venerdì 30 ottobre 2009
Sorrido
Sorseggio il caffè, lo sguardo vaga sul giardino, la pervinca da travasare e i lunghissimi tralci del ricosperno che si stanno facendo strada sul gazebo. Il cielo pesante, di bruma, grigio e spesso come una coperta di quelle vecchie e un po' infeltrite in fondo all'armadio della nonna. So che sta solo scherzando e che tra poche ore il sole brillerà spavaldo. Sorrido a questa giornata che mi aspetta, e non è facile che lo faccia così di prima mattina, con gli occhi abbottonati e la felpa infilata in fretta sopra il pigiama, in genere sono un po' storta appena sveglia. Sorrido stamani, perché ieri la cicogna ha portato una bambina speciale, di cui io non sono niente ma della quale mi sento una specie di zia, che mi ha fatto ridere e piangere e scrivere una delle mie strambe filastrocche, e penso a come sia strana la vita, questa vita che ti fa sentire nipote colei che non lo è e molto poco quella che lo è realmente. Sono le grinze di questo telo che ci avvolge e ci accompagna, e hai voglia a stirarle, ci son pieghe che non se ne andranno mai. Sorrido, perché adoro queste giornate lucide e croccanti, costellate di milioni di cose da fare, non ultimo il costume da Strega dei Pipistrelli da finire di approntare per la picci che quest'anno festeggerà Halloween anche a scuola, dopo quattro anni di trick or treat subiti da quelli di quinta, quest'anno finalmente tocca a lei. Sissignori, il nonnismo si impara da piccoli. Sorrido all'idea della cena di stasera, esclusivamente a base di ciane & sushi, le amiche di una vita che sicuramente invecchiano ma che quando si ritrovano aprono l'involucro come matrioske e lasciano uscire le giovincelle spensierate che nonostante le carriere, i mariti, i figli e i divorzi sono ancora ben presenti dentro di loro. E giù risate sgangherate e hai saputo, ma dimmi, racconta. Una di quelle serate che diciamo sempre che dovremmo fare più spesso e poi facciamo solo raramente. Sorrido stamani, mentre scongelo il tacchino per la cena solinga di marito e figlia e penso che nel fine settimana rifarò sicuramente quel favoloso gratin di pere e patate che mi ha insegnato Alex. Sorrido e guardo il cielo. Adesso sembra rosa.
giovedì 29 ottobre 2009
Emma
Emma è arrivata in un giorno di sole
d'azzurro, d'autunno e quel che ci vuole
io guardo la foto e cado estasiata
poi piango, poi rido, son già innamorata.
Tanti capelli, neri come di seta
un cuore di bocca scritto da mano poeta
la vita ti aspetta lungo un viale infinito
da percorrere fiera con sguardo pulito.
Che siano giornate da correre al mare
soffi di gioia e tanta neve a Natale
la scuola, le risa, alcune lacrime tristi
la vita è un po' tutto, dobbiamo esserne artisti.
C'è un pacco incartato di rosa e di argento
contiene un regalo che sia uno strumento
per i tuoi primi giorni leggeri e speciali
e poi prendere il volo spiegando le ali.
Ti auguro il meglio, il tutto, l'assai
che il mondo sia proprio come lo vorrai
colori, sospiri, capriole e bontà
ti auguro tutto e, per te, resto qua.
d'azzurro, d'autunno e quel che ci vuole
io guardo la foto e cado estasiata
poi piango, poi rido, son già innamorata.
Tanti capelli, neri come di seta
un cuore di bocca scritto da mano poeta
la vita ti aspetta lungo un viale infinito
da percorrere fiera con sguardo pulito.
Che siano giornate da correre al mare
soffi di gioia e tanta neve a Natale
la scuola, le risa, alcune lacrime tristi
la vita è un po' tutto, dobbiamo esserne artisti.
C'è un pacco incartato di rosa e di argento
contiene un regalo che sia uno strumento
per i tuoi primi giorni leggeri e speciali
e poi prendere il volo spiegando le ali.
