lunedì 31 maggio 2010

Come se volassi

E’ come se volassi, facendomi trasportare dal vento, passando da una corrente ascensionale ad un’altra, planando, volteggiando, frullando in aria impazzita come i pipistrelli che stasera zigzagavano frenetici sopra il mio giardino alla ricerca della loro cena a base di zanzare. Che in effetti ancora non sono numerose come l’hanno scorso e se scopro che il merito è davvero di quei buffi topolini alati giuro che gli compro la bat box imbottita e con lo stereo surround. Non mi fermo, volo come un’ape, di fiore in fiore, succhiando un po’ qui e un po’ là, senza soste perché il miele non aspetta, ma chi l’ha detto che non sarebbe buono lo stesso un miele nato da un’ape un po’ meno invasata. Magari non sarebbe un millefiori, forse solo un centofiori, o addirittura un diecifiori, ma potrebbe andar bene lo stesso. Invece continuo a correre. Sarà il periodo, non discuto, dove al già faticoso tran-tran di questi ultimi tempi si stanno aggiungendo impegni a raffica, da gestire e programmare con grande abilità ed anche qualche gioco di prestigio. Ce n’è per tutti, feste di fine anno, saggi, recite, cene, compleanni, riunioni di condominio, degustazioni, cantine, regali per le maestre, per la mamma tassista, per l’insegnante d’inglese, per la collega che si sposa, le prove di danza, il coro che manca poco allago di lacrime il teatro della scuola, la verifica di scienze, quella di storia, le prede scout, la pulcina con la febbre, l’unguento da mettere sulla testa la sera prima di dormire andando a letto con una bandana bianca che sembro Silvio nei giorni del trapianto, lo shampoo al catrame di ogni mattina alle sei che mi lascia la testa puzzolente come una strada asfaltata di fresco, e chi più ne ha più ne metta. Così, continuo a volare, frenetica e ronzante, sorvolando anche questa tastiera, osservandola dall’alto e non riuscendovi ad atterrare mai. Ricaccio indietro le parole che vorrebbero uscire e continuo a sbattere le ali.

lunedì 24 maggio 2010

Lacrime e pistacchio

Capita che proprio quando la lucina in fondo al tunnel inizia ad allargarsi e a prendere la forma di un’uscita cada inaspettatamente una frana a farci sprofondare nuovamente nel buio, o quantomeno nella penombra. Dopo mesi di frequentazioni di ambulatori, studi medici e cocktail di certificazioni come tramite per i miei genitori, decido che è il caso di tornare a pensare un po’ anche a me stessa e prendo appuntamento con il dermatologo: devo porre rimedio alla dermatite da stress e con l’occasione mi faccio riguardare quel neo che doveva essere tenuto sotto controllo. All’uscita dallo studio medico avevo già l’intervento prenotato. Biopsia. Esame istologico. In questi casi è sempre meglio non scialare con i tempi. Ho iniziato a camminare meccanicamente per le vie del centro, incurante delle centinaia di turisti che affollavano piazza del Duomo, non vedevo nessuno, solo i miliardi di pensieri che mi frullavano in testa. Okay, non sarà niente di che, un taglietto sulla pancia, qualche punto e goodbye neo, ma a me quelle parole lì evocano sempre sensazioni spiacevoli. Per non dire brutte. Ci sono passata troppe volte, con mia madre, mio padre, me stessa quattro anni fa per un nodulo al seno. Impossibile non avere nuovamente paura. E poi, per la miseria, non bastava tutto quello che mi è capitato negli ultimi sei mesi? Ci voleva anche la ciliegina sulla torta? Improvvisamente mi sono sentita incapace di andare avanti, di sostenere tutto, il bicchiere era pieno ed anche la più piccola delle goccioline è riuscita a farlo tracimare. Non so come sono tornata a casa. In bus cercavo di immergermi nella lettura del mio Vanity mentre sentivo le lacrime pungermi forte la gola, dovendo leggere lo stesso rigo anche dieci volte e in ogni caso non capendoci assolutamente nulla, la testa era totalmente altrove. Sono scesa alla solita fermata e mi sono incamminata verso casa a testa china. Poi non so come lo sguardo mi è caduto sulla gelateria, a quell’ora piena di mamme, bambini e ragazzi a fare merenda, e come se stessi obbedendo ad un istinto, o forse ad un raptus, sono entrata e mi sono comprata un gelato al pistacchio di Bronte, il mio preferito, dandomi subito dopo della pazza. L’ho portato in casa e appena si è chiusa la porta ho cominciato a piangere mentre lui stava cominciando a sciogliersi, sgocciolando impietosamente sul bancone della cucina. Rabbia, tanta rabbia. L’ho aggredito col cucchiaino, mangiando e piangendo al tempo stesso, mescolando lacrime e gelato, tanto i pistacchi li adoro anche salati. Ho continuato così per un po'. Poi ho battuto un pugno sul tavolo, ho raschiato il fondo della coppetta con foga e mi sono asciugata gli occhi. D’accordo, affronterò anche questa. Testa alta e avanti. E mi sono accorta che il gelato non era stata una pazzia. Non si può combattere senza le giuste calorie.

