lunedì 23 aprile 2012

Ti regalo Parigi

Si sa come son fatti i bambini, mica riflettono troppo prima di dire le cose, le sparano fuori con tutto il loro candore e che importa del resto. E’ proprio per questo che sono unici, irripetibili ed assolutamente meravigliosi. Quando si diventa più grandi e si comincia a chiedersi un sacco di se e un sacco di ma prima di dire qualcosa, addio, non siamo di sicuro più bambini, avremo guadagnato cento punti in diplomazia ma perso inesorabilmente la nostra purezza. La pulcina è indubbiamente ancora molto bambina, e non solo a guardarla, piatta come una tavola da surf e sottile come un filo d’erba al vento, lo è anche dentro, pura e semplice, senza tanti fronzoli e anche senza tanti schemi. Così, se da un lato non mi sarei dovuta sorprendere dalla domanda che ha fatto a sua nonna, dall’altro ne sono rimasta sconvolta, pietrificata al suono di quelle parole, mentre avvertivo netto un crack nel mio cuore. Mia madre nel letto, la luce che entra lieve dalla finestra attraversando gli alberi, quelle povere ossa sotto al lenzuolo e quella mano che si muove incessantemente, come a volerne far scaturire le parole che non riescono più ad uscire dalle labbra. Io che tutte le volte cerco di sorridere mentre il dolore mi trafigge senza pietà e vorrei solo poter fuggire per non vederla soffrire così, facendomi forza da quella che mi trasmette mia figlia, che le racconta impavida dei voti a scuola, delle scarpe nuove e che ridendo le fa le pirouettes intorno al letto. E che improvvisamente le chiede se c’è una città che non ha visto e che le piacerebbe poter visitare. Mia madre la guarda e muove le labbra, Parigi, gli occhi verdi s’illuminano per un attimo e, forse, sognano. In quel momento, mamma, te lo giuro, ho preso il volo, un secondo dopo ero al Trocadéro, mi sono affacciata alla terrazza ed ho abbracciato la Tour Eiffel con il mio sguardo, l’ho staccata da lì e sollevata in cielo con mille palloncini come la casina di Up! e l’ho portata via con me, mamma, per regalartela tutta, tutta intera, e salire insieme fino in cima, io e te, più veloci degli ascensori, affacciarsi giù e guardare Parigi, mamma. Io e te, in cima alla torre. Ti regalo Parigi, mamma, è qui nel mio cuore, per te.

venerdì 6 aprile 2012

L'albero di Pasqua

Per essere bellino, lo è. Parecchio bellino. Sicuramente il più bellino degli ultimi anni. Secondo me è l’abbinamento dei romantici rami di pesco ai bianchissimi rami zen che crea un mix un po’ strano, in bilico tra il pissero (do you know pissero?) e l’essenziale, che trovo parecchio affascinante. Le uova poi, che ogni anno aumentano di numero e che adesso iniziano ad essere decisamente troppe, hanno dovuto superare una durissima selezione all’ingresso come avviene per i locali più trendy, me medesima trasformata in inflessibile buttafuori, rigido esame del look e giudizio insindacabile, tu ovetto fru-fru in abito rosa polka dots sul ramo più alto, tu con mantellina avorio e rose vintage in pole position, tu con quel giubbottino verde fluo, no way, grazie, sarà per l’anno prossimo. Così il mio albero è arrivato anche quest’anno a portare una ventata di allegria nel mio soggiorno, e più lo guardo e più mi piace. Quasi mi dispiace che tra pochi giorni sarà già il momento di disfarlo e di rimettere tutto in cantina. Bisognerebbe crearne uno per ogni stagione, oltre al ben più famoso collega natalizio si potrebbe inventare un albero di San Lorenzo, nero come la notte d’agosto e illuminato da tantissime piccole stelle cadenti, e poi un albero di Ognissanti, arancio come una zucca e pieno di streghe a cavalcioni e pipistrelli a penzoloni. Sarebbe divertente. Vabbè, forse meglio aspettare a lanciare nuove tradizioni. Già mi guardano strana quando dico che faccio l’albero di Pasqua.

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