Ti auguro il meglio, il tutto, l'assai
che il mondo sia proprio come lo vorrai
colori, sospiri, capriole e bontà
ti auguro tutto e, per te, resto qua.
martedì 27 ottobre 2009
Lupetti d'autunno
Il cielo azzurro, il sole brillante, quel tanto di vento a ricordarci che, signori miei, siamo in autunno, le foglie degli alberi in ogni nuance possibile, roba da fare invidia a quelli del Pantone, gialline, rosate, rosse, dorate, cacao, verdi, arancioni, violette. L'erba dei campi un po' più fina, rada, come asciutta, mentre qualche zolla rossa fa capolino qua e là. Un bouquet per l'altare della minuscola chiesetta da improvvisare al momento, a seconda di quello che offre Madre Natura, alcuni rami di vite americana rosso cardinale piena di bacche blu, un po' di verde, il giallo delle bocche di leone e l'azzurro profumato della nipitella, il risultato è sorprendente, nemmeno l'avesse fatto una fiorista, o forse è solo perché è più vero, più puro. I lupetti che ridono, corrono, poi formano i cerchi e noi, da lontano, li osserviamo con un misto di orgoglio ed emozione, increduli che quelli che solo fino a ieri erano cuccioli adesso siano già pronti ad entrare in reparto. Al primo grido di chiamata del capo scout accorrono tutti obbedienti e perfetti, e mi chiedo dove stia l'errore quando sono io a chiamarla al parco e devo perlomeno ripetermi dieci volte, bisognerà che mi faccia insegnare la parola magica, ma ho paura che il risultato non sarebbe comunque lo stesso. La commozione ci assale all'improvviso, il capo scout ha deciso di lasciare il branco, e anche se il nuovo Akela è sicuramente altrettanto bravo e già molto amato, lì per lì ci si sente tutti un po' smarriti e pronti alla lacrima, ma i bambini sorridono, ed è questa loro serenità a farci dimenticare tutto. Siamo felici di vederli così, è talmente tangibile questa contentezza che la si potrebbe quasi toccare con mano. Il pranzo sotto il sole è una meraviglia, le chiacchiere, i panini, torte e crostate da assaggiare e condividere, risate e allegria, un sorso di vino e l'inaspettato thermos di caffè che fa scoppiare un fragoroso applauso. Bisognerebbe che le domeniche d'autunno fossero sempre così. Da ricordare.
domenica 25 ottobre 2009
venerdì 23 ottobre 2009
Il mio vecchio amico undici
Io mi affeziono a tutto. Agli alberghi dove vado in vacanza, ai biglietti di auguri, al geco che trascorre le sere d'estate sul muro in fondo al giardino, perfino alle fotografie sul calendario, pur sapendo in partenza che quest'ultime al massimo sono destinate a durare trentun giorni. Stamani ho scoperto di essermi affezionata anche all'autobus. E' l'ultimo giorno di quella linea che da otto anni prendo tutte le mattine per andare in ufficio, che molto comodamente senza dover effettuare cambi mi porta direttamente da casa mia al luogo dove lavoro. Salgo al capolinea e quasi sempre trovo un posticino a sedere, dove per i successivi venticinque minuti mi immergo nella lettura del libro di turno o lascio vagare lo sguardo al di là dei vetri, quel guardare e non guardare con gli occhi un po' incantati, mentre in testa frullano dozzine di pensieri. Da domenica quella linea andrà in pensione, insieme ad altre, tutte modificate, accorciate, soppresse od allungate, in vista del cambiamento radicale che sta per avvenire in questa città che si diceva non facesse mai nulla di nuovo. Il nuovo sindaco invece non scherza, quello che dice di fare lo mette subito in pratica, e ciò mi piace parecchio. Odio quelli che si riempiono la bocca di parole e poi non fanno nulla di concreto. Qui adesso perlomeno ci si prova e se sarà un casino, si proverà a risolverlo. Il centro storico sarà definitivamente pedonalizzato e se da un lato sarà un sogno poter passeggiare liberamente accanto al cupolone, senza la paura di venir messi sotto da motorini e torpedoni, sarà anche un incubo cercare di dirottare tutto il traffico, autobus compresi, su percorsi alternativi, in una città fatta perlopiù da viuzze medievali. Così anche la mia amata linea Ataf viene prepensionata e lunedì mattina, lo so, sarà un delirio andare al lavoro, e già immagino le file di auto, i clacson a sirena e gente che inveisce in tutte le lingue. Cercherò di aver pazienza, del resto tutte le novità hanno sempre bisogno di un po' di tempo per funzionare a pieno regime. Almeno spero. Nel frattempo stamani guardavo il mio bus con l’occhio un po' mesto, pensierosa ed immalinconita. Scendendo ho sfiorato la portiera con un tocco diverso ed ho bisbigliato un ciao. Salutavo un vecchio amico.
