sabato 24 dicembre 2011

Merry crisis

Il post di Natale era bell’e pronto, nero su bianco nella mia testolina, bastava solo sedersi un attimo e metterlo giù. Avevo voglia di parlare dell’abito bianco che più bianco non si può creato quest’anno per il mio abete, bellissimo e luccicante come non mai, magari senza menzionare il fatto che costui è arrivato nella nostra dimora praticamente in coma e con un fianco color grigio topo e semi spoglio che ho dovuto strategicamente accostare alla parete, sperando non si notasse troppo la fine incombente di un alberello tagliato male o troppo presto o tutt’e due. Era sicuramente un segnale premonitore della sfiga che stava per abbattersi su di noi, e avrei dovuto correre ai ripari attaccandomi al collo aglio e peperoncino, ma lì per lì non ci ho fatto molto caso. Avrei voluto raccontare dei pacchettini che ogni giorno confezionavo e che andavano ad ornare la base dell’abete di bagliori rossi, verdi e argentati, dei loro contenuti e delle gite a destra e a manca per procurarseli, ma l’odore terrificante che improvvisamente si è materializzato in camera nostra, facendoci traslocare in soggiorno con sacchi a pelo e brande che nemmeno la Protezione Civile, sinceramente mi ha fatto un po’ passare l’ispirazione. Mi avrebbe fatto piacere aprire il mio cuore e dire dell’emozione che ho provato alla lezione aperta di danza della pulcina dopo l’ingresso nella nuova scuola a settembre e il grandissimo impegno che ci ha messo e, caspita, restare senza fiato e dire che sì, nonostante tutti i dubbi e le incertezze, quello era proprio il passo da fare. Ma l’andirivieni di muratori e idraulici mi ha tolto ogni ispirazione e le poche energie rimaste erano tutte dedicate a sigillare la porta della nostra camera con stoffe e nastro adesivo per evitare la dispersione di Eau de Fogne nel resto della casa. Avrei tanto voluto parlare dei micromuffins multicolor e del rotolo in bianco e nero che voglio preparare per il pranzo di Natale ma gli operai in casa proprio la mattina della vigilia e la vista del galletto con mezzo metro di braccio dentro a un pozzo per cercare di sigillarlo col cemento a pronta in attesa dei muratori dopo le feste mi ha fatto davvero passare ogni voglia. Ciononostante il Natale sta arrivando anche quest’anno, sfiga o non sfiga, e se dicessi ma che Natale di emme posso assicurare che non sarebbe affatto un’espressione volgare o inappropriata. Ma non lo dirò.

lunedì 12 dicembre 2011

Lui vola

Il tempo vola. Non è una frase fatta, vola davvero. Se chiudo gli occhi lo sento proprio passarmi accanto rapido, una brusca folata di vento, imbizzarrita, che mi scompiglia i capelli come la Tramontana della mia infanzia e mi arrossa le gote come dopo una corsa. Sì perché lui corre, ed io con lui, alla faccia dell’asma, tanto non è mica la maratona che è passata davanti a casa mia un paio di domeniche fa che mi faceva venire il fiato grosso solo a guardarla. La mia è una gara un po’ più lunga, ci fanno un baffo quarantadue chilometri, qui si continua a correre che si potrebbe farci il giro del mondo e pure diverse volte. Io corro e lui vola. Bella coppia, non c’è che dire, anche se a volte vorrei proporgli una tregua, un break, un semaforo rosso, un time-out come nel basket, giusto il tempo di tirare un po’ il fiato, far due parole, soffiarsi il naso, pianificare una strategia. Nulla, lui non ci sente da quell’orecchio, e vola più che mai, ed io continuo a pedalare svelta. Capita così che non ci sia neanche più un momento per venire qui e deporre un uovo, che mica lo si può scodellare al volo, che diamine, anche la più veloce delle galline necessita di un minimo di concentrazione, sennò si sbaglia la mira e sai che frittata, anche se ogni tanto ci starebbe bene pure quella. Oh, sì, una bella frivolissima frittata. Così i pensieri restano in testa, si accavallano, sgomitano e dopo un po’ sbiadiscono, si induriscono come il pane dimenticato in fondo alla dispensa che poi non è più buono neppure per farci la ribollita. Quanti pensieri sono volati in questi giorni. Non sono riuscita a fermarli e son già passati oltre, ed ha poco senso cercare di riacciuffarli adesso. Così mentre il tempo continua a volare e a sbatacchiarmi come un aquilone nel vento teso, guardo soltanto ai pensieri di domani, di questo dicembre che è riuscito ancora una volta a cogliermi impreparata, dell’abete che staziona in fondo alle scale nudo come un verme in attesa del suo abito, dei colloqui scolastici da andarci con il coltello tra i denti, e non perché abbia cattive intenzioni verso qualche prof ma solo per riuscire a passare indenne l’apertura del cancello e l’ingresso dell’orda selvaggia, e i bigliettini fatti a mano che ho paura resteranno soltanto un bel progetto. D'altronde, lui vola.

martedì 22 novembre 2011

Il pollo di Benedetta

Di questi tempi per trovare una ricetta o una semplice ispirazione culinaria basta anche solo accendere la tivù e si può star certi che a qualsiasi ora del giorno e della notte troveremo cuochi di qualsiasi genere, da quelli stellati a quelli improvvisati, pronti a farci lezione. Io non riesco a resistere, mi basta vedere un fornello acceso che mi ipnotizzo a guardare il video, immaginandomi perfettamente in grado di ripetere quello che sto vedendo. In realtà non è poi così facile, le ricette televisive sono un po’ troppo frettolose, vengono saltati passaggi importanti, il peso degli ingredienti, le temperature, i tempi esatti di cottura, e spesso gli chef glissano abilmente su alcuni trucchi del mestiere che non rivelerebbero neppure in punto di morte. Così in genere mi limito a rubacchiare un po’ qua e un po’ là, traendo ispirazione per la decorazione di un piatto o per un particolare abbinamento, per poi restar fedele ai miei vecchi ricettari stampati e alle mie food blogger preferite. Qualche giorno fa, durante uno zapping selvaggio, mi è capitato però di imbattermi nell’angolo cottura di Benedetta Parodi e mi sono accorta che lì non c’erano segreti, che gli ingredienti erano tutti comprensibili, facilmente reperibili e l’esecuzione spiegata perfettamente. Ho avuto anche il tempo per prendere foglio e matita ed appuntarmi la ricetta. Benedetta non sarà uno chef stellato, ma una che suggerisce di usare il soffritto congelato per guadagnare tempo mi sta già simpatica a prescindere, e poi comunque l’ho subito messa alla prova. Prova che ha vinto ad occhi chiusi: il suo pollo alla cacciatora è semplicemente favoloso.

Pollo alla cacciatora

Ingredienti:
150 gr. di misto per soffritto congelato
olio extra vergine di oliva
2 spicchi di aglio
2-3 filetti di acciuga
1400 gr. circa di cosce e sottocosce di pollo, senza pelle
vino bianco
una lattina di pomodori ciliegini
rosmarino, alloro, sale, pepe
olive nere taggiasche

Preparazione:
Versare poco olio in una casseruola grande a sponde alte e far scaldare a fiamma vivace. Aggiungere il misto per soffritto ancora congelato, l’aglio sbucciato e schiacciato ed i filetti di acciuga. Mescolare bene, sistemare nella casseruola i pezzi di pollo e farli rosolare bene da tutti i lati. Salare e pepare. Versare un bicchiere di vino bianco e farlo sfumare, mescolando bene. Aggiungere i pomodori, alcuni ciuffetti di rosmarino, un paio di foglie di alloro e le olive nere. Abbassare il fuoco e continuare la cottura coperto per circa 30 minuti, a fiamma molto bassa.

martedì 15 novembre 2011

Spento novembre

Indubbiamente il virus ci ha messo del suo, questo è poco ma è sicuro, perché una mezza giornata di corse in bagno metterebbe di malumore chiunque, ma nel mio caso capto anche qualcos’altro oltre al colorito grigioverde che mi è giunto in dono inaspettatamente. Come un senso di inadeguatezza, una sensazione di precarietà che mi fa guardare l’orologio in continuazione ed avvertire netta la sensazione di non farcela. A fare nulla e a fare tutto in realtà, che non è che abbia una scadenza specifica da rispettare, tipo un settequaranta da presentare o una multa da pagare entro il sennò scatta la mora, ma il tutto è talmente tanto che a volte mi sento soffocare e non riesco a metterlo in fila per benino, ad ammaestrarlo come una tigre al circo, che se ne sta lì buona sul piedistallo a ringhiare piano mentre il domatore schiocca la sua frusta. Se mi volto un attimo sento già la tigre slanciarsi su di me a fauci spalancate, ecco. Beh, detta così sembra quasi un’allucinazione, che invece no, non è, ma la sensazione di essere un po’ in bilico, in trincea, quella sì, permane, in questo novembre spento e dalla voce un po’ roca, che non sai se è raucedine o forse è solo uno che fuma troppo. Spento, come un po’ spenta mi sento io, che non so cosa farei per avere un pomeriggio vuoto da riempire solo con un ricettario da sfogliare e un forno da accendere.

