giovedì 29 aprile 2010

Una piccola pausa fiorita

E’ sempre la prima cosa che faccio appena torno a casa dal lavoro, a meno che non stia diluviando, ed anche in quel caso uno sguardo attraverso i vetri rigati di pioggia lo getto comunque. Entro in casa, lascio chiavi e borsa sul tavolo ed esco in giardino. L’orario è perfetto, le prime ore del pomeriggio, quando la luce è bella anche in inverno, e potermi fermare a salutare le mie piante, anche se solo per pochi minuti, è un piccolo dono prezioso che mi concedo per prender fiato un attimo, rilassarmi e raccogliere i pensieri, quel tanto che basta per riuscire subito dopo a ripartire in quarta, mangiare un boccone al volo e ricominciare a correre, che le giornate sono sempre ancora stracolme di cose da fare. E’ un momento bello ed importante, in tutte le stagioni, ma devo ammettere che in questi giorni è come se questa mia breve pausa valesse di più, e non solo per lo stress che sto accumulando a vagonate. Sono gli abiti da sera e da cocktail che hanno indossato le mie piante a lasciarmi senza parole, estasiata e inebetita di fronte a tanta bellezza, e mi incanto a guardare i colori, le forme, la luce, mentre gli uccellini cinguettano un concerto ineguagliabile, beandomi di questo regalo che anche quest’anno è arrivato da sé.


mercoledì 21 aprile 2010

Per mano

Hai visto, mamma? Ce l’ho fatta. Mi sembrava uno scoglio insormontabile, una parete verticale che avrebbe impensierito anche Manolo, un bungee jumping con l’elastico consunto. Ho passato anche più di un’ora notturna con gli occhi sbarrati in questi giorni, proprio io che dormo come un sasso e che hai sempre detto che non mi sveglierebbe neppure la fanfara dei bersaglieri. Poi questa mattina è arrivata, mi sono fatta forza e sono venuta da te per accompagnarti nella tua nuova casa. Non è stato facile, mamma, non lo è stato per niente. Mentre ti raccontavo che saremmo andate a fare un giro per la città per andare a stare dal babbo, che ultimamente ti mancava così tanto, e tu mi sorridevi provando a dire qualcosa, cercavo di non guardarmi intorno, di non pensare che quelli erano probabilmente gli ultimi momenti che trascorrevi in quella casa. Quella casa che ti aveva vista giovane sposa, quella camera dove avevi trascorso nove mesi a sferruzzare costretta a letto per darmi la vita, dove dormivamo insieme quando avevi scelto di continuare il tuo percorso da sola e la sera mi stringevo a te nel lettone, ancora troppo piccola per capire fino in fondo quello che ti stava capitando. Cercavo di non guardare dalla finestra, quella strada rumorosa e trafficata che conosco così bene, come la luce che entra dalle tende in quel certo modo e il leggero tremito dei vetri quando passa l’autobus. L’ambulanza è arrivata puntuale e mentre i barellieri ti portavano giù, con il pensiero ti ho presa per mano, mamma, e ti tenevo stretta, come un bambino piccolo da accompagnare all’asilo per la prima volta. C’era tanto traffico intorno a noi, clacson, rumori, la città correva come sempre, mentre ti parlavo tu guardavi scorrere gli alberi e il cielo bianco di stamani dall’alto dei finestrini oscurati e poi hai sorriso. All’arrivo ti sei guardata intorno un attimo, poi prima ancora di vederlo hai riconosciuto la sua voce. Il babbo era lì, sulla sedia a rotelle, accanto al tuo letto. Dopo cinque mesi l’hai rivisto, lo hai guardato, hai riso. In quel momento ho visto la gioia nei tuoi occhi, ed anche nei suoi, ed ho saputo di aver fatto la cosa giusta. Nonostante tutto, nonostante le difficoltà, i pensieri, le mille ansie e le preoccupazioni, ho saputo che era proprio così che doveva andare. Ti sei addormentata serena, troppe emozioni all’improvviso. Ti guardavo dormire ed ho sorriso. Quello scoglio lo abbiamo superato insieme, mamma.

