sabato 13 luglio 2013

Quando non ci sei

Quando non ci sei il silenzio di questa casa è come se suonasse, come se facesse rumore, una specie di muta colonna sonora, come dire, del vuoto intorno. Lo sento, anche se è strano a dirsi, come se lo potessi toccare. Avverto un filo di malinconia a metà strada tra cuore e gola, che litiga con la gioia di saperti felice; è un  battibecco incessante, assolutamente impossibile stabilire chi possa vincere. Stavolta sei lontana davvero, anche se messaggini e telefono rendono tutto così vicino, e sorrido di me stessa che stamani in ufficio non riuscivo a non guardare ogni due minuti il sito dell’aeroporto per vedere apparire la parola landed. Quando non ci sei mi mancano le nostre litigate, anche quelle feroci degli ultimi giorni, che se da un lato l’adolescenza sta battendo cassa velocemente, dall’altro c’è una madre di mezz’età, mioddio che orrore questa parola, che adesso deve pure fare i conti con l’ipertensione. Mi sembra tutto così sciocco adesso, e forse sì lo sono sciocca davvero, ad arrabbiarmi per il tuo continuo spippolare sul cellulare, che per voi nati in quest’era telematica altro non è che un prolungamento della mano, e poi cosa pretendo mai da una quasi quattordicenne che ha appena superato gli esami di terza media con un bellissimo nove. Forse sono troppo perfezionista, un po’ asfissiante, e alla luce delle centinaia di chilometri che oggi ci separano mi giunge anche la consapevolezza di essere di sicuro una gran rompiballe. Ma è anche vero che se io non fossi tutto quello che sono, tu probabilmente non saresti tutto quello che sei, figlia che sbuffa, che ribatte senza tregua, che si spezza ma non si piega, e che ride, che gioca, che riflette, che canta e balla per tutta la casa, che mi abbraccia e mi riempie di tvttttb e che si commuove davanti a un film rubandomi il fazzoletto già bagnato delle mie lacrime. Quindi va bene così, va bene tutto. La guerra e poi la pace, e tutto l’amore che c’è in mezzo, e prima, e dopo. Quando non ci sei mi sento sola, ma di una solitudine strana, come se mi mancasse un pezzo, una mano, un occhio. Una solitudine fisica, che si tocca e fa un po’ male, come quei lividi che ci troviamo a volte sulla pelle, sotto la doccia o mentre ci si veste, e non ricordiamo come ce li siamo fatti, ma dolgono un po’. Penso alle cose da fare in questi giorni, che per il resto sono giorni normali, di ufficio, di panni da stirare, di vecchi amici da invitare a cena per una grigliata e mille chiacchiere, di libri da leggere, di supermercato e non dover comprare il latte. Penso al tuo viaggio, a te e a tua cugina alle prese con una lingua straniera, alle cartoline, ai musei, al bus scoperto che vi farà girare la città. A vostra nonna che impavida vi ha prese e portate con se per un viaggio che resti un ricordo prezioso. Sorrido e cerco di cacciar via il magone. Quando non ci sei mi sento così. Vuota, fiera, fragile, scema. E sì, assolutamente rompiballe.