martedì 18 maggio 2010

Un grappolo di ricordi

In questa casa i grappoli li conosciamo bene. La passione del galletto sommelier per il vino e tutto ciò che lo circonda ha ormai contagiato anche me, che a forza di ascoltare, leggere, roteare e degustare, ho iniziato a masticare di vitigni e bouquet con un minimo di cognizione di causa. Persino la pulcina non fa che chiedere spiegazioni e disquisire con suo padre di barriques e vendemmie tardive. Magari ci ritroveremo in casa un’enologa, chissà. I grappoli quindi, tra queste mura son cosa nota, da dove arrivano e che cosa diventano. Quello che ho creato e appeso alla parete è invece una varietà un po’ più particolare, un grappolo fatto di tanti pezzettini che arrivano dal passato, recente, prossimo o remotissimo, destinati ad illuminare di ricordi la parete bianca di fianco alla scala ma soprattutto gli occhi e il cuore degli abitanti di questa casa tutte le volte che il loro sguardo vi si poserà sopra. Ci sono la gallina ed il galletto quando erano due tenerissimi pulcini, sorridenti e giocosi, per non dimenticare mai che il nostro essere stati bambini è ancora una importantissima parte di noi. Ci sono i miei genitori nel giorno delle nozze, in una foto che sembra uscita da un film di Audrey Hepburn, che non a caso era l’attrice preferita di mia madre, affinché la loro immagine di sposi spensierati e felici riesca a sovrapporsi a quelle due tristissime sedie a rotelle che non ho ancora imparato a digerire e che probabilmente non farò mai. C’è il Flatiron Building direttamente dalla grande mela, dove ho lasciato un pezzetto di cuore e dove spero prima o poi di poter tornare, perché in mezzo a tutti quei grattacieli moderni e futuristici, questa strana costruzione dei primi del novecento è quella che mi ha affascinata di più. Ci sono dei meravigliosi piedi di neonato, in mancanza di quelli di mia figlia che incredibilmente non ho fotografato quando erano piccini come un portachiavi, ma dei quali desidero ricordare per sempre quella morbidezza da gelatina alla frutta e quei ditini minuscoli e tondi da stare a rimirare estasiati per ore. C’è il sorriso della pulcina di adesso e quello di qualche anno fa, ci sono delle bottiglie preziose immerse nel ghiaccio ed imperlate di goccioline come fossero diamanti, c’è la mia città, una fede di Tiffany, la sposa gallina, una conchiglia e un paio di cornici ancora vuote a far pubblicità all’Ikea, pronte a ricevere i ricordi che verranno. E’ un grappolo speciale, che ho voluto esattamente così, nonostante le coloritissime imprecazioni del galletto quando ha dovuto attaccare i chiodi con precisione millimetrica, e che ho riempito piano piano, un po’ alla volta, perché i ricordi più belli affiorano sempre lentamente.