venerdì 4 novembre 2011

Giorni di vino e di Langa

Ultimamente i problemi cominciavano ad essere decisamente troppi e dopo giorni di incontri sul ring e sfiancanti allenamenti condotti sino a tarda ora a suon di riunioni, proposte e volantinaggio, una piccola fuga per tirare un po' il fiato si rivelava ideale, oltre che necessaria. Il ponte di Ognissanti, con tanto di scuola chiusa, cascava sicuramente a fagiolo, peccato mortale non coglierlo al volo, chiudere baracca e burattini e scappare via per qualche giorno. Convincere il galletto a questo genere di fughe non è mai impresa facile, ma recentemente ho scoperto una parolina magica che funziona a meraviglia, quattro semplici lettere che gli fanno immediatamente brillare gli occhi e dire subito che sì, tutto sommato non è mica una cattiva idea, un giretto possiamo anche farcelo: vino. Basta trovare un luogo che disponga anche di vigneti e cantine, meglio se di qualità, e ringraziando Iddio ed il buon Bacco nel mondo non vi è che l'imbarazzo della scelta di posti così, ed il gioco è fatto. Il galletto sommelier concorda subito che la meta proposta è assolutamente un must. Così Langhe ho proposto, e Langhe son state. Che meraviglia, mi sono assolutamente innamorata di quelle colline, pardon, bricchi scoscesi, ricoperti di vigneti e noccioleti dai favolosi colori d’autunno, con i minuscoli paesini arroccati in cima ad ogni cucuzzolo, ognuno dei quali punteggiato da un austero castello o da una torre degna di Raperonzolo. Se ci mettiamo anche la nebbiolina che spesso ci ha fatto compagnia, rivestendo tutto di un velo impalpabile, ed un grazioso agriturismo nel silenzio del bosco, l'atmosfera era decisamente magica, indimenticabile. Come indimenticabili sono stati i grandi vini che abbiamo conosciuto in questo angolo di generosa terra piemontese e la squisita ospitalità dei loro produttori. Per una che ha da poco dichiarato di essersi arresa, passare di botto al Barolo e al Barbaresco non è certo facile, ma la rotondità e la perfezione che ho incontrato avrebbero fatto capitolare chiunque, considerati anche i bocconcini di tuma, i salumi ed i croccanti grissini che accompagnavano ogni calice. Bellissima la degustazione offertaci da Franco Conterno in un pomeriggio di sole, mentre le chiacchiere fluivano insieme agli ottimi rossi come una cosa sola. La mattina nebbiosa trascorsa in compagnia degli eccellenti vini Hilberg Pasquero e le mille fotografie che ho scattato nel vigneto mentre la pulcina correva e giocava con i loro cani è rimasta nel mio cuore come un ricordo prezioso. La visita ad un produttore pluripremiato come Roberto Voerzio è stata piacevolissima, sarei stata ore ad ascoltare mentre raccontavano le tecniche e gli accorgimenti per riuscire a tirar su quei grappoli unici come se parlassero di figli da crescere bene e con amore, lo stesso amore che si ritrova intero in quei fantastici vini che lasciano senza parole. Infine Ceretto, azienda strepitosa, dove i vini vengono offerti all’interno di una bolla di cristallo sospesa sul vigneto e ci si accorge che la loro filosofia di degustare un vino degustando un panorama è sicuramente vincente. Quattro giorni sono volati via troppo in fretta e sarei voluta restare ancora per perdermi nelle viuzze di La Morra o di Serralunga, poter mangiare ancora la carne di Fassone battuta al coltello e sgranocchiare nocciole ad ogni ora del giorno, ma questi brevi giorni di Langa sono comunque riusciti a ricaricare un po’ le nostre batterie, per ripartire con vigore, ivi compresi i combattimenti sul ring. Fino alla prossima ricarica, fino alla prossima parola magica.

venerdì 21 ottobre 2011

Un trauma tira l'altro

Pensavate di avere davanti delle povere persone inermi, senza più voglia né cuore per alzare la testa, per arrabbiarsi, come spesso sono quelli che hanno sofferto già tanto, troppo, quelli che i conti con la vita grigia e col dolore li hanno già dovuti fare così tante volte che non gli sono rimaste più nemmeno le lacrime, figurarsi la voce per gridare. Ma forse non avevate fatto bene i conti, ed i conti bisogna farli sempre insieme all’oste cari signori, perché altrimenti si rischia di sbagliarli, e magari ci si resta male. O meglio dire sorpresi, spiazzati và, che per far restar male quelli come voi ci vogliono altro che un po’ di poveracci che un bel giorno della loro vita hanno dovuto prendere la decisione più dolorosa che esiste ed accompagnare un padre, una sorella o uno zio, invalidi e gravemente malati, in un posto che da quel giorno sarebbe diventato la loro casa per sempre. Ma nei vostri grandi piani di budget e riorganizzazione non avevate forse considerato un piccolo dettaglio insignificante. Che chi arriva a passare quei momenti, quei terribili dolorosissimi momenti, preceduti da mesi ed anni di preoccupazioni e di angosce, come nel mio caso che ne ho dovute addirittura accompagnare due di persone in un posto così, dentro di se accumula così tanto dolore, sofferenza e tristezza che al primo che si azzarda a dire qualcosa gli si salta direttamente alla gola. Come possiamo restare indifferenti ascoltando la voce della persona che dovrebbe tutelarci ed aiutarci, dire che avendo già fatto passare un trauma ai nostri cari quando li abbiamo accompagnati lì, quale problema ci sarebbe adesso a fargliene passare un altro? Parole assurde, inconcepibili, veramente da non riuscire a credere di averle sentite. Così, indignati e offesi, continuiamo a lottare. Probabilmente senza speranza, piccoli folli Don Chisciotte contro un esercito di mulini a vento, ma ciononostante continuiamo la battaglia. Per le persone che abbiamo accompagnato lì, in quella che adesso considerano la loro casa davvero. Per coloro che non hanno voce, finché la nostra ancora avrà un suono. Per la loro dignità di esseri umani. Perché le mie due persone sono mio padre e mia madre.

sabato 15 ottobre 2011

Luce di mandarino

Ho voglia di tè, di piumino, di foglie
voglia di lana che nessuno mi toglie
ho voglia di cieli di azzurro cobalto
voglia di neve sul picco più alto.
Ho voglia di funghi e di bosco infiammato
voglia di fuoco e di vento ghiacciato
ho voglia di sciarpa, cappello e maglioni
voglia di buio da andarci a tastoni.
Ho voglia di autunno e di coltri pesanti
voglia di forno e di tazze fumanti
ho voglia di abbracci, carezze e babà
voglia di un libro sul caldo sofà.
Ho voglia di dire ciò che detta il mio cuore
voglia di tana come un roditore
ho voglia di vino davanti a un camino
voglia di luce di mandarino.

mercoledì 5 ottobre 2011

Chi va con lo zoppo

Non è certo una novità che chi va con lo zoppo impara a zoppicare ed infatti, annusa oggi, assaggia domani, degusta dopodomani, ho proprio paura di essermi arresa. Non proprio una resa totale ed incondizionata, che alcuni vini mica ce la faccio ancora ad affrontarli degnamente, e poi ho le mie simpatie e le mie antipatie, ma in buona parte credo di essere ormai passata al di là della barricata. Diciamo che sono a buon punto, anche se per i canoni del galletto sono ancora praticamente astemia ed assolutamente la pecora nera della sua fulgida vita enologica. Ciononostante mi accontento di questo seppur lieve cambiamento e mi accorgo di appassionarmi sempre più a questa cosa fantastica che è il provare a conoscere e capire un vino. Ammirarne il colore e rendersi conto con stupore che le tonalità possono essere infinite, che ogni singola nuance rappresenta una personalità , un carattere, un mento volitivo, uno sguardo acceso, un naso impertinente. Annusare i profumi, che cambiano e si evolvono in pochi minuti, chiudere gli occhi e riconoscerli, incredibilmente, uno ad uno, i fiori, la frutta, gli aromi, tante sensazioni preziose da trattenere dentro. Assaggiare piano, un piccolo sorso, riconoscere l’irruenza di un giovane o la pacata potenza di un vecchio saggio, ascoltarne la voce, l’accento, che ti prende per mano e ti accompagna alla vigna dove è nato, alla forza di quella terra e di quel sole. In quei momenti tutto davvero sembra più dolce e leggero, una coccola speciale, una carezza, un abbraccio. Non è la quantità che fa la differenza, anzi è proprio il contrario. Basta un solo, piccolo sorso, per chiudere gli occhi ed imparare ad ascoltare un vino.

venerdì 30 settembre 2011

Vedo rosso

Ho appena finito di scrivere al Gabibbo. Ed a Report, a La Nazione, a La Repubblica al Reporter ed altri ancora, una sfilza di mail che non finiva più, perché mica voglio lasciar fuori nessuno, così nessuno potrà dire che non sapeva, come invece stanno cercando di dire i politicanti che ci circondano. Non mi ha dato di volta il cervello, perlomeno non ancora, ma parecchio incazzata lo sono, quello sì. Oibò, ho scritto incazzata. Si può scrivere incazzata? Beh, se non si può scrivere lo scrivo lo stesso perché non c’è un’altra parola che descriva meglio il fatto che sono furibonda più di un toro nell’arena e speriamo che stavolta sia il torero a farne le spese. Succede che improvvisamente coloro che dovrebbero difendere il diritto alla salute, aiutare le persone che soffrono, gli anziani, gli invalidi, i più deboli, si trasformano in squallidi contabili che pensano solo a ripianare i bilanci, andando dritti per la loro strada e calpestando la dignità di chi ha davvero bisogno. Mi chiedo se loro ce l’abbiano una dignità. Se la mattina quando si guardano allo specchio ci pensano mai che un giorno diventeranno vecchi, che quelle gambe forti che adesso fanno jogging e giocano a tennis un brutto giorno forse cederanno e si ritroveranno coperte da un plaid su una sedia a rotelle, che quelle mani che adesso firmano ordinanze e approvano budgets un domani non saranno più in grado neppure di tenere un rosario o che quelle menti avide e affilate forse non si ricorderanno più neanche il proprio nome. Che forse un giorno la vita diventerà molto triste, che i loro figli dovranno prendere delle decisioni molto difficili e dolorose ed avranno bisogno di essere aiutati. E che sarebbe bello trovassero intorno a loro delle istituzioni in grado di farlo. Sì, la mattina quando si guardano allo specchio, dovrebbero davvero pensarci.