lunedì 19 aprile 2010

Il buco nero

Anche quest’anno la fiera di primavera l’ha fatta da padrona, invadendo le strade del quartiere con centinaia di coloratissime bancarelle, che sotto i raggi del sole di domenica sembravano ancora più sgargianti. Benché alla fine io purtroppo non sia una gran frequentatrice di mercati, a causa della concomitanza degli stessi con il mio orario di lavoro, ahimè, il mercatone di mezza stagione non me lo perderei per niente al mondo, anche se ieri in effetti ci sono andata molto vicina. Già, la domenica in questione era prenotata da tempo per una Prima Comunione, che tra Messa, pranzo e sollazzi assortiti rischiava di portarsi via tutta la giornata e di lasciarmi una misera mezz’ora a fine pomeriggio da dedicare ai banchi, quando ormai gli ambulanti cominciano a mettere via la roba e puoi giurarci che la tua taglia se n’è andata da un pezzo. Poi ho saputo che tra la fine della Messa e l’orario del pranzo c’era una specie di buco nero di un’ora abbondante senza programma alcuno, che gli invitati potevano impiegare a loro piacimento, per un aperitivo, una passeggiata o financo un pediluvio. La pulcina mi ha subito abbandonata per andare a giocare con la cugina, il galletto ha deciso di rientrare a casa per sistemare alcune carte e la gallina non ha potuto certamente esimersi da un tuffo tra le bancarelle del mercato. Il tempo stringeva e non ce n’era a sufficienza per batterlo tutto a tappeto come d’abitudine, ma se saputa usare bene anche un’ora poteva rivelarsi preziosa. Così è stato e, nonostante la mia mise da cerimonia molto poco adatta al pigia-pigia dei banchi, sono riuscita a tornare a casa con svariati sacchetti che chissà come erano riusciti ad incollarsi alle mie mani. Due paia di ballerine di raso usa-e-getta, nel senso che se arriveranno a termine della stagione sarà già un successo, ma così carine che sembrava aspettassero solo me. Quattro camicie femminili e sportive al tempo stesso, che di camicie non ne ho mai abbastanza e per tre eurini cadauna è andata bene che non ne abbia acquistate una dozzina. Una sciarpa estiva color tortora un po’ grinzosa e un po’ frou-frou, per le sere ventose ed i mattini croccanti. Una tuta danzereccia per la ballerina di famiglia ed un bikini a quadretti vichy per le sue giornate marine, se e quando ottimisticamente ce ne saranno visto che la parola ferie quest’anno non ci azzardiamo neppure a pronunciarla in lingua farfallina, ma tanto alle brutte c’è sempre la piscina. Ed infine una camicia button down per il galletto, di uno stupendo viola glicine, che stranamente ha amato subito anche lui. Non male per una misera ora di shopping. Non male assai per un ammanco di cassa che non arrivava a settantacinque euro. Brava io? Oh, no. E’ solo la magia del mercato.

mercoledì 14 aprile 2010

Non c'è tempo

E pensare che vorrei tanto scrivere e scrivere tanto, che non è neppure la stessa cosa. Sedermi e lasciare andare giù le dita sulla tastiera, libere e fluenti come quelle di un pianista, lasciando uscire tutto quel che preme dentro ed assimilare quei concetti e quelle emozioni che altrimenti mi sembra svaniscano troppo in fretta. Chissà mai perché, se scrivo riesco a percepire meglio, a trattenere, assaporare, come un profumo che nonostante la confezione accattivante non sappiamo se ci piace fino a che non entra a contatto con i nostri pori e solo allora si capisce com’è davvero. Vorrei scrivere delle mie orchidee che nonostante tutti mi dicessero cosa le tieni a fare, mica rifioriscono, hanno deciso di farli fessi tutti quanti e di rendere zia la sottoscritta, scodellandomi all’improvviso dei fiori fantastici, identici a quelli dell’anno scorso, come se il davanzale si fosse improvvisamente riempito di farfalle pronte a spiccare il volo. Vorrei scrivere della gioia che ho letto negli occhi della pulcina quando mi ha comunicato di essere stata scelta per la parte principale nello spettacolo di danza di quest’anno e del pensiero che ho avuto in quell’istante, un fermo immagine per cristallizzare per sempre nella mia memoria quello sguardo fiero. Vorrei scrivere della fragilità e del dolore che ho visto in mio padre il giorno che l’ho accompagnato nel luogo che da ora in poi sarà la sua casa, di quanto lo abbia visto di colpo invecchiato di cent’anni, del tremito delle mie mani che spingevano la sedia a rotelle mentre gli parlavo sperando che la mia voce riuscisse a non incrinarsi. Vorrei scrivere dei ritagli che cerco in ogni modo di crearmi, per interrompere il ritmo anche se solo per pochi minuti, togliendo la nevicata di petali bianchi della camelia che la pioggia di sabato scorso ha sparso per tutta l’aiuola, soffermandomi a guardare incantata il boccio della peonia che si ingrossa ogni giorno di più e facendo un toto-scommesse con me stessa sul colore del caprifoglio che sta già iniziando a formare i grappoli, visto che lo abbiamo piantato alla cieca, senza sapere quale varietà fosse, perché in fondo le sorprese fanno bene al cuore. Come la sorpresa dell’uovo di gallina di quest’anno che la pulcina ha trovato il giorno di Pasqua, estasiata e incontenibile, che ci godremo insieme tra qualche sera a teatro. Vorrei scrivere di quanto sia triste lo shopping quando si tratta di comprare il corredo per mia madre che tra pochi giorni accompagnerò a vivere nello stesso luogo dove già si trova mio padre, sapendo che sebbene lei non capisca più molto, non credo affatto che sarà più facile spiegarle il perché. Ma l’orologio ticchetta inesorabile. Bianconiglio mi avverte: è tardi, è tardi! Non c’è tempo.

