martedì 30 marzo 2010

Apnea

Non riuscire a respirare è spesso un modo di dire, quando si hanno tante cose da fare, ma a me forse sta capitando davvero. Non trovo l’aria, annaspo, respiri brevi e corti, perennemente in affanno, ma l’asma stavolta non può esserne incolpata. L’ansia invece, forse, sì. Testa china e pedalare, un mulo da soma forse avrebbe un fare più disinvolto. Non so per quanto ancora riuscirò a reggere questo ritmo, giornate interminabili, dense e fitte come la nebbia padana, pensieri da rincorrere e trattenere a forza, inchiodandoli a terra come fossero palloncini pronti a prendere il volo, perché sono talmente tanti che si accavallano, sgomitano e fuggono, e improvvisamente mi ritrovo a chiedermi cosa stessi facendo. Mi sono anche impaurita ieri, al lavoro, tra le mille questioni professionali e tutte le telefonate da fare per questa mia vicenda senza fine, la scrivania cosparsa di post-it e appunti, aziende e medici, campionature e assistenti sociali, improvvisamente ho avuto il vuoto. Black out. Per un minuto non ho ricordato più niente, cosa stessi facendo, a cosa stessi pensando. Forse non avrei saputo neppure più dire come mi chiamavo. Poi, insieme ai brividi per ciò che mi stava capitando, è tornata anche la memoria. Credo si possa chiamare accumulo di stress, essere alla frutta, esaurita o di fuori come un terrazzo, a seconda dei gusti o delle regioni di appartenenza. Oppure, ho davvero smesso di respirare. E la mancanza di ossigeno, è noto, fa sempre brutti scherzi.

martedì 23 marzo 2010

Come si fa

Non è facile. Non è facile per niente. Fare la figlia in questi casi è un mestiere durissimo. Come si fa a trovare la forza di decidere il futuro di entrambi i tuoi genitori, andare a visitare strutture, soppesare rette e contributi, valutare distanze e servizi e trarre una conclusione che non ti ferisca comunque, che non ti lasci annientata e stesa a terra come un tappeto, con questa sensazione di cuore pietrificato che non so come mandare via da questo petto ansante. Come si fa a decidere il luogo dove tuo padre e tua madre trascorreranno la loro vita da ora in poi, per quel poco o tanto che sarà, dove apriranno gli occhi alla mattina e li chiuderanno alla sera, senza che nel frattempo le ruote delle loro carrozzine abbiano percorso neppure pochi metri. Come si fa a restare razionali e a non sentirsi soffocare dalle lacrime che si accatastano tra occhi e gola e che mi fanno guardare il cielo, stringere i pugni e chiedere perché. Come si fa a smettere di ricordare, che in questi giorni non fanno altro che presentarsi davanti ai miei occhi migliaia di ricordi della mia infanzia, brevissimi spezzoni di film in bianco e nero, di come erano loro prima che accadesse tutto, di come ero io, di come eravamo insieme. Come si fa a sperare che questa nuova vita sia per loro davvero vita e non una brutta imitazione o solo un pallido ricordo, che riescano ancora a sorridere, ad inebriarsi di un cielo azzurro o godere di un semplice caffè. Nonostante mi ripeta in continuazione che questo purtroppo è il sentiero che tutti quanti percorriamo e che le salita non è facile per nessuno, non riesco a smettere di chiedermi come si fa, come accidenti si fa.

domenica 21 marzo 2010

Batticuore

Alcuni giorni fa mi sono casualmente imbattuta in questo trailer. Guardarlo ed avvertire chiaramente l’accelerazione dei battiti del mio cuore è stato un tutt’uno. L’ho già detto e lo ripeto, i libri della Meyer mi piacciono da morire. E’ il fatto che siano scritti per un pubblico di teenagers che mi lascia perplessa, non so se sentirmene orgogliosa, come fossi una specie di highlander perennemente adolescente, o devastata, stile vecchia babbiona per intenderci. Probabilmente un mix. Recentemente c’era addirittura chi si stupiva del fatto che mi fossi messa a leggere Moccia, adesso penseranno che sono definitivamente andata, totalmente rimbambita. E del resto dove sta la stranezza, invecchiando si rimbambisce, questa è cosa nota, ed io evidentemente sto facendo entrambe le cose. In ogni caso, che bellezza tornare gallinella così, con un solo gesto, premendo il tasto play ed ascoltare la voce del vero Edward che promette a Bella di proteggerla per sempre, e contemporaneamente premere il tasto off sui miei pensieri che tra ospedali, assistenti sociali e la pietra sul cuore dell’avere due genitori paralizzati da sistemare in un colpo solo, sono decisamente troppi e la frutta, ahimè, l’ho passata da un pezzo. Così, in attesa del film e del momento in cui i miei pensieri torneranno farfalle, non ho potuto non comprare questo incredibile terzo capitolo, un po’ horror, molto strappacuore, maledettamente avvincente. Quando è la vita reale ad essere crudele è molto meglio la compagnia di vampiri e licantropi.