domenica 25 settembre 2011

L'amore gratis

Caldo lo è stato, anche parecchio, che in più di un momento sono sbottata e basta con ‘sto caldo che non lo reggo più. Lo so, sono un po’ nordica io, probabilmente la cicogna quel lontano giorno del sessantacinque deve aver sbagliato rotta, distratta dalla forma bizzarra di una nuvola o dalle chiacchiere di un airone di passaggio, e mi ha depositata qui, sulle rive dell’Arno, per errore, mentre forse ero destinata alle rive della Senna o del Reno. Fatto sta che il caldo lo sopporto proprio poco, e con l’invecchiare sempre meno. Quando poi come quest’anno si arriva a sforare l’equinozio di autunno con i trenta ancora belli tondi e l’afa appiccicosa di questa città d’arte e di zanzare, ecco, io proprio non lo tollero più. Ho voglia di rannicchiarmi sotto un pile, di una bella tazza di tè bollente, di indossare il lungo cardigan grigio pieno di bottoncini acquistato già da un paio di settimane e che ancora giace intonso con il cartellino. Gli infradito e le canotte non li posso proprio più vedere. E in questo ultimo fine settimana di settembre, insieme al caldo, tutta una serie di impegni enologici che hanno coinvolto non solo il galletto sommelier ma anche la sottoscritta, non ultimo quello ancora in pieno svolgimento negli storici palazzi fiorentini. Caldo e vino non vanno molto d’accordo in realtà, e mi immagino già i turisti rossi e accaldati con i bicchieri attaccati al collo, caracollare disfatti da un punto di degustazione all’altro, ma per fortuna ieri sera al calare delle tenebre in piena campagna ci voleva quasi il golfino e mentre roteavo nel bicchiere un favoloso Muscat de Beaumes de Venise che si accompagnava divinamente alla schiacciata con l’uva che stavo mangiando, ho chiuso gli occhi ed ho pensato ad un altro evento che stava avendo luogo in quello stesso momento a diverse centinaia di chilometri di distanza ed al quale stavo partecipando già da diversi giorni con i semplici battiti del mio cuore. Ho pensato che fosse sicuramente bellissimo, come bellissimo era ciò mi circondava, il chiostro antico, i vassoi, i calici che tintinnavano ovunque, e lo stesso spirito che anima chi vuol fare del bene a chi ha bisogno senza chiedere nulla in cambio, come le mie amiche del cuore fanno sferruzzando microscarpine per bimbi piccini picciò e come i vini che venivano versati in quel momento sarebbero serviti ad insegnare a leggere e scrivere ad altri bambini che vivono in una terra sfortunata. Donare amore gratis, che cosa fantastica. Anche col caldo.

mercoledì 14 settembre 2011

Allordunque

Serena è decisamente un parolone. Diciamo che improvvisamente mi sento più calma, liscia, come se qualcuno mi avesse stirato tutte le pieghe e le grinze, dato una spruzzata di appretto e ripiegata con cura. Oh, niente paura, non sto parlando delle rughe, quelle ci sono ancora tutte, non potrei mai sbarazzarmene. Non sono il tipo che condivide la propria vita con qualcuno per quarantasei anni, addormentandosi insieme la sera e svegliandosi accarezzandosi il volto al mattino e poi gli da il benservito così, dall’oggi al domani. Quelle che mi sembrano scomparse sono le stropicciature interne, quelle che partono dal cuore per arrivare alla gola e che a volte son così aggrovigliate che mi è difficile perfino respirare. Senz’altro è solo un’illusione, sicuramente domattina le ritroverò tutte lì, implacabili e sarcastiche, marameo, ci sei cascata!, ma per adesso annuso questo momento di quiete interiore e quasi non ci credo. Forse basta davvero poco. Forse basta solo volerlo, ed oggi, sì, lo voglio davvero. La scuola è iniziata, è incredibile come improvvisamente al posto di una pulcina ci si ritrova una gallinella junior che si guarda allo specchio prima di uscire, si sorride, agguanta zaino e cellulare e ciao mamma, io vado. Ma se era solo ieri che le giornate erano scandite dall’accompagnare e dal riprendere, dai grembiulini blu da lavare anche troppo spesso e dai lavoretti appiccicosi fatti al doposcuola. Mi sono voltata un attimo, giuro, un attimo soltanto, e mi ritrovo a scrivere seconda media sul libretto delle giustificazioni. Allordunque, è così che deve andare, ed oggi è come se riuscissi improvvisamente a leggerlo nel cielo, scritto col fumo bianco di un aeroplanino ed al posto di quello sciocco filo d’ansia, oggi mi sento solo liscia e stesa come la tovaglia della domenica. Spero solo nella clemenza dei commensali.

lunedì 5 settembre 2011

Che ficata la ficata

Ogni tanto decido di farmi un regalo, un regalo speciale. Scavalcare lo schermo e andare a dare un'occhiata a chi c'è davvero al di là. Guardare veramente negli occhi qualcuno, riconoscersi prima ancora di dire chi siamo ed abbracciarsi strette, aggiungendo anche un paio di lacrimucce che per quanto mi riguarda in questi casi di gioia profonda non mancano mai. Per la verità questa cosa del passare al di là dello schermo non mi capita spesso, vuoi per timidezza, vuoi per la mia innata riservatezza, ma in certi casi arriva il momento in cui devo farlo davvero. Perché ho incontrato una persona speciale che non deve restare solo un soprannome. E' per questo che è nata la mia partecipazione alla Ficata che si è svolta a casa di questa persona straordinaria pochi giorni fa, per poterla abbracciare e dirle davvero, eccomi, sono io, la tua sister! E così è stato, anzi meglio, perché non ci sono mai le parole per descrivere tutte queste sensazioni che improvvisamente strabordano dal cuore e son talmente tante che non ce la fai neppure a tenerne il conto. Che donna speciale la mia sister Verdesalvia, simpaticissima, piena di energia e di voglia di fare, solare e positiva, organizzatrice di una giornata fantastica nel suo bellissimo nido sulle colline intorno a Firenze, piene di olivi, vigneti ed ovviamente di fichi da depredare a piacimento. E' stato bello vedere come via via che le bloggers arrivavano, chi da sola, chi con i figli e chi con i mariti, tutte rigorosamente a piene mani tra bagagli, vettovaglie e cadeaux di ogni genere, il clima diventava sempre più festoso e disinvolto, i bambini facevano subito amicizia mettendosi a giocare, i mariti dopo essersi studiati un po' iniziavano a chiacchierare e le bloggers a conoscersi meglio. Le creative dissertavano di ricamo, cucito, maglia e lavoretti di ogni genere mentre le non creative come la sottoscritta ascoltavano rapite guardando i capolavori ad occhi sgranati non capacitandosi di tanta bravura. Ho finalmente conosciuto ed abbracciato la mitica Emme, innamorandomi delle sue creazioni e soprattutto della sua dolcissima anima, ho ricevuto uno splendido scaldacollo fatto dalle bravissime mani di Annalisa, ho visto un delizioso coniglio, un incredibile cappello da cuoca, un cuore imbottito che ha fatto mancare un battito al mio, ciondoli e collane favolose e le splendide posate segnavaso della Cad che viste di persona sono ancora più belle che in fotografia. Abbiamo riso di tette e di pipi(strelli), parlato di dolori da fare uscire dal cuore, banchettato ad un buffet di dolci e salati da fare invidia a qualsiasi catering, prima fra tutti l’eccezionale pappa col pomodoro della padrona di casa, visitato la sua affascinante bottega piena di tesori dove mi sono innamorata di una finestra che regala il panorama più bello di qualsiasi quadro, ma soprattutto ho sentito tanto affetto e tanta, tantissima voglia di fare e di dare. E' stato bellissimo e per questo ti ringrazio tanto sorellina. Ma soprattutto, ti ringrazio di esserci.

lunedì 29 agosto 2011

Rientro e rentrée

Caspita, era davvero dappertutto. Sui cartelloni pubblicitari lungo le strade, negli spot televisivi, nelle vetrine dei negozi, nei reparti appositamente allestiti dei grandi magazzini. Persino l’editoriale di Madame, il magazine femminile di Le Figaro che ho trovato nella nostra camera d’albergo, gli dedicava una pagina intera. Era la crisi internazionale? l’uragano Irene? il pancione di Carlà? No, niente di così soft. Lo spauracchio dei nostri cugini d’oltralpe si chiama rentrée. Nientepopodimenoché il rientro, il ritorno, e non solo quello relativo ai banchi di scuola, ma anche e soprattutto il rientro nei ranghi, al lavoro, alla routine quotidiana dopo le vacanze estive. E giù con tutta una serie di consigli su come affrontare al meglio questo terribile evento, con programmi, sconti, offerte speciali e dritte in quantità. Wow, ho pensato, al confronto il mio lieve filo d’ansia al pensiero di tutte le tesserine del puzzle da rimettere al loro posto da ora alla metà di settembre diventa un gioco da ragazzi. Del resto, se un intero paese ne fa un argomento di importanza nazionale, cosa vuoi che sia se anch’io mi sento un po’ fremere al pensiero? Al massimo mi sentirò un po’ francese, che male certo non fa. Anzi, magari ci sentissimo tutti un po’ francesi, ne guadagneremmo di sicuro, se non altro in termini di pulizia e di senso civico, a partire dalle aree di sosta delle autostrade, così verdi, perfette ed equipaggiate che se ripenso alla nostra merenda nel parco della reggia di Caserta mi viene da piangere. Lo so, lo so, sono polemica, quando torno dall’estero è sempre così, ho il dente avvelenato con questo nostro paese sdrucito e raffazzonato ed inevitabilmente sono io ad essere colpita dalla sindrome del rientro, un altro genere di rientro però. L’occhio mi cade inesorabilmente sulle scritte sui muri, le cartacce in terra, i bagni pubblici vergognosi o inesistenti, i prezzi esosi dei nostri ristoranti e tutto il resto, perché l’elenco potrebbe essere infinito. Vabbè, meglio smettere di far confronti, tra qualche giorno mi sarà passata, lo sguardo purtroppo si sarà riabituato, non si soffermerà più di tanto sulle aiuole incolte e le macchine parcheggiate in terza fila ed io mi farò meno del male.