giovedì 8 aprile 2010

Mezza

Strana faccenda. Mi sento sospesa, ammezzata, non finita. Un bicchiere mezzo pieno, o mezzo vuoto, a seconda di come lo si voglia guardare. Probabilmente non sono che il riflesso delle mie giornate, queste giornate primaverili così belle e gentili che non riesco a vivere pienamente. Come un telefono staccato che dia in continuazione il segnale di occupato e non faccia passare nulla, neanche la telefonata di questo sole caldo e brillante incastonato nel blu infinito del cielo. Lo guardo ed è come se non riuscissi a recepirlo, a non vederlo per davvero, troppe cose in lista d’attesa, figuriamoci se trovo il tempo per il sole. L’unica cosa che mi viene in mente guardandolo è che con questo caldo dovrò anche fare velocemente il cambio armadi, il che è tutto dire. Sì, strana faccenda davvero. Inizio mille cose e ne porto a termine tre perché alla fine le giornate son fatte solo di ventiquattr’ore e più di tanto non ci sta, ma anche quando decido di fermarmi un minuto o mezzora per raccogliere le idee e non schiantare definitivamente al suolo, è come se mi mancasse qualcosa, come se nella mia testa non ci fosse lo spazio necessario per gestire le cose con calma e il tutto restasse in stand by. Avrei bisogno di un bel reset, come si fa ai computer quando i programmi non girano più tanto bene. Uguale. Una bella resettata e via, che bello sarebbe. Prima o poi arriverà questo momento, non ne dubito, ma la strada è ancora lunga e nonostante qualche sprazzo di luce non sono ancora fuori dal tunnel e la lucina che intravedo laggiù in fondo è solo la punta di uno spillo che in certi momenti però stenta proprio ad allargarsi.

giovedì 1 aprile 2010

L'arte del ritaglio

Nonostante che il ritmo continui ad essere serratissimo ho deciso di non soccombere, di puntare i piedi a terra e frenare la corsa, come faceva la mia cagnolina quando arrivavamo nelle vicinanze dello studio del veterinario e improvvisamente le sue zampe si incollavano al marciapiede e non c’era verso di smuoverla, potevi tirare il guinzaglio quanto volevi, magari la strangolavi ma lei restava lì. Ormai sono in gara e non posso ritirarmi, è vero, ma posso sempre rallentare il passo, la maratona la vincerà qualcun altro, chemmifregammé delle medaglie. Ho deciso di condividere il motto di De Coubertin e partecipare soltanto. Forse più facile a dirsi che a farsi, visto che la mia emotività non si comanda propriamente a bacchetta, ma ho deciso perlomeno di provarci. Pensando alla sottoscritta, in primis, che troppo spesso mi dimentico di esistere. Ecco quindi comparire all’orizzonte le forbici della nonna, quelle da ricamo, con i ghirigori impressi nell’impugnatura di metallo un po’ scurito dal tempo, o quelle del nuovo millennio, da stamping e scrapbooking, che le moderne attività manuali mica possono avere un banalissimo nome italiano cari miei, colorate e modaiole, che tagliano in mille modi, a zig zag, a onde, persino ad arabeschi e cuoricini, oppure quelle lucide ed efficienti delle sarte, lama lunga e zac!, capaci di trasformare uno scampolo in un tailleurino Chanel in un nanosecondo. Ogni tipo di forbice è bene accetto, l’importante è riuscire ad usarle bene, con perizia. L’arte del ritaglio è roba seria. Si deve decidere di imporsi una sosta, una fermata, un pit stop obbligatorio e poi giù veloci di lama. Ritagliandosi una lunga telefonata con un’amica lontana, come stasera con la mia amica della montagna, che quando va bene la incontro una volta all’anno ma tutte le volte che la sento è come se ci fossimo viste cinque minuti prima. Quando ho messo giù, il display del telefono segnava quarantanove minuti, che soddisfazione. Ritagliandosi pure una bella seduta dal parrucchiere, che le doppie punte stavano diventando triple e forse anche quadruple e sembrava che avessi in testa un mocio Vileda, abbandonandosi a mèches, messa in piega, giornalini di gossip e frivolissime chiacchiere. Ritagliandosi cinque banalissimi minuti durante i nove di cottura della pasta per leggere l’ultimo Fragola News appena giunto in casa direttamente dall’Esselunga, che con la copertina strabordante di uova evidentemente esercitava un fascino particolare sulla sottoscritta, non a caso direi. Cose semplici, piccoli momenti, attimi preziosi. Da ritagliare con cura come un articolo di giornale da conservare nel tempo. Non per gli altri, ma solo ed esclusivamente per se stessi.

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