domenica 12 maggio 2013

L'ingrediente fondamentale

Questa è una ricetta un po' particolare: anche cambiando gli ingredienti il risultato non cambia mai. Tulle, porcellana, juta, feltro, organza, carta, pergamena, nastrini a profusione, va bene davvero tutto. Ciò che non deve mancare mai è l'ingrediente fondamentale, qualche chilo abbondante di amore, ed anche in questa occasione direi che ce ne sia sicuramente in abbondanza, forse anche troppo, anche se troppo l'amore non è mai. Amore trasmesso dal cuore alle mani che aprono e piegano, alle dita che misurano e tagliano e annodano, agli occhi che scelgono e valutano, alle labbra che sorridono, sussurrano e poi sbadigliano, che il confezionamento delle bomboniere nel cuore della notte ormai è una mia specialità. Sono passati molti anni dalle sessioni precedenti, già quattro dall'ultima, e mentre nel silenzio della notte faccio fiocchi tripli come alla catena di montaggio, davanti ai miei occhi scorrono le immagini del passato. Sempre di notte, sempre di maggio, che dolcissima coincidenza. O forse no, non lo è, magari è scritto nelle nostre stelle che gli eventi speciali qui capitano sempre di maggio, chissà. Come lucide fotografie rivedo i cucchiaini bianchi del tuo battesimo, il tulle rosa, i nastri, i bigliettini da scrivere a mano col pennarellino rosa che mi ero intestardita di trovare ad ogni costo, il grande cesto di vimini per portarli tutti al luogo del rinfresco. I sacchettini di juta e i fiorellini di feltro colorato della tua comunione, i bigliettini arrotolati intorno ad una matita, i confetti che finivano troppo spesso nella mia bocca e la preparazione di tutti i gruppetti, per i compagni di scuola, le maestre, le compagne di danza. Adesso il mio sguardo si posa su queste scatoline lunghe e trasparenti, sui confetti colorati che hai scelto tu, sui bigliettini che la stampante ha sfornato più belli che se li avesse fatti il tipografo. E' la tua cresima amore, e queste scatoline sono belle come te, come il tuo cuore, ed il mio. Il pensiero che la prossima volta che mi ritroverò a far fiocchi potrebbe essere per le tue nozze mi fa saltare un battito. Ma no, che sciocca, prima potrebbe esserci la laurea, che pare sia da festeggiare con un tripudio di confetti rossi. In ogni caso, che siano nozze, laurea od il battesimo di un nipotino, sarebbe bello. Se me lo chiederai, lo farò con grande gioia. Anzi, con amore. Quello non mancherà mai.

sabato 23 marzo 2013

Di soppiatto

Ma sì che è arrivata. Zitta zitta, in punta di piedi, senza farsene accorgere, un po’ come a voler fare uno scherzo, un’improvvisata. Signori, son qua. E’ bastato aprire le finestre stamani per accorgersene, e star lì due minuti in più ad annusare l’aria, ad ascoltare quello che solo sembrava silenzio ma che in realtà era un tripudio di suoni, ad osservare la luce nuova che ammantava il giardino. Caspita, è arrivata davvero. Nonostante il cielo grigio e spesso di ieri che ha accompagnato la consueta caccia alle uova delle pulcine, quest’anno giocata in anticipo come le partite di calcio, che la trasferta romana della cugina non ne avrebbe consentito lo svolgimento la prossima settimana. Nonostante il mio piumino lungo e scuro che fino a ieri mi stringevo addosso rabbrividendo e che adesso dovrò correre a rimpiazzare nell’armadio con qualcosa di più leggero, probabilmente il cappottino di panno, quello con i fiori sul collo, che fa tanto madame frou-frou. Qualche avvisaglia in realtà c’era stata, con le camelie che impavide avevano iniziato a fiorire sotto la pioggia torrenziale degli ultimi giorni e le gemme dell’albicocco che lasciavano intravedere i primi petali rosati, ma il concertino di stamattina, quello che ancora adesso sta entrando dalle finestre aperte e che non finirei mai di ascoltare, come se fosse Zubin Mehta a dirigerli, passerotti, merli e forse anche qualche rondone, quello è stato davvero il calcio d’inizio. Anche se il cielo tornerà a farsi grigio in serata, e la pioggia a cadere noiosa nei prossimi giorni, il sapere che lei comunque è arrivata e che si sta accomodando in poltrona, sistemando le sue cose con grazia come si addice ad una signora, mi dona un’inaspettata serenità, un piccolo briciolo di gioia, da chiudere nel pugno stretto e custodire con cura. Che i festeggiamenti abbiano inizio. L’albero di Pasqua è già pronto e agghindato da qualche giorno, con l’uovo nuovo di zecca, come da tradizione, quest’anno un piccolo capolavoro di fiorellini lavanda. Uscire in giardino a prendere qualche camelia da far finire di fiorire in casa prima che le prossime piogge se le portino via tutte sarà roba di cinque minuti. La maglietta keep calm da infilare nell’uovo della pulcina è già stata affidata al servizio postale di Sua Maestà. Inaugurare il nuovo gloss rosato anche solo per star lì a stirare la solita montagna di panni che mi aspetta al varco sarà un piccolo segreto tra me e il mio specchio. E correre a comprare quella cassettina di fragole che mi faceva l’occhiolino al supermercato per trasformarla in una dolcissima bavarese. Niente male per una primavera arrivata di soppiatto.

martedì 5 febbraio 2013

La torta di Heidi

La scusa ufficiale è stata utilizzare quelle mele che stazionavano già da un po’ di giorni nella fruttiera prima che si sciupassero, ma in realtà avevo solo una gran voglia di qualcosa di dolce e goloso, in barba ai tre chili in più che sono neanche tanto miracolosamente apparsi sul display della mia bilancia, la quale ahimè non è rotta e funziona perfettamente, e al cocktail di colesterolo e glicemia col quale il galletto deve fare i conti in questo periodo. Giuro che non sto tentando di farlo fuori: è una vita che non mangia dolci, mica vorrà cominciare proprio adesso. Ognuno ha i suoi cavalli di battaglia, e con la ricetta di mia suocera sarei andata sullo strasicuro, ma stavolta avevo voglia di sperimentare qualcosa di nuovo. Sono andata a curiosare in un vecchio ricettario, il più vecchio dei miei libri di cucina, proprio il primo, quello che mi regalò mia madre quando io e il galletto venimmo ad abitare nel pollaio, una ventina di anni fa. Lei ben sapeva quanta poca dimestichezza avessi allora con forno e fornelli e un libro di ricette aiuta sempre, soprattutto una gallinella alle prime armi. Lì, tra le pagine ricche di foto un po’ demodé, ho trovato questa ricetta proveniente dalle montagne di Heidi ed ho deciso di metterla alla prova. Comunque la si giri, una torta di mele è sempre una torta di mele, e le varianti non son certo millemila, ma devo dire che questa si è rivelata una gran bontà. Eh sì, gli svizzeri la sanno lunga. E non solo in fatto di orologi.

Torta di mele svizzera

Ingredienti:
3 mele (circa 600 gr.)
200 gr. di farina
2 uova grandi
125 gr. di burro ammorbidito
125 gr. di zucchero
il succo di mezzo limone
un cucchiaino di lievito

Preparazione:
Accendere il forno a 180°. Lavorare bene in una ciotola il burro ammorbidito con lo zucchero. Aggiungere i tuorli ed il succo di limone, continuando a lavorare fino ad ottenere una crema. Aggiungere la farina poca alla volta, ed il lievito, impastando bene. Se il composto fosse troppo sodo aggiungere qualche cucchiaio di latte. Montare a neve gli albumi ed aggiungerli al composto mescolando delicatamente. Imburrare ed infarinare una tortiera. Versare il composto nella tortiera e livellare. Sbucciare e tagliare le mele a spicchi e poi a fettine sottili. Disporle di taglio nell’impasto e cospargerle con poco zucchero. Cuocere in forno caldo per circa 40 minuti. Servire tiepida.

giovedì 24 gennaio 2013

Liceo

Anche se il sito del ministero della pubblica istruzione funziona ancora a singhiozzo e nel bel mezzo dell'iscrizione on-line mi sono vista buttar fuori un paio di volte, col terrore di aver perso tutti i dati inseriti fino a quel momento, alla fine ce l'ho fatta ed ho registrato la domanda di iscrizione per la pulcina, che a questo punto farei meglio a chiamare gallinella. Liceo. Oddio, che impressione mi fa questa parola. Non mi capacito di come possa essere volato il tempo da quella fredda mattina di gennaio quando, ancora ben lontani dal processo telematico, passai più di un'ora in fila fuori dai cancelli della scuola per l'iscrizione alla prima elementare. Sicuramente il tempo di attesa fu nettamente inferiore rispetto ai quasi due giorni passati in coda adesso per riuscire ad entrare nel sito; l'unica differenza il fatto che l'attesa attuale è stata ingannata comodamente seduta davanti ad un pc, anziché infagottata in sciarpa e cappello per ripararmi dalla tramontana, ma fu un modo per iniziare a fare amicizia con qualche altro genitore mattiniero come me. Il modulo on-line nemmeno prevede la cara vecchia richiesta di poter andare in classe insieme all'amico di turno, ma perdinci, mica siamo diventati robot. Vuoi mettere quando con un sorriso si chiedeva alla segretaria se era possibile scrivere i nomi di due amichette anziché uno solo? Vabbè, il vecchio cartaceo vince due a zero. Liceo. Al suono di questa nuova parolina che comincia per elle mi vengono i brividi. Perché liceo significa diventare grandi davvero. Vuol dire passare oltre, correre, spiccare il volo, ma quello lungo, transoceanico, praticamente un Roma-Sidney senza scali tecnici. Come sempre mi accorgo di non essere mica tanto preparata, anzi proprio per niente. Nel vocabolario quotidiano entreranno parole nuove, come fidanzato e concerto, Facebook e discoteca, piercing e occupazione. E chissà cos'altro. Ed io mi troverò sempre più spesso a cercare di vedere attraverso un vetro appannato, lasciata dietro ad una porta chiusa per schermare una telefonata piena di risatine, semiaddormentata sul divano a guardare vecchissimi film in programmazione notturna in attesa di sentir girare una chiave. Sono pallosa, lo so, e sto bene attenta a non farlo vedere, a camuffare la mia indole protettiva mascherandomi da mamma sprint, praticamente una chioccia travestita da tigre, che tanto è Carnevale e ci sta pure bene, ma in certi momenti è come se un mandarino mi si fosse piantato in gola e non ne volesse sapere di scivolare giù. Il cielo è alto e grigio oggi. Infilo le mani in tasca. Nonostante il cappotto pesante, rabbrividisco.

martedì 22 gennaio 2013

Profumo di basilico (e di estate)


Il forno acceso in questi giorni ci sta d’incanto, è praticamente un must, fosse anche solo per il fatto che dopo aver cotto il cibo lo lascio aperto per un po’, affinché il suo calore si diffonda tra cucina e soggiorno, portando con se profumi di torte o di arrosti, che secondo me non c’è cosa che faccia più casa del rientrare e indovinare cosa c’è per cena quando le chiavi ancora girano nella toppa. Ed uno dei riti del forno, in casa di chiunque, sono le lasagne, amatissime da tutti, a partire dai bambini, anche quelli più ficosi, per arrivare ai nonni le cui dentiere ringraziano. Tutte buonissime. Quelle col sugo di carne di mia suocera, che come dice lei non è ragù ma sugo di carne, e in tutti questi anni mica l’ho capita ancora la differenza; quelle vegetariane della mia amica professoressa, che si potrebbe stare a far scarpetta fino al giorno dopo; e le mie, sì, le mie, che modestia a parte sono proprio buone, e che la pulcina mi chiede di farle tutte le volte che ha davvero voglia di qualcosa di goloso. Ecco quindi uscire dal forno le mie lasagne al pesto. Per la ricchezza degli ingredienti sono certamente perfette per questi giorni rigidi e piovosi di gennaio, anche se io ogni tanto spiazzo tutti e le sforno anche a luglio, ma stasera l’inaspettato profumo del basilico mi ha fatto chiudere gli occhi e pensare all’estate. Ho gioito di queste giornate che già si vanno allungando, ed anche se fuori era gelido e buio pesto, ho sorriso. Non manca poi molto alla fine dell’inverno.