mercoledì 17 marzo 2010

Uova in technicolor

Finalmente il ramo è arrivato. Non ho la più pallida idea di che albero sia, da dove provenga, quale sia la stirpe, l’etnia, la razza, la specie, quali siano i suoi natali, insomma, come dicevano le nonne un po’ snob. E’ un regalo, ho saputo che cercavi un ramo e davanti a casa mia hanno potato un albero, e mica potevo chiedergli il pedigree come fosse stato un cucciolo, sia perché a caval donato eccetera eccetera, ma soprattutto perché mai regalo fu più gradito, visto che i giorni passano anche troppo in fretta e nelle mie milleuna peregrinazioni giornaliere a spasso per la città il tempo per una deviazione in campagna ancora non si trovava. Così chissene della provenienza, albero da frutta proprio non lo è, questo è certo, ma è così carino, elegante e leggero, marrone scurissimo con tante minuscole gemme a fare capolino qua e là, che appena l’ho visto me ne sono innamorata e chissene anche delle tradizioni. Eccolo quindi collocato nel vaso apposito, debitamente infiocchettato per l’occasione, e trasformato in quattro e quattr’otto nel mio gioioso albero di Pasqua. Le operazioni di trucco e parrucco in questione sono mooooolto più facili di quelle dell’albero di Natale, trattasi di roba veloce, velocissima, in cinque minuti si fa, in cinque minuti si disfa. Si appendono le uova, si fanno un po’ di fiocchetti e il gioco è fatto, basta guardarlo e l’atmosfera primaverile entra di prepotenza in casa, anche se fuori son giorni di pioggia o freddi come l’inverno. E’ la magia di queste uova colorate e divertenti, glitterate come detta la moda, marmorizzate a mano o piene di fiorellini un po’ rétro, ogni anno ne compro una nuova, un po’ come faccio con le palline di Natale, ed ognuna ha la sua storia, i suoi ricordi. Queste uova ti fanno sorridere anche se non vuoi, parola di gallina.

sabato 13 marzo 2010

La torta improvvisata

Capita che nel bel mezzo di una giornata piena e faticosa, umida e fredda, possa improvvisamente materializzarsi un’ora di buco, come si diceva quando andavo a scuola. La pulcina alla riunione del suo branco scout, il galletto ancora ben lungi dal rientrare, lo stirabile stirato ed il pulibile pulito. Caspita, pare quasi impossibile, ma sembra che abbia un’oretta tutta per me, o quasi. Così, unendo l’utile al dilettevole, metto un sottofondo musicale da pischelli, e decido di sfornare qualcosa che servirà alla nostra cena, improvvisando con quel che offre il mio frigorifero, icché c’è c’è, come si dice da queste parti, che di uscire ad acquistare gli ingredienti mancanti non ne ho la benché minima voglia. Un rotolo di pasta sfoglia fresca, una confezione di ricotta, uova, un po’ di prosciutto cotto… ma sì, qualcosa verrà fuori. Ed ecco come è nata questa torta salata, buona e veloce, che accompagnata da un’insalata è stata la nostra cena di ieri sera e che qualcuno mi ha già chiesto di rifare. Che sia stato merito di Lady Gaga?

Torta salata ricotta e prosciutto

Ingredienti:
un rotolo di pasta sfoglia fresca
250 gr. di ricotta
due manciate abbondanti di parmigiano reggiano grattugiato
due uova
150 gr. di prosciutto cotto
due sottilette
sale, pepe, prezzemolo


Preparazione:
Sistemare la sfoglia nella tortiera lasciando sotto la sua carta da forno. Bucherellare il fondo con una forchetta e coprirlo con alcune fette di prosciutto cotto, usandone la metà. Tagliuzzare finemente l’altra metà del prosciutto cotto e tenere da parte. Sbattere bene le uova, aggiungere la ricotta e mescolare bene, salare, pepare, aggiungere il parmigiano grattugiato ed un cucchiaino di prezzemolo tritato. Aggiungere il prosciutto cotto tagliuzzato e mescolare bene, poi versare il composto nella tortiera e livellarlo. Spezzettare le sottilette e cospargere la superficie della torta senza coprirla interamente. Infornare a forno già caldo e cuocere a 200° per circa 25 minuti. Lasciar raffreddare. Servire tiepida o a temperatura ambiente.