giovedì 13 maggio 2010

Praticamente un esercito

Roba da vincere qualsiasi tipo di battaglia, da sentirsene fieri ed orgogliosi ma anche parecchio intimoriti. Alzi la mano chi non si sentirebbe un po’ impaurito di fronte a centomila fanti disposti in file ordinate su pianure e colline, immobili e attenti, pronti a lanciarsi all’attacco al primo segnale. Ed io li guardo così questi centomila click che mi lasciano stupita e senza fiato, spaventata e fiera al tempo stesso. E’ un numero così grande, incredibile, inaudito, mi fa effetto il solo sillabarlo. Sarà perché questa parola, per me figlia delle Lire, ricorda tanto quella banconota rosa col volto austero di Manzoni, che non vedevo spesso ma che quando capitava accompagnava sempre dei momenti importanti che i miei occhi di bambina osservavano in reverenziale silenzio; niente a che vedere con il volto di Caravaggio sulle centomila che hanno preceduto l’arrivo della nuova moneta europea, dove la svalutazione aveva già colpito e purtroppo non bastavano neanche più per un carrello pieno al supermercato. Questi centomila passaggi valgono assai di più. Rappresentano tanti minuscoli pezzetti di tempo che ciascuno ha perso per fermarsi qui, volontariamente o assolutamente per caso, scappando subito dopo a gambe levate o restandoci a dormire un intero weekend. A quei centomila visitatori, agli sconosciuti e agli amici, ai chiacchieroni e a quelli che restano nell’ombra, a quelli che lasciano la mancia e a quelli che chiedono lo sconto, io dico grazie. Del loro tempo, delle loro parole, dei loro pensieri.

mercoledì 12 maggio 2010

Florence, UK

Ma sì, ditemelo che mentre dormivo mi avete imbavagliata con un fazzoletto al cloroformio e trasportata nottetempo in Inghilterra. Blateravo da tempo che avevo tanta voglia di tornarci, di rivedere Londra con calma, di visitare la Cornovaglia e di perdermi nelle brughiere scozzesi ed avete deciso di accontentarmi. Oh, bene. Ringrazio sentitamente del regalo, davvero, apprezzo di cuore. Non dovevate, ma che cosa vi siete messi a fare, che bella sorpresa, eccetera eccetera. Però ora riportatemi a casa mia. A casa mia a maggio c’è il sole, sapete? Talmente tanto sole che a volte arrivano anche i trenta gradi tutti d’un botto, cosa che io in effetti non amo particolarmente perché mi ritrovo stesa a terra tipo tappeto turco, ma sapeste come ne gioiscono le rose, le api, i tramonti. Vero è che in genere di lì a poco i prati poi prendono quel colorino smorto e tendente al giallognolo che precede le secche sterpaglie estive, mentre in Irlanda ci sono dei prati che sembrano disseminati di smeraldi anche a ferragosto, ma quel che è troppo è troppo. Se continua a piovere così mi crescono le pinne. Cos’è, qualcuno ha girato il mappamondo un po’ troppo velocemente e qualcosa si è magicamente mescolato? Mia suocera ha appena trascorso una vacanza dal parentado inglese godendo di un fantastico sole, mentre qui l’ombrello è praticamente diventato un prolungamento del mio braccio, un’escrescenza dalla quale non mi separo più neppure per andare a buttare via l’umido. Saran mica state le ceneri del vulcano? Tutto grigio, nessuno vedeva nulla, niente aerei a sorvegliare dai cieli e, zac, un qualche David Copperfield ha fatto un illusionismo. Peccato però che le secchiate d’acqua che mi sono presa oggi non fossero propriamente un'illusione. Dai, su, riportatemi a casa. Rivoglio il mio sole di maggio.

