalmente regnava fuori e dentro di me. Così, ho scattato una foto un po’ strana, per fermare la sensazione e il ricordo di un momento speciale fatto di piedi e di mare.

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