venerdì 12 agosto 2011

On y va

Eccoci arrivati agli sgoccioli. Di questa estate, che tanto quando si torna e la scuola è alle porte nella mia testa sarà comunque autunno anche se ci fossero quaranta gradi. Di questo anno lavorativo, perché dopo tutto ricomincia, è una specie di capodanno, nuove assegnazioni, nuovi ruoli, nuovi impegni, ricchi premi e cotillon. Di questa settimana fin troppo tranquilla, talmente tranquilla che non ho avuto niente di meglio da fare che farmi venire l'ansia. Dico io, ma ci si può far venire l'ansia in una settimana di calma agostana, con temperature ideali e neanche poi tantissimi panni da stirare? Il galletto mi guarda e scuote la testa, ed io resto lì col groviglio di ferro piazzato sul petto e il rullo di tamburi nelle orecchie quando cerco di addormentarmi. Mah, si potrebbe aprire un corso di laurea su come e quando e perché mi vengono le paturnie, ma forse a ben cercare da qualche parte esiste già. Cerco di rivolgere l'attenzione altrove, all'immediato, al to do che lampeggia rosso nella mia stramba testolina , gli ultimi aggiustamenti all'itinerario che ci aspetta, un paio di prenotazioni on-line, una sessione casalinga di piega-mani-e-piedi, uno sguardo al meteo d’oltralpe, le piante da annaffiare bene e naturalmente i bagagli da fare, cosa che odio ma che mi spetta lo stesso. So già che il bagaglio effettivo sarà come sempre pesante, che ho sempre paura mi manchi qualcosa e regolarmente riporto indietro mezza valigia di roba neanche toccata, ma è quello virtuale che voglio fare leggero, leggerissimo, etereo, praticamente inesistente. Tutte le pesantezze le voglio lasciare qua, chiuse dentro ad un cassetto e prima di partire cercherò di infilarci dentro anche il groviglio di ferro, cogliendolo di sorpresa, quando meno se lo aspetta, distraendolo con una fantomatica ricerca di un pigiama a fiorellini e poi svelta richiuderò il cassetto e nasconderò la chiave, così magari al ritorno avrà fatto amicizia con canottiere e mutande e si sarà dimenticato di me. E se questa tattica non funzionerà sarà il pensiero della Sainte Chapelle, di un giro al Bon Marché, di riabbracciare Pippo dopo tanti anni e di stordirmi con le più nobili delle bollicine a farmi passare le paturnie. Forse anche a farmi fare i bagagli, quelli veri, con un sorriso. No, quello non credo proprio. Al limite un mezzo sorriso và, una lieve increspatura delle labbra, ecco, proprio come quello della Gioconda. Appunto.

venerdì 5 agosto 2011

Ti amo (e ti amerei)

Ti amo e ti amerei comunque
anche se a scuola avessi preso un cinque
anche se scena muta all’interrogazione
o rissa in campo pena l’espulsione.
Ti amo e ti amerei lo stesso
anche se ultima e senza mai un successo
anche se goffa lenta e un po’ impedita
o sciocca e vuota come una cocorita.
Ti amo e ti amerei senz’altro
anche se il cielo non fosse così alto
anche se il sole non brillasse nel tuo sguardo
e non pensassi che tu sei il mio traguardo.
Ti amo e ti amerei per sempre
anche se non fossi buona e intelligente
anche se iena e niente affatto agnello
e sempre pronta e impavida al duello.
Ti amo e ti amerei amore
perché sei tu che illumini il mio cuore
tesoro più prezioso di ogni cosa
mia amata unica figlia favolosa.

lunedì 1 agosto 2011

Il brontolio

Che suono fantastico il brontolio dei tuoni in lontananza, c’è un che di magico e di misterioso insieme, il cielo che da limpido ed azzurro improvvisamente si addensa e si trasforma in una coperta grigia e pesante, di quelle della nonna, quelle che stavano in fondo all’armadio e profumavano di antico. Esco in giardino per togliere dallo stendino quella lavatrice di scarpe che ho fatto ieri sera al ritorno dal campo scout della pulcina, primi fra tutti i suoi scarponi inzaccherati di fango e poi le sneakers ugualmente bisognose di un buon lavaggio, comprese le mie, ed in attesa che arrivino i primi goccioloni resto lì a guardare il cielo, a bearmi del suo colore plumbeo e dei cupi brontolii che si fanno sempre più vicini. Una specie di ninna nanna, potrei addormentarmi lì, seduta sullo scalino del gazebo con la mia bracciata di scarpe in grembo. Mi piace quando l’estate è un po’ diversa come questa, inconsueta, imprevedibile, mi chiedo chissà cos’altro abbia in serbo per me che per un altro paio di settimane sarò ancora qui a sentirmi regina di questa città che si è svuotata all’improvviso. C’è chi dice che ormai il caldo con la maiuscola non tornerà e chi invece ha addirittura annunciato l’arrivo della bolla africana. Vattelapesca. Sia quel che sia, due settimane passano in fretta, dopodiché che importa, noi siamo di quelli che girano le città anche con l’ombrello aperto. E il brontolio dei tuoni è una stupenda colonna sonora.

martedì 26 luglio 2011

In questi giorni

In questi giorni di pensieri che volano, che si rincorrono in cielo come queste nuvole che un attimo c’è il sole e subito dopo non c’è più e il vento a momenti è fin troppo fresco e vien da chiedersi se qualche buontempone non abbia rimescolato il calendario durante la notte e magari è già la fine di settembre e non me ne ero accorta. In questi giorni di cinema 3D, nemmeno fosse novembre, che la regola dice che al cinema al chiuso si va d’inverno mica d’estate, ma il bello è proprio questo filo di trasgressione nel sedersi in platea alla fine di luglio con l’aria condizionata e farsi trasportare nel mondo magico di Harry Potter, per poi uscire nella notte e ricordarsi dei film a luglio quando ero bambina, quelli nei cinema all’aperto, con i nomi romantici come il Primavera o il Chiar di Luna, e in un lampo rivedere quel vestitino a fiori e il ghiacciolo all’amarena che sceglievo perché mi piaceva ma anche per farmi venire le labbra più rosse di quelle delle attrici. In questi giorni di pulcina accompagnata di buon’ora a prendere il treno in uniforme perfetta e zaino da scoliosi, così euforica e felice in vista della sua settimana di campo scout che non è stato possibile resistere al contagio ed anche adesso che la casa è stranamente silenziosa non posso non ripensare al suo sguardo luccicante di allegria mentre mi diceva di smetterla con le raccomandazioni, e sorridere. In questi giorni di lunghissime notti insonni e stupidissima ansia a metà strada tra il petto e la gola, fatta di pensieri così sciocchi da guardarsi allo specchio al mattino e dirsi ma quanto sei scema, che però nel buio sembrano giganti insormontabili ed io minuscola formica. In questi giorni di ristorante tutte le sere, per tornare un po’ fidanzati, per rivedersi con gli amici e sperimentare insieme questi localini nuovi che al posto della fiorentina ti propinano l’hamburger di chianina che va tanto di moda o che ribattezzano il menu e il solito cinese diventa un asian fusion wok, vuoi mettere quanto sia più figo anche il solo dirlo, e chissà se alla fine rimpiangeremo la solita banalissima pizza. In questi giorni di estate cittadina che ho deciso di rallegrare con una fantastica jelly kelly fluorescente che mi si vede arrivare da lontano, perché l’umore ogni tanto va decisamente aiutato, anche con quel pizzico di sana stupidissima follia, che mi vedo riflessa nelle vetrine con la mia borsa che più verde speranza non si può, e rido.

lunedì 18 luglio 2011

Nel frattempo

Sì lo so, probabilmente non importa neppure che lo dica, direi che sia abbastanza evidente. Ultimamente sto un po’ disertando questo mio spazio speciale. Non so, è come se avessi premuto il tasto della pausa e mi trovassi in una specie di fermo immagine, di stand-by, e stessi lì ad aspettare. Aspettare cosa non so. Uno stimolo, uno slancio, una risata perduta, la semplice naturalezza di ogni giorno che rincorro e che non trovo. Sto lì a guardarmi, ad osservarmi, a monitorare le mie reazioni, i miei pensieri, le emozioni che mi scorrono sul viso. Devo capirmi meglio, aiutarmi e soprattutto, piacermi. Amarmi. Non è facile ma mi impegno al massimo per riuscirci. E così i pensieri mi scappano via, volano alti, troppo lontani per soffermarsi su questa tastiera, ed ogni giorno li guardo svanire e mi dico, domani. Un palloncino sgonfio, è così che mi sento, in attesa di essere rigonfiata ben bene ed appesa ad un filo, legata al polso di un bambino o appesa al lampadario per rallegrare una festa di compleanno. Nel frattempo, la notte è finalmente fresca, ho voglia del mio libro e di abbracciare mia figlia.

