venerdì 31 ottobre 2008

Non mi piace

Non mi piace fare le cose di corsa, quel saltare da una all'altra senza riuscire a farne bene nessuna, quell’essere diventata abitudine anziché eccezione. Non mi piace che la pulcina sia arrabbiata con me ed io con il Galletto e lui con me ed io con lei, in un loop che non ha inizio e non ha fine e tutti siamo nervosi con tutti. Non mi piace ricordare che esattamente un anno fa oggi pomeriggio la pulcina avrebbe trascorso il suo dolcetto o scherzetto tra pronto soccorso e terapia del freddo con una maschera violacea in faccia che avrebbe fatto impallidire i più bei travestimenti di Halloween. Non mi piace che l'idraulico dia la colpa all'elettricista e che l'elettricista dia la colpa all'idraulico, in uno scarica barile che non porterà da nessuna parte se non al fatto che il climatizzatore probabilmente continuerà a non funzionare bene. Non mi piace trovarmi alla vigilia di un fine settimana e sapere già che la cosa più divertente che mi capiterà di fare sarà il cambio degli armadi che non posso più continuare a rimandare. Non mi piace questo clima da caccia alle streghe che si è instaurato in ufficio, con l'amara constatazione che la talpa non è solo un programma televisivo. Non mi piace pensare che quella spregevole persona che pochi giorni fa ha molestato i bambini durante la festa sia ancora libera di circolare dato che la volante della polizia ci ha messo un quarto d'ora per arrivare. Non mi piace continuare a legarmi i capelli per non farli schizzare a destra e a manca neanche fossi una naufraga dell'isola. Non mi piace ascoltare il telegiornale e accorgermi con orrore che sentire solo brutte notizie è praticamente diventata un'abitudine. Non mi piace la nuova maestra di matematica che perde tempo a far fare disegni al posto di quei sacrosanti problemi della mia epoca tipo la mamma va al mercato e compra tre chili di carote, che saranno stati anche stati noiosi ma perlomeno facevano mettere in moto il cervello. Non mi piace fare una lista di cose che non mi piacciono e rendermi conto che sono davvero tante. Però adesso mi sento più leggera.

giovedì 30 ottobre 2008

Tutto è relativo

Interno sera. Stiamo finendo di cenare e noto che la pulcina si fa improvvisamente un po’ seria e silenziosa. Mi accorgo che sta rimuginando qualcosa. Non dico e non faccio niente in attesa che i suoi pensieri arrivino in superficie e dopo un po’ sbotta: “E’ vero che Gesù è la cosa più importante che abbiamo?” ci chiede con gli occhi inquieti. “Perché ce lo chiedi? Ne avete parlato a scuola?” chiede il Galletto per tastare il terreno. “No, ma ce lo ha detto la catechista e secondo me, anche se non gliel’ho detto, non è vero” risponde esitante la pulcina. “Come mai secondo te non è vero?” le chiedo stringendole la mano sopra la tovaglia. “Perché io senza Gesù potrei stare ma senza di voi non potrei proprio vivere” ci risponde la pulcina guardandoci con gli occhi lucidi “quindi secondo me la cosa più importante che ho siete voi”. Momento di silenzio. Poi scattano a raffica un abbraccio, un’improvvisa epidemia di occhi lucidi, una spiegazione sul significato di importanza di Gesù e del significato di amore, che spero non abbiano confuso ancor di più la pulcina. Ma sul primo momento, senza nulla togliere a Gesù, mi son sentita volare in alto come un palloncino.

martedì 28 ottobre 2008

Fruga che ti passa

Metti una domenica mattina d'autunno inondata di sole che solo ad aprire le persiane ti vien voglia di non restare in casa un minuto di più. Metti tua figlia da accompagnare in chiesa che tra funzione, catechismo e giochi in oratorio sarà impegnata per quasi tre ore. Metti le strade del quartiere disseminate di bancarelle colorate per la fiera di Ottobre e una folla allegra e vociante che s'impossessa dell'asfalto, dei sensi unici e degli stop dove per una volta al posto delle gomme circolano solo piedi e passeggini. Metti una passeggiata tra i banchi osservando e scrutando con la libertà e la spensieratezza che solo il mercato sa dare. Metti le tue mani che frugano, valutano e ispezionano attentamente le mercanzie, tra cinture e piumini, tovaglie e stivali, fili di falsissime perle e confezioni industriali di collants. Metti un allegro ritorno verso casa in compagnia del Galletto che si è fatto traviare sulla via dello shopping e che porta baldanzoso svariati sacchetti. Metti tutto questo, una mente sgombra da nuvole, quella piccolissima euforia che t'invade quando trovi quello che cercavi e ti senti come se avessi appena trovato una pepita d'oro tra le acque dello Yukon, e avrai appena creato una semplicissima, terapeuticissima, mattinata anti stress.