giovedì 11 marzo 2010

Fuga da Alcatraz

Una settimana a volte è velocissima. A me è sembrata non finire mai. Lo dicono anche i carcerati che il tempo in cella si ferma ed io mi sono sentita come imprigionata, confinata dietro le sbarre di una prigione immaginaria. I virus non sono solo quelli che ci becchiamo noi e che ci stendono nel letto senza pietà alla mercé di febbre e mal di pancia, si trasmettono in vari modi, con uno starnuto ma anche con una mail. Così mi sono improvvisamente ritrovata senza computer, ammalato grave e subito ricoverato. E mi sono ritrovata al buio. Non credevo che questa scatola mi fosse diventata così indispensabile, è proprio vero che ti accorgi dell’importanza delle cose da quanto ti mancano quando non le hai più con te. Nonostante il fiume delle mie giornate continuasse a scorrere allo stesso modo, con le solite rapide, le secche e gli invariabili mulinelli, mi sono sentita deprivata della mia libertà, delle mie ali, del mio potermi affacciare sulla finestra del mondo e star lì ad annusare l’aria, la vita, i profumi di quel che bolle in pentola, di poter muovere le dita e con esse dar fiato alla mia mente e fare uscire quel che c’è, a seconda dei giorni, dei momenti. Il frivolo, il triste, il culinario, il mammesco, il polemico, il piatto del giorno insomma. Tutto restava invece confinato dentro, impossibile svuotare le ansie ed i pensieri che così si accumulavano affastellati un po’ a casaccio, gli sugli altri, alla rinfusa, per poi sbiadire lentamente. Avrei voluto acchiapparli con un retino come si fa con le farfalle o con i pesciolini al mare. Poi la mia scatola magica è finalmente tornata, perfettamente guarita dalla sua malattia e pronta a galoppare di nuovo. Ed è stato come aprire una finestra e respirare, come ritrovare la luce, come un prigioniero finalmente liberato che ha solo tanta voglia di correre e dire e fare e baciare e pure lettera e testamento. Eccolo, è ritornato. Eccomi, sono tornata.

lunedì 1 marzo 2010

Cercasi ramo disperatamente

Ho bisogno di un ramo. Che banalità, si direbbe. E invece mica tanto. Operazione facile per chi abita in campagna o nelle immediate vicinanze di essa, si apre la porta di casa, si attraversa il prato, il campo, la vigna, il bosco, si sceglie il ramo, lo si taglia e lo si porta in casa. Semplice. Un pelino più difficile per chi abita in città, come me, in una zona piuttosto verde, è vero, ma non propriamente accessibile a tutti come fosse un bosco del demanio o un campo coltivato che basta non ci sia il contadino nelle vicinanze per rubare le spighe di grano in estate. Le mie alternative si riducono ai giardini dei vicini, i quali probabilmente non gradirebbero molto una mia incursione con tanto di cesoie per potare un ramo dai loro alberi, e al parco pubblico davanti a casa, ricco di alberi ma anche di joggers, mamme con carrozzine e passeggini, ragazzetti a sbaciucchiarsi e persone anziane sedute sulle panchine, i quali non ci penserebbero un secondo a denunciarmi per atti vandalici ai beni della collettività. Fino a poco tempo fa avevo un vecchio amico da cui attingere in questo periodo dell'anno, ma l'idea adesso di tagliare un ramo al suo giovanissimo sostituto mi fa orrore, assolutamente impensabile, sarebbe come tagliare i primi riccoli setosi di un bambino piccolo, un vero sacrilegio. L’unica cosa che sono riuscita a tagliare è stato un fiore alla mia camelia bianca, che in questi ultimi due giorni è letteralmente esplosa e chi vuoi che si accorga che un boccio ha traslocato: l’ho portato in casa con me, a galleggiare in una coppetta di vetro per inondare la casa di primavera. Bellissimo. Ma questa è un’altra storia, il dilemma resta, dove caspita vado a procurarmi il ramo. Che poi mica può essere un ramo qualsiasi. La ricetta parla chiaro: ramo di albero da frutta, privo di foglie ma preferibilmente ingemmato. Mica posso rinunciare alla tradizione così, sui due piedi, e usare un tozzo ramo di platano o un salice triste e magrolino. Vabbè, qualcosa inventerò. Nel frattempo comincerò a tirare fuori gli altri ingredienti di questa tradizione nordica che ho fatto mia da diversi anni, nonostante da queste parti tutti mi prendano per matta. Di che ricetta si tratta? Ma dell'albero di Pasqua, of course!

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