giovedì 7 luglio 2011

Il mio amico nemico

E’ arrivato anche luglio. Con il caldo, il cielo bianco di afa che non sai se sperare nel sole o nella pioggia, il cupo brontolio dei tuoni in lontananza e le notti tiepide che la sola idea di rincasare ti sembra un peccato mortale. Con un funerale che ha colto tutti di sorpresa, che mi ha lasciata triste, spaesata e commossa, a riflettere su come una persona lucida, perfetta ed invincibile debba improvvisamente andarsene così, e anche se gli anni erano tanti si resta comunque male, indifesi davanti all’inevitabile; ed allo stesso tempo mi accorgo che anche un momento buio in realtà nasconde una luce, che illumina il senso dei miei giorni e me li fa apparire più preziosi che mai. Luglio è arrivato con una cena di quelle scritte con la maiuscola, che inizi a cucinare alle sette di mattina e smetti solo pochi minuti prima che arrivino gli ospiti e con una quantità incredibile di calici da lavare, sia prima che dopo, che mi vien voglia di giurare che la prossima volta, cari signori miei, i Borgogna e gli Alsazia ve li berrete nei bicchieri di carta, ma che, nonostante lo sfinimento, mi lascia piena di soddisfazione. Ha portato uno splendido bouquet di cardi e girasoli, che chi mai penserebbe ai cardi per un bouquet, e invece che sorpresa, ma come sono belli, ci stanno d’incanto e poi durano un’eternità. E’ iniziato con uno stage di danza che la pulcina ha ultimato con successo, con quelle parole arrivate improvvisamente e che non ero ben sicura di voler sentire, perché se da un lato fa piacere sentirsi dire che c’è stoffa e che bisognerebbe pensare a dei cambiamenti importanti, dall’altro fa senz’altro un po’ paura. Luglio dei compiti per le vacanze, della lista dei libri da ordinare per il prossimo anno scolastico che non farò in tempo a chiudere gli occhi e sarà già settembre, di un apparecchio che brilla fiammante nella bocca della pulcina, dei saldi che sono già cominciati e che ancora non ho trovato il tempo, ma forse anche la voglia, di tuffarmici dentro. Sì, eccolo qua il mio amico nemico, questo mese che amo e che odio, che sa un po’ di vacanza anche andando al lavoro, che mi tramortisce togliendomi ogni briciola di energia ma che porta sempre con se i due giorni più belli della mia vita.

lunedì 27 giugno 2011

Il profumo dei limoni

Il ritorno a casa da una vacanza è sempre un po’ mesto e malinconico, mica è facile rituffarsi nei frenetici ritmi cittadini scanditi da ore minuti e secondi dopo aver trascorso una manciata di giorni bellissimi e lenti senza mai guardare l’orologio. Come un soldato che rientra nei ranghi dopo la libera uscita, il pensiero ritorna a quei giorni di libertà per riassaporarli ancora, uno per uno. Sono tutti lì, nel bagaglio aggiuntivo, quello che apro per primo, prima ancora della busta della biancheria da buttare in lavatrice. E’ la valigia vuota che ci siamo portati dietro per riempirla man mano, non di esiti da selvaggio shopping vacanziero, ma bensì di ricordi e di luoghi, da incartare accuratamente e portare a casa con noi, per chiudere gli occhi ed esserci ancora, là dove il mare luccica e tira forte il vento, dove il sole brilla sugli agrumeti stracarichi di limoni e dove la pizza è davvero qualcosa di speciale. La penisola sorrentina mi ha stregata, i suoi profumi, i colori, i contrasti incredibili, e i ricordi si susseguono come cartoline, una più bella dell’altra. Il mare soffuso di foschia, i raggi che rimbalzano sul bianco ed il profilo aspro di Capri che si staglia come un miraggio. La marmellata di arance al mattino da spalmare sul pane ancora caldo mentre lo sguardo vaga sul golfo e sui capelli biondi di mia figlia che addenta la sua brioche al cioccolato. Le viti centenarie abbarbicate in cima alla montagna, pronte a regalare un’altra ottima annata di Furore bianco mentre le nuvole bianche corrono veloci sotto di noi che sembriamo sospesi a mezz’aria. Il mare incredibilmente turchese e cristallino di Capri, la folla in piazzetta, i tavolini dei caffè, i giapponesi che fotografano tutto ed un profumo incredibile che porta il nome della via più famosa, che ho amato nel momento stesso in cui l’ho provato sul mio polso e che non ho potuto non portare con me per farmi rivivere ogni giorno l’aria di quest’isola meravigliosa. Le casine perfette e colorate di Positano, il bianco accecante dell’intonaco ed il viola acceso delle mille cascate di buganvillea che portano verso il mare, una ragazza appena giunta dall’altra parte dell’oceano con un maxi trolley ed un vestito da sposa e la lunga scalinata del Duomo di Amalfi liscia e lisa da secoli di piedi, di vite e di sogni. L’ombra e la pace della piccola Ravello, arroccata sulla scogliera come un nido di gabbiano, i vicoli, i fiori e gli scorci mozzafiato. La brezza serale che entrava dalla finestra nella nostra camera in cima alla collina, i galli instancabili che cantavano per tutto il giorno e a volte anche di notte, la statua della Madonna in processione e i botti che l’accompagnavano. La magia dei templi di Paestum e la maestosità un po’ dimenticata della reggia di Caserta, la mozzarella di bufala mangiata a morsi sul marciapiede ridendo e sgocciolando e le granite al limone più buone del mondo fatte col ghiaccio tritato a mano nelle bancarelle improvvisate lungo le curve della strada costiera. Lo sguardo che si posa sulla perfezione degli alberghi a cinque stelle e sugli yachts che sembrano navi da crociera mentre il pensiero corre a quelle tonnellate di rifiuti che solo a poche decine di chilometri stanno sfigurando le strade di una città fin troppe volte ferita, e la tanta amarezza che ne scaturisce. I parcheggi impossibili, gli spaghetti con le vongole serviti su un piatto azzurro come il mare, le barche colorate dei pescatori e il chiasso dei ragazzini che si tuffano dagli scogli. Riapro gli occhi, guardo quei fantastici limoni che ho portato con me, annuso il loro profumo ed eccomi lì, sono ancora in costiera.

mercoledì 15 giugno 2011

Luna rosa

Che luna stasera, una guancia appena incipriata nel cielo d’inchiostro. Un’eclissi che non era un’eclissi, non come te la immagineresti, insomma, la luna c’era, ma era come se avesse lasciato solo la sua ombra, delicata, una vestaglia rosa caduta ai piedi del letto a ricordarti colei che fino a poco prima era lì. Quasi timida, riservata, lo sguardo velato, così diverso dal solito bianco luminoso e spavaldo. Sembrava malinconica, un po’ come me, che mi sono seduta al buio nel prato, circondata dagli olivi e dagli schiamazzi lontani dei lupetti che festeggiavano l’ultima sera di branco. Guardavo il suo pallore rosato e mi sembrava di vedere me stessa, un po’ chiusa , come sono in questi giorni, un po’ arrovesciata, troppo sensibile ed a tratti tesa come una corda di violino. Lei, albicocca stesa su un drappo di velluto, ed io, sognatrice in un prato di seta. L’ho trovata bellissima, fragile, impalpabile. Amica. E mentre i grilli cantavano, ho sentito l’ansia lentamente svanire, dissolversi, volare via piano, mescolarsi al pulviscolo rosato di questa romantica notte di eclisse e, finalmente, ho respirato.

venerdì 10 giugno 2011

Io voto

Io voto. Sempre. Anche quando mi fanno fumare nero e li manderei tutti quanti a pescare all’Ardenza con la lenza che, non se ne abbiano a male i pescatori livornesi, in senso meno fiorentino equivale al mandarli a Caracas. Anche quando mi vergogno davvero di essere italiana e vorrei trasferirmi in Lapponia seduta stante. Anche quando avrei voglia di aprire le schede e disegnargli sopra un bel Walter o il suddetto biglietto di sola andata per il Venezuela. Anche quando le elezioni cadono nella domenica più bella dell’anno, quella che se non vai in gita al mare ti senti la sfigata numero uno che il lunedì in ufficio verrà guardata con aria di compatimento dai colleghi che sfoggeranno abbronzature da primato. No, io voto sempre. E poi va anche sempre a finire che il Walter non glielo disegno mai e non gli mando neppure mai l’invito per il sudamerica. Mi limito ad aprire, spiegare, tracciare la mia bella x, a volte accompagnandola ad un nome, ripiegare e consegnare. Perché esigo la mia parte di responsabilità, anche quella di maledirmi in seguito nel caso mi accorgessi di aver riposto male la mia fiducia, ma voglio davvero sentirmi parte di una decisione, che riguarda me stessa, la mia vita, la vita della mia famiglia e del mondo che ci circonda. Sono fiera del diritto che mi è stato donato, un diritto prezioso che per arrivare fin qui ha visto uomini e donne che come me e come noi hanno lottato intensamente, anche a costo della loro vita, per regalarci quella bellissima cosa chiamata democrazia. Che altro non è che la libertà di tracciare una x dove si preferisce o di scriverci una poesia o farci un disegnino Picasso style. Va bene tutto, ma l’essenziale è farlo. E’ in onore di quelle persone che mi hanno preceduta e che ci hanno creduto che anche io ci credo e vado a votare. Affinché un regalo così prezioso non venga sprecato. Mai.