lunedì 10 maggio 2010

Cinque anni

Cinque anni sono già passati
in un attimo sono volati
eccoti qui sorridente e cresciuta
un po’ buona un po’ birba, parecchio cocciuta.
Sono stati anni di aule, di gite, di gioia,
risate, impegno e zero la noia
anni che ti hanno dato tanto
che ricorderai con un po’ di rimpianto.
Le scienze, il sole, la luna e le stelle
poi il corpo umano, le ossa e la pelle
la matematica non è un’opinione
problemi a dozzine sul quadernone.
Dai dinosauri ai romani quanta è la storia
testi e poesie da imparare a memoria
il cineforum, il coro, le corse in palestra
quante stagioni da quella finestra!
Imboccherai presto la tua nuova via
con un piccolo velo di malinconia
per un ciclo leggero che adesso finisce
ed un altro più intenso che ti rapisce.
E se non ti accompagnerò più per la mano
son certa che non sarà stato invano
resterò indietro ad osservar la tua strada
pronta in un attimo a sguainare la spada.
Sii grande tesoro con tanta saggezza
cancella dal volto ogni incertezza
tira fuori la forza della tua volontà
che il tuo domani sia ricco di felicità.

mercoledì 5 maggio 2010

Del profumo prima dell’alba (e del titolo rubato a Camilleri)

Gli odori della notte sono molti, non uno solo come si potrebbe banalmente pensare, e mica lo dico io, si badi bene, che -primo- non sono nessuno e -secondo- di odori della notte conosco ormai solo quello del mio cuscino, od al limite quello della casa buia e silenziosa dove raramente faccio due passi in croce con gli occhi abbottonati alla ricerca di un bicchiere d’acqua, di una coperta o di un termometro. Lo dice Camilleri, e scusate se è poco. Sono sette odori diversi, se ricordo bene, uno per ogni avvicendarsi delle ore notturne, che anche se il buio resta fitto, il profumo dell’aria cambia moltissimo. Ascoltavo rapita le sue parole da Fazio qualche sera fa, ed ho riflettuto parecchio su quell’odore particolare che lui descriveva così bene, quel profumo che si avverte in campagna giusto un po’ prima dell’alba, quando il velo di rugiada si posa lentamente su ogni cosa e la natura avverte l'avvicinarsi dei primi raggi del sole, prima ancora che in cielo sia apparsa una minuscola fessura di luce. La brina sulle stoppie. Così lui l’ha chiamata, e che bel titolo sarebbe stato. Descrive così bene quel momento particolare ancora nero e denso come l’inchiostro ma nel quale si percepisce con facilità e ineluttabilità l’avvicinarsi della luce. Ed è stato come vedermi allo specchio. Nonostante che le difficoltà siano ben lungi dall’essere terminate, è come se avvertissi una speranza dietro l’angolo, che ancora non vedo ma che avverto tangibilmente. La parte più razionale di me mi da dell’incosciente, ma non riesco a scrollarmi di dosso questa sensazione di pace imminente, e questa assurda leggerezza che mi pervade mi fa volteggiare come una farfalla di pensiero in pensiero, facendomi posare solo su quelli colorati e lasciando indietro tutti gli altri. Così, evitando di rimuginare su ASL e certificazioni assortite, inizio ad imbastire il quasi-compleanno della pulcina, che la fine della scuola si avvicina a passi da gigante e una festa non si organizza proprio in cinque minuti. Cerco di ignorare la dermatite da stress che mi ha assalita e mi dedico a cucire strass e paillettes su uno dei costumi della mini ballerina, che siamo già entrati in stagione di spettacoli e saggi. Sopporto stoicamente questo maggio piovoso e noioso senza fare una piega e chiedo preventivi per il pranzo di fine anno scolastico, che nessuno ci pensa o fanno finta di non pensarci, ma siamo in quinta perbacco, vorremo pur fare qualcosa tutti insieme e non fregarsene come sempre. Veleggio così, nel buio, facendomi guidare dalle stelle, sicura che prima o poi il sole sorgerà. Arriccio il naso e lo sento, è il profumo della brina sulle stoppie. Ma che bel titolo sarebbe.

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