martedì 21 ottobre 2008

La borsaiola

La borsaiola entra in azione a tarda sera, quando gli altri sono a letto o impegnati a guardare la tivù e in quei cinque minuti di tranquillità che riesce a ricavarsi apre l’armadio e le guarda, una per una, scrutando e valutando, sospesa tra colori e previsioni del tempo, finché lo sguardo si ferma sulla prescelta, che tira fuori con amore, pronta a donarle una parte di se per una settimana o qualche mese di stretta collaborazione, più di un'amica, praticamente una confidente. Lei ricambia lo sguardo con ardore, pronta ad accogliere e custodire con cura tutti gli ammennicoli che le verranno affidati dai quali, ben lo si sa, la borsaiola non si separerebbe mai neppure sotto minaccia di morte. Ecco così che sceglie con cura l'angolino ove riporre la bustina nécessaire, quella che contiene lo specchio, il pettine, ago e filo, gli analgesici e i cerotti, che fanno sempre comodo quando si ha a che fare con picci che spesso lasciano strati di pelle su marciapiedi e altalene. Su un fianco sistema l'agenda, quella dove scrive di tutto, dai numeri di telefono alle misure del divano, alle ricette, alle liste per la spesa, quella che deve essere sempre a portata di mano, di penna e di idee, affiancandola al portafoglio, che ultimamente più che di banconote è rigonfio essenzialmente di carte plastificate di ogni genere, dalla carta fragola al bancomat, da quella della libreria a quella della profumeria, dal codice fiscale a quella del noleggio vhs che deve essere pure scaduta. Nelle taschine laterali trovano il loro posto gli svariati mazzi di chiavi, labello, cellulare, penne e mentine, mentre i fazzoletti di carta, gli occhiali da sole, l'ombrellino e la shopper si sparpagliano con allegria, pronti a scambiarsi i posti come se giocassero ai quattro cantoni. L'ordine regna sovrano e la borsaiola lo ammira per qualche attimo ben sapendo che nell'arco di pochi giorni, se non addirittura di ore, ci sarà chi giocherà a nascondino e chi si mimetizzerà tra avanzi di merende e volantini pubblicitari, mentre la mano razzolerà frenetica alla ricerca dell'ennesimo ago nel pagliaio. Ma ora non ci pensa, il momento è tutto suo e si gode il rito voluttuoso e inebriante del cambio di borsa, che la fa sentire nuova di zecca anche indossando pantaloni di cinque anni fa e che sì, perbacco, le fa ritrovare in un istante persino il buonumore che solo qualche giorno fa pensava di aver perso ma che invece, guarda un po', era andato a finire dentro questa borsa nuova, marrone come un cioccolatino, che la stava aspettando.