lunedì 6 giugno 2011

Acqua e pensieri

Che bello l’uragano di ieri pomeriggio. Oh sì, proprio uragano, ché chiamarlo temporale sarebbe assurdamente riduttivo ed anche nubifragio parrebbe una bazzecola al confronto di ciò che si è scatenato sulla città, del cielo plumbeo e spesso come una cortina di ferro che si è letteralmente spalancato, scaricando giù incredibili cascate di acqua che avrebbero potuto gareggiare con quelle del Niagara, rischiando pure di vincere, e che in pochi minuti hanno trasformato il mio giardino in una fetida piscina, mandando in frantumi vetri di finestre lasciate aperte e spezzando rami dagli alberi come fuscelli, mentre in cielo rimbombavano tuoni assordanti ed i lampi illuminavano il tutto come paparazzi impazziti. Incredibilmente bello. Io che stavo lì in piedi alla finestra, affascinata dalla forza della natura, ipnotizzata, mentre il galletto correva ai ripari mettendo asciugamani alla portafinestra che lasciava già entrare un filo d’acqua e poi andava a farsi una doccia in giardino per aprire i tombini che in ogni caso non riuscivano a ricevere più. Assurdamente bello. Lui che imprecava, gesticolava e mi dava della pazza, ed io che con tutta la flemma del mondo spostavo alcuni mobili in previsione dell’alluvione, che stava davvero per arrivare, continuando a guardare lo show con occhi innamorati, con l’unico rimpianto di non potermi accoccolare in poltrona per rilassarmi ancora di più. Una vera incosciente, lo riconosco, ma il temporale esercita davvero una forza magnetica su di me, donandomi un incredibile senso di calma e di pace che mi fa dimenticare di tutto il resto. C’è già lui che si scatena nel cielo, che bisogno ho io di fare altrettanto? Posso solo restare a guardare l’acqua che scorre come forsennata, lavando via tutto. Ed è come se avesse lavato anche me, fatto scappare i miei pensieri, le mie idee, che fino a ieri eran tutti lì belli ordinati in fila indiana e adesso me li ritrovo sparsi, bagnati, volati via come il bucato steso male, uno incastrato nella rete del vicino, uno tra le ortensie fradice e stese a terra che non torneranno su nemmeno col paranco, uno salito su come un palloncino e rimasto impigliato nei rami più alti dell’albicocco. Li raccoglierò con calma, uno ad uno, e li metterò ad asciugare appesi al filo come le fotografie che una vita fa sviluppavo nella camera oscura e toglievo gocciolanti dalla bacinella dove per magia un’immagine aveva preso vita su di un foglio bianco. Ed anche i miei pensieri lentamente torneranno a colorarsi. In attesa del prossimo temporale che pare sia in arrivo proprio per domani. Che bello.

lunedì 30 maggio 2011

Sempre

Sempre, sempre, sempre. Voglio esserci sempre per te. Per guardarti mentre dormi. Per arrabbiarmi quando mi sfidi con gli occhi di brace. Per abbracciarti stretta come a volerti far tornare nella mia pancia ed annusare quel profumo unico che hanno i tuoi capelli al mattino. Sempre. Per ridere con te fino a lacrimare. Per piangere con te fino a singhiozzare. Per aiutarti oggi ad abbottonare la camicia del branco e domani i mille bottoncini di un vestito da sposa. Sempre. Per guardarti in quegli occhi acquamarina così simili a miei e vederci un pezzo di me, un pezzo di tuo padre ed anche un pezzo che non è lui e non sono io ma sei solo tu, unica e speciale. Per rispondere alle tue domande e ai tuoi perché, anche quelli più scottanti che ultimamente stanno arrivando a raffica. Per risentirti i verbi in francese. Per sentirmi dire che non mi sopporti più e per sentirmi gridare basta. Sempre. Per vederti crescere ogni giorno di più, e capire che se anche mi fa un po’ male vederti allontanare piano piano ed iniziare timidamente a fare i primi voli, è giusto che sia così e sempre io ci sarò. Per te. Per una parola, per un aiuto, per un sorriso, per tutto quello che una madre può dare ad una figlia. Per me. Sempre. Io ci sarò sempre.

giovedì 26 maggio 2011

Che zeppa sia

Zeppa fa rima con estate, c’è poco da fare. E se io d’inverno non indosserei stivali zeppati neanche se mi pagassero, con l’arrivo del caldo mi riscopro innamorata delle zeppe che sì, è vero, hanno pure un che da tangenziale, ma sono troppo simpatiche e frivole per non amarle. E poi io al massimo ci abbino un paio di capri, mica gli shorts di latex. Insomma, credo che coadiuvate dagli accessori giusti, anche le zeppe possono essere chic. Ne sono convinta. Il fatto che non portando praticamente mai i tacchi io non ci sappia assolutamente camminare e che in cima a questi undici centimetri e mezzo di zeppa e plateau io mi senta in bilico come se fossi sul cornicione più alto dell’Empire State, è un altro discorso. Le guardo e le adoro. Laccetti color khaki ed un grande fiore sbocciato sul collo del piede, son già lì a valutare il colore giusto per lo smalto, indecisa tra un tortora e un grigio chiaro, magari illuminato da una passata di glitter. Lo so, rischio di andar giù sdraiata sul marciapiede e di giocarmi una caviglia. Ma visto che ultimamente cadono anche le indossatrici durante le sfilate forse non sarà quel gran dramma, e se mi rialzerò zoppa e dolorante, avrò il sorriso sulle labbra. Giuro.

mercoledì 25 maggio 2011

Di luce e batticuore

Fuori è già buio, abbiamo finito di cenare tardi stasera. Attraverso la zanzariera mi arriva il silenzio della notte appena iniziata. Esco in giardino per scuotere le briciole dalla tovaglia e lasciarle in dono ai passerotti che domattina banchetteranno allegri quando noi ancora staremo dormendo. Non accendo la luce esterna, ormai i due passi da percorrere li conosco a memoria, e poi dalle altre persiane esce comunque il riverbero della televisione accesa. Vengo avvolta dal buio e dal profumo inebriante del gelsomino che con questo caldo è già completamente fiorito e resto lì, ferma, la tovaglia buttata su una spalla come un mantello, ad annusare l’estate che sembra davvero già arrivata. Poi, improvvisamente, mi accorgo di loro. Omioddio, ma sono tantissime. Ma cos’è, un esercito, un raduno, un assembramento, un corteo non autorizzato? Magari a guardare attentamente si distinguono cartelli e megafoni. Ma no, che sciocca, loro sono lì a fare vasche su vasche, come la domenica pomeriggio lungo il corso, per vedere e farsi vedere, col vestito buono, quello dello struscio per le vie del centro. Beh, di sicuro l’abito è proprio quello da gran gala, che nemmeno al red carpet più trendy del pianeta si è mai vista una mise più fashion di questa. Un abito da sera fatto interamente di luce, luce purissima e magica, che per brevi istanti illumina le foglie, i fiori e il muro del mio giardino di una poesia incredibile, istanti scanditi dal battito di tanti piccolissimi cuori. Resto lì ipnotizzata a guardarle, ne seguo i movimenti, le studio, rapita dalla loro magia. La pulcina mi raggiunge e ci godiamo insieme lo spettacolo, abbracciate, mute e affascinate, fino a che una di loro si infila dentro un fiore di rododendro trasformandolo in una lampadina fucsia intermittente, facendoci scoppiare a ridere. Rientriamo e ci prepariamo per andare a dormire, ma la notte sembra improvvisamente più dolce, più amica. La magia delle lucciole è ancora dentro di noi.

venerdì 20 maggio 2011

La cena delle ciane

Invece che due volte all’anno dovremmo trovare il modo di incontraci due volte al mese, risparmiando un po’, chi sulla palestra, chi sullo shopping e chi sul parrucchiere, ma sicuramente ne varrebbe la pena. Un vero e proprio investimento in buonumore, che di questi tempi vale mille volte di più di qualsiasi azione o titolo di stato. E’ stata una serata così bella, sei amiche sedute intorno al tavolo del ristorante, chi sportiva e chi assolutamente in tiro, la voglia di chiacchiere e di risate che traspariva degli sguardi e dai sorrisi come un’insegna al neon e poi brindare a noi, alle nostre vite ed al momento, e poco importa se in qualche calice c’era solo l’acqua minerale. Le parole volteggiano tra noi come farfalle, si parla del serio e del faceto, delle banalità e delle vacanze, dei figli e delle suocere, della cipolla di Tropea che ci lascerà un respiro da oltretomba e di quel tamarro travestito da dandy che da un paio di tavoli più in là non fa che occhieggiare la più giovane del gruppo che ovviamente non manchiamo di massacrare a dovere. Il cameriere ci guarda tra il divertito e il preoccupato, conosce bene il tipo di clienti che rappresentiamo, e sa già che saremo le ultime a liberargli il tavolo stasera, abbiamo troppe cose di cui parlare, si dovrà accontentare di sistemare tutti i tavoli intorno e lasciarci lì a parlottare anche quando il locale sarà pressoché vuoto, le candele si saranno consumate e lui avrà una gran mal di piedi e tanta voglia di andare a dormire. Oh sì, una sana serata di ciane, che meraviglia. Per ridere fino a rischiare la paresi facciale o ritrovarsi gli occhi improvvisamente inumiditi. Per capire e per capirsi. Per guardarsi negli occhi ed avere lo stesso pensiero, per tornare a casa a notte fonda inciampando nel buio e pensare che sì, un paio di volte all’anno sono davvero troppo poche.