mercoledì 21 ottobre 2009
La ciofeca
Sicuramente la vita di ogni grande chef è costellata di ricette mal riuscite ed esperimenti finiti nel secchio, ciononostante quando questo accade ci si resta sempre male. Se poi si aggiunge il fatto che la sottoscritta è ben lontana dall'essere un grande chef, anzi neppure mezzo, al limite un ibrido tra una cuoca da mensa e una desperate housewife di periferia, la questione è senz'altro più avvilente. E' da ieri sera che ci rimugino, che cerco giustificazioni, cercando di capire i come e i quando che mi hanno portata a sfornare una torta che non si poteva nemmeno guardare, ma resta il fatto che ho prodotto una ciofeca e ci son rimasta male. Sbagliando s'impara, questa è sicuramente una grande verità, ma l'abbacchiamento resta. Avevo ritrovato una ricetta che avevo messo da parte tempo fa, proveniente da una rivista americana, e ieri ho deciso di provarla. Una torta di pere, perfetta per la stagione, con qualche ingrediente insolito che mi stuzzicava la fantasia. Così mi son messa subito a fare i compiti, facendo tutte le dannatissime conversioni di quelle antipatiche misure americane fatte di cups e tablespoons, facili solo all'apparenza, visto che un cup di farina non corrisponde ad un cup di burro e neppure ad uno di latte. Insomma, una goduria di conteggi, svolti per fortuna da un paio di programmini ad hoc che convertono qualsiasi cosa. Acquisto gli ingredienti che mancano all'appello e parto in tromba, forno acceso e musica in sottofondo. Sarà stata la mia ignoranza da cuoca di periferia, qualche errore di stampa nella ricetta originale o forse avevo Saturno contro, e magari anche Marte e Plutone, ma evidentemente c'era qualcosa che non andava. Da quel forno è uscito fuori un alien appiccicoso, mezzo disfatto e pure bruciacchiato. Immangiabile. E la tortiera talmente incrostata di caramello che lì per lì ho pensato di doverla buttare. Mamma non prendertela, mi ha detto la picci, sai che però ha un buon profumino? Beh, già qualcosa, perlomeno non ho dovuto aprire tutte le finestre, col freddo che faceva. Vabbè, un passo falso ogni tanto ci vuole, ci si avvilisce ma poi si riparte con più energia. E guarda caso proprio stamani ho letto la ricetta di quella tortina che...
lunedì 19 ottobre 2009
Il fiocco sul portone
Il fiocco sul portone è stato un'emozione. Non c'era stato più nessun fiocco dopo quello di mia figlia. Del resto il condominio è piuttosto piccolo e le famiglie papabili alle fine son solo due, mettendo nel conto anche la nostra che però, come Paganini, non credo che si ripeterà. Così, dopo dieci anni, in un giorno ventoso è apparso un altro fiocco sul portone, rosa anch'esso come colui che l'aveva preceduto, perché il futuro è rosa, come dice lo spot che preferisco in questi giorni. Un cuore ricamato a punto in croce con uno svolazzo di tulle. Come non pensare al mio, quadretti Vichy e nastrini di raso, ormai scolorito e sciupacchiato ma ancora appeso dietro alla porta della camera della pulcina, un po' ricordo, un po' portafortuna, ma guai a chi glielo tocca. E che emozione salire le scale per andarla a conoscere, questa nuova vicina di casa, un dolce batuffolino addormentato nella sua culla, i pugnetti alzati e un filo di sorriso appena accennato. Io e la pulcina la guardiamo in silenzio, mi sembra di tornare indietro nel tempo e non mi capacito di come quel ragnetto che dormiva in una culla quasi uguale possa essersi trasformato in questa jena bionda avvinghiata al mio braccio. Mentre ascolto la mamma orgogliosa che racconta di travaglio e poppate penso che la vita scorre via troppo in fretta e che troppo spesso mi lascio travolgere dall'essere sempre in ritardo, sempre di corsa, togliendo il tempo ad una carezza, a una coccola, a una parola speciale, pensando che ci sia sempre un dopo. Un dopo che quasi sempre fugge però, e il momento è passato. Gli occhi mi si fanno lucidi, mannaggia a me, adesso penseranno che sono andata a trovare una neonata con il raffreddore, ma non è così. Godetevi ogni momento, ogni attimo, che non ritornerà. Cercherò di farlo anche io. Promesso.
giovedì 15 ottobre 2009
Freddo becco
Freddo becco stamattina
con la sciarpa e l'aspirina
qui l'inverno è già arrivato
quattro gradi e cioccolato.
I maglioni in naftalina
gli stivali giù in cantina
si dovran presto cercare
per non stare a congelare.
Non ci sono vie di mezzo
ogni epoca ha il suo prezzo
che a me pare un po' salato
questo autunno da primato.
Il mare sale la pioggia scende
magari fossero leggende
spero che una nuova invenzione
ci riporti la mezza stagione.
con la sciarpa e l'aspirina
qui l'inverno è già arrivato
quattro gradi e cioccolato.
I maglioni in naftalina
gli stivali giù in cantina
si dovran presto cercare
per non stare a congelare.
Non ci sono vie di mezzo
ogni epoca ha il suo prezzo
che a me pare un po' salato
questo autunno da primato.
Il mare sale la pioggia scende
magari fossero leggende
spero che una nuova invenzione
ci riporti la mezza stagione.
martedì 13 ottobre 2009
L’esame di quinta
Un pomeriggio come tanti, al ritorno da scuola. Merenda, poi i compiti. Sto attraversando il soggiorno in direzione della portafinestra per andare in giardino a stendere i panni appena usciti dalla lavatrice, mentre la pulcina studia seduta al tavolo da pranzo che, c’è poco da fare, preferisce sempre rispetto alla sua scrivania solitaria al piano di sopra. Sta recitando le poesie che deve imparare a memoria per il giorno dopo. La ascolto distrattamente. Poi, improvvisamente, mi immobilizzo. Riconosco fin troppo bene la prima delle due. Sorrido. Quanti anni sono passati da quell’esame, meglio non contarli. Adesso non si fa più l’esame in quinta elementare, ma se lo facessero ancora non gli farebbe mica male a questi bambini di adesso. Sostenere una prova fa crescere, fa maturare, fa sentire più consapevoli delle proprie capacità. Si dice che nella vita gli esami non finiscono mai, ma mi chiedo quando comincino. E pensare che io l’ho fatto anche in seconda. Comunque, quei versi mi hanno trasportata indietro nel tempo, un flash-back di un attimo, ma ero lì, nell’aula della scuola Matteotti allestita a sede di esame, la nostra sezione esaminata dal maestro della classe accanto e la nostra maestra ad esaminare i suoi allievi. Insomma, una cosa alla buona, tanto per non fare favoritismi, in mancanza dei cosiddetti membri esterni. Un esame semplice, certamente, ma che agitazione che c’era nell’aria. E come ricordo bene l’attimo di puro terrore quando una compagna di classe, mentre eravamo sedute in attesa del nostro turno, mi chiese quale fosse la poesia che avevo scelto per l’esame. Sorpresa, angoscia, paura. La poesia! Non l’avevo preparata. La lista delle ricerche e dei temi da portare all'esame l’aveva presa mia madre e chissà com’era andata, non mi aveva detto che dovevo anche imparare una poesia. Non erano giorni facili quelli per noi, eravamo sole io e lei in quegli anni, lei già così maledettamente rapita dal suo terribile male e io in fondo solo una bambina. Così, chissà come, la poesia mancava all’appello. Dovevo escogitare velocemente qualcosa. Le mie compagne di classe facevano a gara a chi l’aveva imparata più lunga, tutte lì a contare i versi, la mia è più lunga della tua, la mia è molto più difficile, mentre io, molto semplicemente, non avevo nessuna poesia. Ero terrorizzata. Poi ricordo bene che volai alla mia cartella rossa, tirai fuori il libro di italiano ed iniziai a sfogliarlo velocemente. Lo sguardo mi cadde su una poesia. Perfetto, dissi, è lei. La memoria non mi ha mai tradito, e a quell’età era certamente migliore, la lessi velocemente e la imparai in un battibaleno. Quando arrivò il mio momento e il maestro mi chiese la poesia, io, tutta impettita, la declamai. Lui alzò la testa dal registro dove stava scrivendo qualcosa, mi guardò sorpreso, incredulo, poi scoppiò in una fragorosa risata. Brava, disse sorridendo, una poesia così all'esame di quinta non l'avevo mai sentita. Doveva essersi stancato di sentire tutte quelle poesie interminabilmente lunghe, chissà. So solo che Ungaretti mi salvò in corner, e l’esame fu superato brillantemente.
Soldati
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
Giuseppe Ungaretti
Soldati
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
Giuseppe Ungaretti
venerdì 9 ottobre 2009
Pensieri che nascono in bus
Girano le ruote del bus in questa mattina di venerdì. Penso che stiamo arrivando in porto con questa casa, che mi piace ogni giorno di più. Sono arrivati un po' di mobili, finalmente, bianchi, intonsi e ancora tutti da decidere, lì ci metto i calici, qui il servito da dodici e là i cd, e mi sento come una bambina davanti a un foglio bianco, con la bramosia di vedere che disegno ne salterà fuori dopo che avrò stappato tutti e ventiquattro i pennarelli insieme. Girano le ruote del bus in questa mattina grigia ma ancora così estiva. Penso a questi liceali zaino in spalla, tutti rigorosamente uguali, con quelle orrende scarpe di tela slacciate che al confronto le nostre Superga erano cent'ori, i jeans striminziti, le canotte e le sciarpine, e quei capelli sparati in avanti come se gli fosse esploso un petardo sulla nuca. E poi dicono che sono contrari alle uniformi. Girano le ruote del bus in questa mattina di sbadigli, palpebre di piombo e quotidiani da sfogliare frettolosamente. Penso che il consueto giochino degli incastri sta prendendo forma anche quest'anno, la settimana scandita dalle lezioni di danza della pulcina, dal suo branco che tornerà a riunirsi da stasera, dall'inglese che andrà infilato da qualche parte e dal catechismo che ricomincerà domenica. Lasciando tassativamente qualche spazio vuoto in questo coloratissimo puzzle, per ricordarsi che ogni tanto bisogna pur respirare. Girano le ruote del bus in questa mattina di gente che scende e gente che sale, le solite facce e anche qualche new entry. Penso che oggi pomeriggio farò la schiacciata, che l'uva è in frigo già da qualche giorno e non può più aspettare, mentre la catasta di panni da stirare inevitabilmente aspetterà domani. Girano le ruote del bus. Penso che son giorni d'autunno pieni di cose da fare e di tanta voglia di dormire. Penso che la mia fermata è arrivata. Permesso, devo scendere.
mercoledì 7 ottobre 2009
Un giorno in Franciacorta
Credo fosse dagli anni delle gite scolastiche e delle settimane bianche con le amiche che non facevo più un viaggio in pullman, con i ginocchi in bocca, le soste in autogrill e i cruciverba di gruppo, che tra una risposta e una risata abbiamo sconfitto un Bartezzaghi in meno di cinque minuti, ma anche se una partenza prima dell’alba ed un rientro a notte inoltrata restano comunque una bella sfaticata, l’atmosfera della gita di gruppo è sempre piacevole. Se poi la mèta di questo pellegrinaggio è una giornata in Franciacorta, sotto uno splendido sole autunnale, per accompagnare i novelli sommeliers in una delle più importanti cantine della zona dove tra una degustazione e l’altra di règie bollicine riceveranno il loro meritato diploma, allora anche la sveglia in orario antelucano diventa un piacere. L’emozione era tanta, e non solo in coloro ai quali di lì a poco sarebbe stato appeso al collo l’argenteo taste vin, ma anche tra i semplici accompagnatori, fidanzate, mariti, amici, mogli, come la sottoscritta, che percepivano ugualmente la tensione, la soddisfazione che faceva brillare gli occhi e anche fuoriuscire qualche lacrima di gioia a tradimento. Che buffo, e che bello, vedere tanti adulti, professionisti affermati, avvocati, medici, architetti o bancari, tornare indietro nel tempo e rivivere le emozioni del giorno della laurea o del primo colloquio di lavoro, vederli sorridere felici e brandire il diploma come fosse uno scettro. E poi la scenografia, che non poteva essere più bella. Le cantine storiche di Berlucchi, bellissime e austere, con migliaia di bottiglie in file ordinatissime, in attesa dei brindisi di domani, chi verrà stappata ad un matrimonio, chi ad un compleanno, chi ad un party e chi semplicemente per la gioia di godere di un vino prezioso fatto di centinaia di bollicine che magicamente danzeranno nel calice, come note musicali liberate nel vento. L’elegantissimo aperitivo servito nel giardino privato di Palazzo Lana Berlucchi, mentre tra una chiacchiera, una foto e un bocconcino di parmigiano, cammino su un prato verdissimo e soffice come un tappeto, racchiuso tra le mura antiche come in uno scrigno e mi sento avvolgere da un’incredibile aura di serenità, come solo certi luoghi sanno dare. Il meraviglioso pranzo nei pressi, circondati da olivi e vigneti, con la macchiolina blu del lago d’Iseo che brilla incastonata tra le montagne come uno zaffiro. Poi gli applausi, le foto di rito, i ringraziamenti, qualche risata e qualche sguardo velato. E’ giunto il momento di tornare a casa, tutti a bordo! come al ritorno da una gita scolastica. Chi ride, chi si addormenta, chi rivive ogni momento. Tutti stanchi, ma tutti, assolutamente, felici.
venerdì 2 ottobre 2009
t.v.u.k.d.b.
Lo sapevo che ci si sarebbe arrivati prima o poi, ma trovarmelo davanti è stato lo stesso una specie di choc. Lo so che è il gergo di questa gioventù degli anni duemila, che è scritto dappertutto, sui muri, sui bus, che ci fanno titoli di film e di canzoni, ma ciononostante ci son rimasta un po’ di sasso, ecco. Insomma, com’è che fino a ieri mi scriveva i bigliettini con i cuoricini e mi scriveva ti voglio tanto bene mamma e ora, di punto in bianco, è apparso un t.v.u.k.d.b.? Che poi, oltretutto, il ritrovarmi al cospetto di quella kappa mi ha fatto sgranare ancora di più gli occhi. Non bastavano le iniziali puntate, c’era pure la kappa. Così, da un giorno all’altro. E mi sento stupita, folgorata, divertita anche, un pochino, e invecchiata anche, parecchio. Insomma, torno a ripetermi, i figli crescono improvvisamente, senza preavviso, fino a ieri una timida pianticella appena spuntata dalla terra e poi, in una nottata, ti affacci al balcone e scopri un albero. Insomma, si resta di sale, ci si dispiace un po’, ma poi si sorride.
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