giovedì 16 ottobre 2008

Missing

Mi chiedo dove sia finito. Ne avevo tanto, una bella scorta che tornava sempre utile, soprattutto in quei momenti in cui gli eventi precipitavano e una piccola dose si rivelava un perfetto paracadute. Per andare avanti, per fare un altro passo, per stringere i denti. Son diversi giorni che lo cerco ma stavolta non riesco a ritrovarlo. Ho guardato dappertutto: in borsa, nel cassetto di cucina che contiene di tutto, dal tagliere alla calcolatrice, perfino nelle tasche dell’accappatoio, che poi mi son sempre chiesta a cosa servono le tasche in un accappatoio, non si va mica in doccia con le chiavi dell’auto o col cellulare, ma questa è un’altra storia. Ho guardato anche tra gli scatoloni del trasloco e tra le bambole della picci: nulla, sparito, volatilizzato. Chissà poi perché. In fondo non lo trattavo mica male, sempre pronta allo scherzo e alla battuta come sono credevo di fornirgli l’habitat ideale dove poter prolificare come un fermento lattico nel latte e far sì che le mie scorte di yogurt per l’anima non finissero mai. Eppure è scomparso. Merito della polvere che ancora regna sovrana in casa mia, che i muratori li avrei uccisi seduta stante quando in giardino hanno tagliato le pietre con la mola lasciandomi le finestre di casa aperte. Merito di un cambiamento sul lavoro che non so ancora se mi piace o no, ma del resto con gli americani che stanno stringendo il cordone della borsa è già grassa avercelo ancora un lavoro. Merito forse del ricordo di un prato che, se anche negli ultimi anni era diventato una via di mezzo tra un tappeto di muschio e una palude, dava sempre quel tocco di verde e adesso stento a credere che il lastricato lo coprirà per sempre. Merito anche delle discussioni quotidiane con la pulcina, del fai i compiti, non dire parolacce, non rispondere male, che Tom e Jerry non reggono neppure il confronto con i nostri inseguimenti intorno al tavolo, l’una per allungare uno sculaccione, l’altra per evitarlo. Merito di tutto questo, o forse no. La scomparsa del buonumore resta ancora un mistero.

lunedì 13 ottobre 2008

Lo striptease

Volgo lo sguardo in su e mi accorgo che gli alberi, incuranti dei venticinque gradi che improvvisamente ci hanno fatto visita, del sei del superenalotto che continua a fare marameo e dei cortei di studenti che gridano la loro rabbia, hanno iniziato a fare il loro lavoro. Lo striptease più bello del mondo, quello che il Moulin Rouge ci fa un baffo e che anche i bambini possono guardare, quello che ogni anno essi puntualmente mettono in scena senza che lo spettacolo, immutato da milioni di anni, appaia mai noioso o demodé. Le foglie un po' dondolanti ma ancora attaccate ai rami, ché non ci si spoglia velocemente, questo lo sanno anche le collegiali, il centro verde, brillante, i lati leggermente arricciolati e croccanti, un po' rossi, un po' arancio, un po' oro, come se avessero indossato una gonna a balze, di quelle un po' folk da far roteare nel vento. Staranno lì a tremare per un po', staccandosi piano, una alla volta, volteggiando lentamente, languide e infuocate, per poi distendersi, fino a che un ultimo colpo di vento staccherà anche l'ultima e i rami mostreranno al cielo la loro perfetta nudità. Le foglie più piccole son già cadute, il suolo è cosparso da centinaia di petali gialli che i miei piedi calpestano con reverenza. Gialli come tanti post-it a ricordare al mio cuore quanta bellezza c'è. Basta solo saperla vedere.

mercoledì 8 ottobre 2008

Bianconera

Sto attraversando giorni senza sfumature, senza vie di mezzo né trattative, senza grigi né lilla né azzurri né blu. E' tutto bianco o tutto nero. Mi sveglio sorridente e aperta alla giornata che sta iniziando, penso che la nostra nuova casa sia proprio bella, che tutto si aggiusterà, che nonostante i mille impegni avrò anche il tempo per cucinare quella ricetta che sono giorni che rimando, che tutto sommato siamo a buon punto e che probabilmente nemmeno pioverà. Certo, è tutto bianco. Apro gli occhi e avrei solo voglia di restare sotto le coperte, nascosta come in trincea, ascolto le notizie e tra banche e borsa sento la sciarpa che si stringe un po' di più intorno al collo, non sopporto di vedere ancora i muratori per casa, che anche se adesso lavorano in giardino è tutto un andirivieni di orme, sabbia e fango sul pavimento e mi vengono le bolle al pensiero dello starnazzare che seguirà la riunione scolastica di stasera. Naturale, è tutto nero. Procedo così, come in altalena, un giorno bianco, un giorno nero. Allegria e tristezza. Calma e ansia. Gioia e ira. Dall'una all'altra in un battibaleno. Passerà. Ma sì, per forza, tutto passa. Io però nel frattempo mi sento più a strisce che se fossi diventata juventina.

venerdì 3 ottobre 2008

I crostini della domenica

Mia madre non è mai stata una gran cuoca. Lavorava, portava avanti una casa e una famiglia, era malata e cominciava lentamente ad aggravarsi, così il tempo per cucinare non era mai molto e si limitava a fare quei piatti che l’abitudine e la tradizione le consentivano di fare velocemente quasi ad occhi chiusi. Il menù settimanale era scandito da regole ferree che raramente venivano infrante: pasta asciutta a pranzo, minestra la sera, pesce il venerdì, arrosto la domenica. Tutte le volte che voleva sottolineare la giornata festiva, come mettere i fiori in tavola o la tovaglia buona, lei faceva i crostini, piatto immancabile in ogni famiglia fiorentina allargatosi più o meno in tutta la Toscana. Sui ricettari si chiamano crostini di fegatelli o crostini toscani, ma per me erano e sono ancora solo e semplicemente i crostini. Da piccina stavo a guardarla mentre li preparava, le sue mani veloci che tritavano e mescolavano, pregustando già il momento in cui li avrei potuti inumidire nel brodo caldo. Ricordo la gioia e l’orgoglio di quando fui promossa aiutante sul campo, io tritavo e lei impastava, e quante volte di soppiatto infilavo un dito nell’impasto e svelta me l’infilavo in bocca prima che lei se ne accorgesse. O forse se ne accorgeva ma faceva finta di nulla. Poi lei tagliava le fruste di pane a fette e le imburrava mentre io spalmavo l’impasto col coltellino piatto stando attenta a non metterne troppo né troppo poco. Spesso venivamo interrotte da mio padre che tornava dalla caccia e nell’appoggiare sul tavolo il suo bottino fatto di tordi o fagiani allungava svelto una mano verso il vassoio dei crostini e ne faceva sparire un paio, mentre mia madre brontolava qualcosa e lui mi faceva l’occhiolino. L’orologio sulla parete della cucina ticchettava, i vetri si appannavano, io in ginocchio sulla sedia di formica verde continuavo a spalmare e la nostra domenica continuava così, con semplicità. Sono passati tanti anni, ma questa è in assoluto la ricetta dell’infanzia che ricordo con più affetto, sia perché è ancora parte integrante della mia vita culinaria e spero che lo diventi anche in quella di mia figlia, sia perché quelle domeniche mattina nel caldo della cucina con mia madre e con l’amore, la vicinanza e il senso di condivisione che ci accomunavano sono state soprattutto un’insostituibile ricetta di vita.

I crostini della domenica

Ingredienti:
un paio di fruste di pane all’olio (sfilatini lunghi e sottili simili alle baguettes)
8 fegatini di pollo con il cuore
4 acciughe sotto sale
capperi sott’aceto
burro
brodo di carne
pepe nero

Preparazione:
Lavare i fegatini con i cuori e disporli interi in una casseruola con un abbondante pezzo di burro ed una presa di pepe e cuocerli per circa mezz’ora. Se i fegatini assorbono tutto il burro allungare il fondo di cottura con del brodo. Nel frattempo lavare e diliscare le acciughe. Quando i fegatini saranno cotti toglierli dal fondo di cottura e tritarli finemente col tritacarne insieme alle acciughe e due cucchiaiate di capperi scolati. Rimettere il trito ottenuto nella casseruola col fondo di cottura e far scaldare a fuoco baso mescolando bene senza che prenda mai il bollore. Se l’impasto fosse troppo sodo aggiungere del brodo fino ad ottenere una consistenza giusta per essere spalmato . Tagliare le fruste a fettine non troppo sottili, imburrarle e spalmarvi l’impasto di fegatini. Disporre i crostini su un vassoio e servirli subito caldi, eventualmente bagnandoli con un po’ di brodo caldo.

Con questa ricetta di ricordi partecipo al concorso indetto da Cavoletto di Bruxelles che ha deciso di regalare una storia d’amore. Sinceramente, la mia storia d’amore con il mitico premio in palio è già iniziata da un pezzo, anche se si tratta purtroppo di una storia assolutamente platonica e a distanza, a senso unico ahimè. Chissà che stavolta non sia la volta buona e, visto che non si tratta di George, il Galletto non potrebbe neppure esserne geloso.

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