Lasagne al pesto con ricotta e pinoli

Ingredienti:
lasagne fresche sottili
250 gr. di ricotta
½ litro di besciamella
200 gr. di pesto fresco
pinoli
parmigiano grattugiato
burro
sale
qualche foglia di basilico fresco per decorare

Preparazione:

Accendere il forno a 200°. Imburrare una pirofila. Cuocere le lasagne in acqua bollente salata per circa 3 minuti (cuocendone massimo 4-5 alla volta per evitare che si attacchino) e appena tolte dall’acqua bollente metterle in una ciotola piena di acqua fredda. Toglierne un paio dall’acqua e stenderle su un canovaccio pulito per togliere l’eccesso di acqua. Sistemarle sul fondo della pirofila, coprendo bene tutta la superficie, sovrapponendo appena i bordi. In una ciotola mescolare la besciamella con la ricotta, aggiungere 140 gr. di pesto e un pizzico di sale. Spalmare questa crema sulle lasagne, aggiungere qualche goccia di pesto qua e là, mettere qualche pinolo e cospargere di parmigiano grattugiato. Fare un altro strato di lasagne e ricoprire ancora con la crema, le gocce di pesto, i pinoli e il parmigiano. Continuare così fino all’altezza desiderata. L’ultimo strato dovrà avere un po’ più di parmigiano, un po’ più di pinoli e qualche fiocchetto di burro. Cuocere in forno a 200° per 15 minuti + altri 10 minuti di solo grill per dorare la superficie. Servire decorando ciascun piatto con qualche foglia di basilico fresco.

martedì 18 dicembre 2012

Detto fatto

Evidentemente sono io che me la tiro da sola, praticamente un effetto gallina che si gufa, tanto per restare tra volatili. Fatto sta che qualche giorno addietro, mentre cercavo di districarmi tra gli acquisti natalizi, l’asse da stiro, la pioggia battente e le prove del coro gospel nel quale sono stata inserita di forza (in effetti, a chi non manca un coro gospel nella vita), avevo brevemente riflettuto su come non avrei disdegnato qualche giorno di stop causa influenza e… detto fatto, passate neanche ventiquattr’ore mi sono ritrovata alle prese con termometro e tachipirina, il tutto inframezzato da dolori allucinanti ad ogni singolo osso, molti dei quali ne ignoravo addirittura l’esistenza, ed improvvise corse in bagno. Ovviamente il riposo forzato è arrivato, e visti i collaterali ne avrei fatto volentieri anche a meno, ma mi chiedo come mai io sia stata esaudita in questa stupida richiesta mentre tutte le volte che penso, che so, al superenalotto, al biglietto vincente della lotteria o a far sì che una dissenteria fulminante colpisca il bieco di turno, i miei desideri vengano sempre bellamente ignorati. Vabbè, probabilmente me lo meritavo e basta questo antipatico virus che mi ha stesa per qualche giorno, ma forse non tutto il male viene per nuocere, visto che tra un colpo di tosse, uno starnuto e una tazza di tè bollente sono riuscita a preparare delle etichette proprio carine per la vendita di dolcetti natalizi della squadriglia scout della pulcina, a rivedere la puntata di Downton Abbey che mi ero persa ed a tirare fuori tutti i ricettari per decidere cosa cucinare per il pranzo del venticinque. Sì, direi che una volta passato il primo tempo per così dire drammatico e con effetti speciali, il secondo tempo di un virus dicembrino può rivelarsi decisamente sopportabile. Sono sicura che ci sarà anche un terzo tempo, alla stregua di quello del rugby, ed ugualmente spassoso: una seduta di stamping da fare indigestione. Dovrò solo stare attenta a non tossire sul glitter.

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