lunedì 19 novembre 2012

Domani


Ho guardato la data del mio ultimo uovo deposto e mi è preso un colpo. Quasi due mesi. Impossibile, ho pensato. Mica tanto, mi son detta poi. E’ che il tempo non so più dove sta di casa, ho perso l’indirizzo, il telefono, è sparito anche dalla rubrica del mio cellulare. Missing, desaparecido, scomparso, quasi-quasi scrivo a Chi l’ha visto. Ogni mattino mi alzo carica di mille propositi e penso che sì, sarà la volta buona che riesco a fermarmi un attimo e metter giù quel pensiero che mi frulla in testa dalla sera prima, a trasformarlo in un bell’ovetto tiepido da deporre lì nel pollaio ed avvolgere con cura in un bel panno di lana morbida. Poi la guarnizione della macchina espresso decide che è arrivato il momento di andare in pensione e mi sputa acqua e polvere di caffè su mezza cucina, muro compreso. La pulcina, che sta attraversando quel meraviglioso momento chiamato tredicianni, entra in crisi per i capelli che non le stanno bene né sciolti né legati né col cipollino ed è un miracolo se non prendo un Bic e la trasformo in Soldato Jane. Mentre rimugino sul Bic, l’occhio ancora cisposo mi cade inesorabile sullo specchio che mi rimanda i miei di capelli, perfetto stile Medusa del Caravaggio, e mi vien voglia di rasare la mia di testa, così risolverei in un botto il problema capelli e il budget parrucchiere, ma poi non avendo il dolce faccino di Demi Moore desisto dall’insano proposito e lego la massa informe in una triste coda senz’arte né parte. Il bus è in ritardo e mi accorgo di star imprecando in aramaico antico, del resto non è mai troppo tardi per imparare una nuova lingua. Strisciare il badge all’ingresso in ufficio, volare alla scrivania e strisciarlo nuovamente un tot di ore più tardi è praticamente un tutt’uno, solo che fuori nel frattempo il sole ha cambiato di molto la sua angolazione, anzi in alcuni giorni proprio non c’è più ed ha lasciato già il posto alla sera buia di questo umido autunno avanzato. Mentre cammino penso alla cena da preparare, al bucato da stendere, alla pulcina che mi ha chiesto un aiuto sui Promessi Sposi, a mio padre che sta ancora aspettando che gli porti l’olio nuovo e alla tonnellata di foglie gialle che ha ricoperto il mio giardino, sicuramente molto coreografiche ma decisamente pericolose qualora dal cielo venisse giù una bomba d’acqua come quelle che purtroppo pare stiano andando di moda adesso. Il telefono squilla sempre quando sto girando il sugo, non so, dev’essere un automatismo, sugo uguale telefono, telefono uguale sugo, forse se facessi una pasta al burro non chiamerebbe nessuno, anzi di sicuro, ma mentre rispondo, nell’ordine, a mia suocera che vuol sapere come si salva un allegato, alla mamma di scuola che chiede notizie sul consiglio di classe ed al galletto che tanto per cambiare è in ritardo, in casa si diffonde un certo odore di bruciato. Il sugo. Si è attaccato. Tralascio l’aramaico antico per ripassare un po’ di serbo-croato, soprattutto la grammatica, che le lingue non vanno mai lasciate nel dimenticatoio, ma l’intento è lo stesso: smoccolare ben bene. Cosa che certo non si addice ad una signora, ma qui di signore non ne vedo, c’è solo una tizia stralunata con una cofana di capelli che non si fanno addomesticare neanche da Nando Orfei. Quando accendo la tivù il telegiornale è sempre già finito, al massimo è il momento delle reti in campionato e delle pole positions, sai che me ne importa, e resto ancora col dubbio di come cavolo devo fare per iscrivermi a queste stramaledette primarie, sempre che al telegiornale si siano degnati di dirlo. Andrà a finire che non voterò, così imparano a far le cose semplici, mannaggia a loro, tutti quanti sono. Poi tra Renzo e Lucia che dopo tutti questi anni ancora son lì a decidere se sposarsi o meno, il giornalino della Fidaty e quello del quartiere che occhieggiano da giorni in soggiorno, i bulbi da annaffiare, la pulcina che finge di preparare i libri per il giorno dopo mentre messaggia a rotta di collo sull’ennesima diavoleria chiamata whatsapp, gli occhi cominciano a dar segni di cedimento e riesco non so come ad andare a letto senza rompermi una gamba scivolando su un paio di calzini abbandonati sulle scale. Mi tiro su il piumone fino al mento. C’è ancora un pensiero. Ah, già, l’uovo. Domani, sicuramente domani.

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