martedì 17 maggio 2011

Lo scambio

Per la verità è cominciato in sordina, non ci avevo fatto neppure caso. Mamma, prendo il tuo burro cacao. Poi si è andato lentamente allargando, ma sempre in modo molto saltuario. Come mi sta il tuo gloss? oppure mi sono legata i capelli con il tuo elastico nero. Ma fin lì mi pareva tutto nella norma, comportamenti dettati dalla praticità del momento o da un pizzico di vanità. Poi siamo arrivati al perché non facciamo che io posso usare qualche volta la tua sciarpina e tu la mia? e lì ho cominciato a capire ed a realizzare che stiamo entrando, anzi siamo già entrate nella vera e propria fase dello scambio. Da figlia unica qual sono, sono cresciuta ascoltando le amiche che parlavano di sorelle con le quali scambiavano abiti, scarpe e accessori di ogni genere, avvertendo una sensazione in bilico tra l'invidia e il timore. Se per un verso mi sarebbe piaciuto poter fare altrettanto, per l’altro avrei avuto anche un po’ paura degli effetti di questa condivisione, visto che ogni tanto mi giungevano alle orecchie lamentele su vestiti sciupati, scarpe graffiate od orecchini perduti da questa o quella sorella maldestra o distratta. Quella che sto iniziando a vivere adesso è quindi una sensazione tutta nuova ma mi accorgo che mi piace parecchio. Immagino ci sia molto tempo ancora per condividere scarpe e vestiti, se mai ci arriveremo, viste le dimensioni piuttosto contenute della pulcina che non credo arriverà mai a calzare un trentanove-quaranta e che con molta probabilità si fermerà una diecina di centimetri sotto di me, ma il pensare che la sciarpina a pois rosa che indossavo ieri, oggi ha seguito mia figlia sui banchi di scuola mi fa stare bene. E’ un pezzettino di lei che resta con me ed un pezzettino di me che va avanti con lei. Lei indubbiamente si sente un po’ più grande con il mio elastico alla coda di cavallo o il mio gloss leggermente brillantinoso sulle labbra, ed io mi sento tornare fanciulla con la sua sciarpa color caramella o con i suoi braccialettini di cristalli colorati comprati dai cinesi. Immagino che il prossimo sarà il mio smalto nuovo grigio chiarissimo e sto già valutando di rilanciare con la sua collanina lunga, quella con una mini Alice e una maxi teiera. Interessante davvero questa tecnica, mi piace assai. Mai troppo tardi per imparare qualcosa.

mercoledì 11 maggio 2011

Il giorno perfetto

Anche se il giorno perfetto in realtà non credo esista, questo avrebbe tutte le carte in regola per diventarlo. La luce che entra prepotente dalle finestre spalancate, insieme al cinguettio degli uccellini e ai suoni ovattati della città che si sentono in lontananza. L’aria fresca, appena pungente ma già pronta a scaldarsi appena i raggi arriveranno più dritti. La prospettiva di una mattina intera davanti a me, senza le scartoffie della scrivania ma solo un foglio bianco da riempire a piacimento, in ordine sparso e con qualche ghirigoro astratto, come quelli che si fanno mentre si parla al telefono, fiorellini, cuoricini, stelline e quei buffi lampi di luce che disegno da sempre e che mi porto dietro in eredità dalle migliaia di Topolino letti da bambina. Le cose da fare sono una tonnellata, non è che ci si ritaglia un giorno libero così per non far nulla e star lì a pettinare le bambole, ma si decideranno le priorità a seconda del momento e dell’umore, e se tra la sistemata all’armadio delle scarpe, il bucato da stendere, la telefonata ai carabinieri, che sì oggi c’è pure quella da fare e per motivi molto poco romanzeschi, e la valutazione delle strutture alberghiere che mi stanno rispondendo dalle Alpi alle piramidi o giù di lì, avrò voglia di ipnotizzarmi un po’ davanti ai bocci dell’orchidea che si stanno allungando a vista d’occhio, lo farò. E poi chi l’ha detto che il giorno perfetto non esiste, forse è solo questione di come lo si guarda.

giovedì 5 maggio 2011

Ma è maggio

Mi chiedo se serva davvero correre così. Ogni giorno, dalla mattina alla sera, una corsa continua, sempre e comunque. Quasi non mi accorgo del passare dei giorni, in ufficio non riesco neppure più a guardare il sito delle previsioni del tempo e a volte è addirittura difficile riuscire ad alzarmi per andare in bagno, per poi correre quando ovviamente sto per farmela addosso. E meno male che è un lavoro che mi piace e dal quale riesco ancora fortunatamente a liberarmi per qualche pomeriggio alla settimana. Ma anche quando non sono alla scrivania continuo a correre, a fare tabelle di marcia, programmi e scalette talmente fitti che poi è ovvio lasciar fuori di tutto. Lo so, è il periodo, a maggio è tutto un susseguirsi di impegni di ogni tipo, colore e tonalità, tutti importantissimi e tutti irrinunciabili. Ci sono gli spettacoli della pulcina, che quest’anno tra impegni scolastici ed extrascolastici spaziano dalla danza, al teatro e perfino al musical, ed ovviamente in date e tempi diversi ma difficilmente incastrabili tra loro. Ci sono i compleanni a cui partecipare e quelli da organizzare, regali da comprare, inviti da stampare, magliette da dipingere. Ci sono i colloqui con i professori, dozzine di verifiche a raffica, flauto da ascoltare, epica da risentire e inglese da memorizzare. Ci sono i pranzi e le cene di fine anno di tutto e di tutti, che adesso è la moda e chiunque si sia visto perlomeno due o tre volte nell’arco di un inverno deve fare una festa di fine anno pena il disonore, e così si scatenano i gruppi, il barbeque del catechismo, la cena delle ex-mamme delle elementari e l’apericena delle mamme delle medie, che ovviamente mica sono le stesse sennò sarebbe troppo facile, il picnic degli scout, la pizza con il gruppo di danza, la cena con gli amici, che sono spalmati tra ex-elementari, medie e outsiders, e perfino un dopocena dei sommelier. Ma è maggio, bisogna portare pazienza. Poi allo scoccare della fine della scuola, dopo gli ultimi saggi, i baci e i saluti, tutti come al solito spariranno in uno sbuffo di fumo come cancellati da una bacchetta magica e chi li risentirà più fino a settembre. Ma perché proprio ora, tutto questo correre, questo frullare a destra e a manca. Non avere il tempo per alzare lo sguardo e soffermarmi a guardare ciò che mi circonda nel mese più bello dell’anno è un delitto, un’eresia. Proprio adesso che il pulviscolo vola nei raggi del sole brillante come non mai, che il caprifoglio è una cascata infuocata, che le azalee indossano dei rosa e dei viola così accesi da sembrare uscite da un cartone animato, che l’aria è così dolce, tiepida e leggera sul volto e sul cuore. Ma è maggio, perdiana, è maggio.

giovedì 28 aprile 2011

La piccola de Coubertin

Recentemente la pulcina ha partecipato alla prima audizione della sua vita, insieme ad un centinaio di altre mini ballerine tra gli otto e i dodici anni. All’inizio ero un po’ scettica all’idea, mi sembrava un po’ presto per mettersi in gioco, ma poi ho pensato che sarebbe stata comunque una bella esperienza che avrebbe lasciato dei bei ricordi, anche nel caso non ci fosse stato alcun seguito. E poi si trattava della compagnia di danza più importante della città, ed il solo varcare la soglia di quel teatro, salire le scale che portavano alle sale prove, ai camerini che hanno ospitato stelle della musica, dell’opera e della danza è stata davvero un’intensa emozione. Per me che l’accompagnavo ma soprattutto per lei, che si guardava intorno incredula. L’ingresso nella sala prove, la sbarra, il banco della commissione, la musica, pochi passi da imparare all’istante e da replicare immediatamente. Praticamente una specie di edizione di Amici in miniatura. In realtà molto poca la danza richiesta e molta invece l’espressività che doveva saltar fuori, del resto si trattava di Pinocchio. Ed a quel punto l’emotività ha fatto il resto. Troppo difficile per una pulcina che ha ereditato da questa gallina tutta l’emotività del mondo riuscire a gestire l'ansia del momento e creare qualche smorfia sul viso che non fosse da statua di sale. Così, nonostante i passi fossero stati perfetti, ieri la pulcina ha saputo di non essere tra coloro che hanno passato il turno. Molto onestamente un po’ mi è dispiaciuto perché credo che la partecipazione a questo spettacolo sarebbe stata un’esperienza fantastica e poi, sì, quando ho saputo che è stata scelta una sua compagna di corso non propriamente eccelsa nella danza ma evidentemente dal sorriso più aperto, ci sono rimasta male e, anche se solo un pochino, mi bruciava. Immaginavo la sua delusione e rosicavo. Ma la pulcina mi ha guardata con i suoi occhi limpidi e mi ha detto serenamente che sì, era un po’ dispiaciuta ma che sapeva di non aver fatto bene e che quindi immaginava che molto difficilmente sarebbe stata scelta. Però è stato così bello poter partecipare, mamma, bellissimo. Ed io mi sono sentita meschina ed anche un po’ l’Anna Magnani nel film di Visconti. Mi sono vergognata di me stessa ed ho capito che se è importante insegnare ai nostri figli, lo è ancora di più l’imparare da loro.

domenica 24 aprile 2011

Pasqua sbilenca

Che Pasqua sbilenca, oblunga, sghimbescia
con tre rami storti e senza corteccia
che metto nel vaso come lunghi vessilli
e appendo colori, profumi e gingilli.
Ammiro le uova con lieve pensiero
poi penso poi sogno e sorrido al mio impero
di polvere e panni mi sento regina
e cado in ginocchio nella naftalina.
I giorni eran tanti e ora stanno finendo
una fiamma, un momento, un ricordo stupendo
la sera va via come un lento zampillo
il tempo è finito e si mette il sigillo.
Che Pasqua stranita, grigiastra, umorale
vorrei un bel tuono con il temporale
che spinga lontano le fisime e il nero
e lasci soltanto un futuro leggero.

lunedì 18 aprile 2011

Wonder Woman non esiste

Siamo piccole donne che diventano grandi senza mai smettere di essere bambine, che camminano, vanno avanti ad occhi aperti, spalancati, nel buio della mezzanotte come nella luce accecante del giorno, senza potersi permettere di chiuderli e molto spesso neppure di socchiuderli. Siamo sculture di sabbia davanti all’oceano, fontane ghiacciate nel cuore dell’inverno, granito che si scioglie per un’onda più lunga, cristallo iridescente che inizia a gocciolare al primo raggio di sole. Siamo guerriere di un esercito in lotta perenne, imbracciamo i nostri scudi fatti di risate ed i fucili che sparano carezze o rabbia a seconda del momento e del tipo di guerriglia che ci aspetta. Siamo ragni che tessono la tela incessantemente, Penelopi dal cuore immenso che continuano a camminare nonostante grandine e burrasche, un piede avanti e poi l’altro e l’altro ancora, in salita lungo il sentiero che non finisce mai. Siamo barche nel mare, sballottate dalla vita, dagli uomini, dai pensieri e dai miracoli che ci ingegniamo di fare ad ogni scoccare di ora, restiamo a galla durante gli uragani per poi arrendersi ad una falla che si apre improvvisa durante una bonaccia in quello scafo che ne ha viste di tutti i colori e allora tocchiamo il fondo, per poi risalire in superficie spezzettate ed acciaccate, ma ancora lì. Siamo forti ma tanto fragili, siamo sagge ma tanto stupide, siamo resistenti ma tanto vulnerabili. Piccole donne di ferro e di argilla che si sorridono allo specchio, si perdonano e sanno bene che no, Wonder Woman non esiste.

giovedì 14 aprile 2011

Upside down

Un guanto rovesciato, ecco come mi sento, lasciato con la fodera a vista e tutte le dita stropicciate e ripiegate dentro, dimenticato in fondo alla borsa insieme alle briciole dei crackers e i biglietti dell’autobus usati, fino al cambio di stagione. Un calzino appallottolato gettato in fondo al letto e dato per disperso fino al giorno che non si passa l’aspirapolvere sotto alle reti, anche in quel dannato punto proprio nel mezzo che nemmeno il braccio telescopico dell’Hoover riesce quasi mai a raggiungere e dove la polvere si ammassa e sembra guardarti impunita e prenderti bellamente in giro sghignazzandoti tanto non ci arrivi, non ci arrivi, fino a che un colpo di reni che nemmeno la Simeoni dei tempi d’oro non ti fa raggiungere anche quel luogo ameno e tra i lanicci ritrovi anche il calzino dimenticato. Mi sento appesa a testa in giù come un pipistrello che non sa di esserlo, poveraccio, una moviola all’indietro con tutto l’audio sbagliato e le parole distorte che si riavvolgono su se stesse senza il minimo senso. Mi sento sbagliata, errata, tutta da rifare, da segnare con la matita rossa e scrivere di fianco un bel cinque meno-meno. Insufficiente, inadatta, non conforme. Lo sapevo che la botta stava per arrivare, ed è arrivata. Un pugno dritto nello stomaco e mi son ritrovata stesa, al tappeto, completamente fuori uso. Proprio k.o. E impaurita come non mai. O forse sì, come tanti anni fa, ma erano così tanti che quasi non ricordavo più e credevo veramente di aver dimenticato, di sapere come si fa, di essere vaccinata. Ma qui non ci si vaccina cara mia, qui ci si ricasca mille e cento e ancora mille volte, sai. Imparalo una buona volta, non si scherza col fuoco. Mai dire mai.

giovedì 7 aprile 2011

Terapeutici muffins

Oh sì, oltre che bellini sono venuti proprio buoni. Avevo bisogno di una sessione terapeutica di sbatti-impasta-frulla-spolverizza per cercare di lasciare da parte i pensieri pesanti e scacciare le antipaticissime ansie ed i muffins facevano decisamente al caso. Troppo caldo per quelli al cioccolato, ho deciso di inventarmi questi muffins all’arancia, freschi e perfetti per questa stupenda primavera quasi estiva, che stamani hanno salutato con me l’esplosione di colori del mio giardino e che poi mi hanno seguita in ufficio per svolgere il loro ruolo di spezza fame in questa lunga giornata lavorativa fitta di beghe e scartoffie di ogni tipo, dove qualche dolce intermezzo è stato decisamente un toccasana. I colleghi hanno gradito ed hanno già prenotato il bis.

Muffins integrali all’arancia

Ingredienti:

2 uova

150 gr. farina
00
150 gr. farina integrale

100 gr. zucchero

200 ml. latte intero

100 gr. burro fuso

la buccia grattugiata di un’arancia

un cucchiaio colmo di scorzette di arancia candite

marmellata di arance amare

una bustina di vanillina

una bustina di lievito per dolci

zucchero a velo


Preparazione:

In una terrina a sponde alte frullare le uova con lo zucchero, aggiungere il latte, le farine, la vanillina, il lievito ed il burro fuso. Lavorare bene fino ad ottenere un impasto liscio e cremoso. Aggiungere le scorzette candite e la buccia grattugiata e mescolare bene. Sistemare i pirottini da muffins nella teglia apposita e versare una cucchiata di impasto dentro ad ognuno. Mettere al centro un cucchiaino di marmellata di arance amare e ricoprire con altro impasto fino ad un dito dal bordo del pirottino. Cuocere in forno caldo a 180° per circa 25 minuti. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente e spolverizzare con zucchero a velo.

lunedì 4 aprile 2011

Ma ‘icché c’è

C’è tutto e c’è niente. C’è questa aria primaverile follemente meravigliosa, il giardino rimesso a nuovo dal galletto giardiniere che sembra appena uscito da una rivista, destinato a restare così fino alla prima pioggia o alla nevicata di petali bianchi che cadranno a milioni dal maxi ciliegio del vicino, ma che fa venire tanta voglia di pranzi all’aperto e di pollo alla brace. C’è tutto e c’è niente. C’è quest’ansia che mi ha travolta da qualche giorno e che si è installata sul mio petto pesante come un’incudine e non ne vuole sapere di sloggiare, convinta delle sue milleuna ragioni che mi sta tenacemente illustrando, una dopo l’altra, facendomi galoppare il cuore in gola mentre cerco di addormentarmi e trasformando un’imminente viaggetto di lavoro in un’impresa insormontabile. C’è tutto e c’è niente. Ci sono i nodi che vengono al pettine, mi sa, che dopo un anno e passa di preoccupazioni e cercare di andare avanti e far finta di non vedere e di non sentire credo che adesso ci sia qualcuno che me ne sta chiedendo il conto, e non voglio pensare a quanto possa essere salato. C’è tutto e c’è niente. C’è la pulcina che con i suoi undici anni e tre quarti sta tirando fuori un caratterino sempre più infuocato e che molto spesso riesce quasi a mettermi all’angolo durante i nostri incontri sul ring, lasciandomi stracciata e spossata a leccarmi le ferite e a chiedermi se sono questi figli di oggi ad essere dannatamente troppo tosti o se eravamo noi ad essere infinitamente troppo stupidi. C’è tutto e c’è niente. C’è il tempo che è sempre troppo poco per tutto e queste corse infinite da mattina a sera per cercare di portare a termine il giochino degli incastri quotidiano e accorgersi che qualcosa resta sempre fuori e chiedersi se poi ne valga veramente la pena. C’è il merlo giovane, quello dalle piume ancora grigie, che viene a beccare le briciole davanti alla portafinestra della cucina, baldanzoso e impavido come un guerriero alla prima battaglia, più lo guardo e più lui si avvicina, fino a quando non apro il vetro e allora spicca il volo cinguettandomi una sequela di maledizioni, cosa che mi fa sorridere e pensare a come la gioventù ci renda sprezzanti del pericolo ma anche molto sciocchi. C’è la voglia di mettermi ai fornelli e di preparare un manicaretto speciale, di darmi una passata di smalto grigio lilla, che non possiedo e neppure so se esiste ma che mi piacerebbe molto, di mettere un cd e cantare a squarciagola, di guardare un film drammatico e inzuppare un pacchetto di kleenex con litri di lacrime. Ma ‘icché c’è, come si dice qui, come diceva Benigni quando parlava del medio oriente. C’è tutto e c’è niente, ecco ìcché c’è. E non solo in medio oriente.

venerdì 25 marzo 2011

Bello

Una giornata stupenda, il sole alto nel cielo, in forma smagliante, una brezza leggera a scompigliare un po’ i capelli ed un tripudio di fiori e rami sempre più verdi dappertutto. Bello. Il venerdì pomeriggio è un po’ come il giorno prima di partire per le vacanze, quasi più bello della partenza stessa, il fine settimana ancora tutto davanti come un tappeto steso da percorrere a piccoli passi con le scarpe della festa, da pensare, programmare e buttare all’aria se non ci piace troppo. Bello. Una tazza di tè alla vaniglia da sorseggiare con calma guardando dalla finestra tutto quello che c’è da fare in giardino in questa stagione e non sentirsene minimamente scoraggiata, mentre lo sguardo si perde nel viola acceso delle campanule da rinvasare e nell’ortensia nana nuova di zecca che per adesso mostra solo qualche timido ciuffetto verde ma che a tempo debito han detto che si trasformerà in un tappeto rosa. Bello. Star su fino a notte fonda a progettare con metro, calcolatrice e un programmino niente male quella famosa stanza Cenerentola che prima o poi riuscirò a trasformare in principessa senza l’aiuto di nessuna bacchetta magica ma solo della mia determinazione. Bello. Svegliarsi e trovare il giorno già dentro casa, la luce allegra che danza sulle tazze della colazione e ascoltare la pulcina che racconta il sogno che ha fatto mentre spalmo la marmellata sul toast. Bello. Anche sapere che il fine settimana sarà un tour de force e che probabilmente tutto non ci starà, che quando affronterò il giardino lancerò inevitabilmente una fila di maledizioni e che tra non molto il cielo si gonfierà nuovamente di pioggia e dovrò tornare ad indossare il piumino. Adesso non importa. Adesso è tutto, magicamente, incredibilmente, bello.

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin