giovedì 26 novembre 2009

Buon sangue non mente

Tra le varie prove di italiano che vi sono in quinta elementare, testi lunghi, testi brevi, sintesi e testi poetici, oggi in classe della pulcina si sono cimentati nello scrivere filastrocche. Sapevo già che queste rime buffe e svolazzanti sono una mia passione, per scrivere in modo lieve e spensierato anche qualche concetto che proprio leggero a volte non è. Oggi ho imparato che in famiglia c'è qualcun altro che la condivide con me.

La città che vorrei

Vorrei una città con più giardini
dove poter giocare con tanti bambini
vorrei una città piena di felicità
senza violenza né criminalità.
Vorrei una città dove nessuno butta le cose per terra
o faccia la guerra
vorrei una città non inquinata

e meglio trattata.
Insomma vorrei una città
piena di vita e di tranquillità.

lunedì 23 novembre 2009

Aridanghete

Che barba, che noia. Che noia, che barba. Come dice la Mondaini. Uffa, che palle. Come dico io. Insomma, ci risiamo. E’ arrivato quel periodo dell’anno che amo e che odio, che mi piace da pazzi e che se potessi salterei direttamente al sette Gennaio, che mi fa andare in fibrillazione alla prima pallina glitterata che vedo e che mi fa salire l’ansia come non mai. Non sono impazzita, o forse è proprio perché lo sono, ma il mese che precede il Natale mi fa sempre quest’effetto, mi elettrizza e mi deprime al tempo stesso. Un ottovolante di sentimenti contrastanti, una giostra impazzita che non si fermerà fino ai primi giorni del duemiladieci. Benché ogni anno mi premunisca, indossando una lucente armatura e allenandomi con un po’ di training autogeno, ci ricasco sempre. Vado in brodo di giuggiole all’idea di decidere il colore dell’albero, il leitmotiv delle decorazioni, indecisa tra il bianco totale, il viola luccicoso, che però da queste parti potrebbe essere equivocato con un amore sviscerato per la Fiorentina, cosa che manco per l’anticamera, e le decorazioni bio, tutte legno, feltro e bacche in quantità. Piango lacrime amare al rileggere quella poesia scritta dalla dodicenne gallinella, …di fronte ad un albero spento, nel silenzio del giorno di Natale, al ricordarmi perfettamente la tristezza del giorno in cui la scrissi, e al rendermi conto di quanto quei Natali mancati mi manchino ancora così tanto. Sfoglio con ardore la brochure natalizia di Ikea che ha invaso il portapubblicità fuori dal portone, innamorandomi di qualsiasi lucina come se nemmeno dovessi illuminare l’Empire State. Abbraccio mia madre e non riesco a stringerla come vorrei, non posso non pensare ai nostri Natali di solitudine, a quanto la vita si stata ingiusta con lei, con noi, e mi sento assalire da quel dolore che conosco così bene ma al quale, diamine, non ci si abitua mai. Cercherò di camminare guardando dritto davanti a me, come un equilibrista sul filo, senza pensare al vuoto che c’è sotto ma solo alla bellezza del cielo che mi sovrasta. Mi butterò nella mischia, perché è così che si fa, e vai di calendari dell’avvento, di letterine a Babbo Natale anche se non ci si crede più perché far finta è forse ancora più bello, di liste di regali da buttar giù con un occhio ai desideri ed uno al portafoglio, di presepi da allestire con muschio e sassolini sul mobile nuovo e qualche biglietto old style da scrivere a mano e spedire leccando il francobollo. Se ogni tanto mi si velerà lo sguardo, darò la colpa al raffreddore.

giovedì 19 novembre 2009

Cedo il passo

Capita di vincere un premio per aver scritto un post sui nostri giorni di neve e poi quasi dimenticarsene, sai che ti arriverà in autunno inoltrato e adesso che sta scoppiando la primavera non è certo facile tenere in mente un qualcosa che ti servirà solo quando le montagne saranno nuovamente ammantate di bianco. Così quando l’efficientissima organizzazione del concorso Dolomiti Superski lo scorso Aprile mi ha comunicato che il mio premio sarebbe arrivato a Novembre, ho archiviato mentalmente la pratica e non ci ho pensato più. In Aprile si pensa a tutto, ai fiori, a quel bikini che ti ha rapito il cuore, al gloss nuovo rosa peonia, ma all’attrezzatura da sci decisamente no. La settimana scorsa, mentre tiravo fuori dall’armadio l’attrezzatura sciistica della picci per provargliela e capire se quest’anno saremo dispensati dall’acquistarne una nuova o corriamo il rischio di portarla a sciare con i pantaloni stile acqua in casa, mi sono ricordata del mio premio e sono andata a rileggere la mia posta elettronica per vedere quando sarebbe dovuto arrivare: Novembre. Arriverà, ho pensato. Ed infatti, oggi, il pacco è arrivato, puntuale come promesso, che in quanto a precisione ed organizzazione gli altoatesini vanno lasciati stare. Una specie di regalo di Natale anticipato. E quando non te lo aspetti più un regalo fa ancora più piacere. Un bellissimo casco da sci Dainese firmato Dolomiti Superski, di uno splendido bianco perlato opaco molto glamour, che immediatamente ho provato per vedere l’effetto che facevano i ciuffi biondi che fuoriuscivano impertinenti. Favoloso. Roba da far voltare tutti gli addetti agli skilift, da fermare il traffico sulle piste da sci e far morire d’invidia anche qualche maestro. Peccato che la bionda chioma, però, non fosse la mia. Per la vecchia gallina il solito casco nero basta e avanza. Quella che farà colpo sulle piste, la modaiola del comprensorio stavolta sarà la pulcina. Direi che adesso sia arrivato il suo turno.

martedì 17 novembre 2009

L'intervista

Bellissima giornata autunnale, mite, soleggiata. Il tempo ideale per fare un po' di giardinaggio e piantare i bulbi che da diversi giorni aspettano con fiducia nei loro sacchetti. Scaverò i buchini e li metterò a dormire nei loro letti umidi e bui in attesa che il primo sole di primavera li faccia decidere a mettere il naso fuori. E cercherò di scrollarmi di dosso questo leggero velo di malinconia che mi ha incupita un po'. Ho ritrovato dopo tanto tempo quel nastro dove diversi anni fa, un pomeriggio che io e la pulcina, allora treenne, decidemmo di giocare all'intervista, registrammo le nostre voci. Il gioco, che poi ripetemmo un altro paio di volte, consisteva nel mio intervistarla, con tanto di microfono, chiedendole di raccontarmi cosa aveva fatto all'asilo, cosa le piaceva mangiare, se mi raccontava una fiaba o mi diceva la filastrocca di Natale appena imparata a memoria, e lei che tutta impettita rispondeva e chiacchierava senza freni, tenendo tra le mani quel microfono fucsia del registratore di Barbie come vedeva fare in tivù, beandosi un mondo del suo nuovo ruolo di star. Lei stessa ha ritrovato il nastro, mi ha chiesto cosa fosse e naturalmente ha voluto subito ascoltarlo. E' stato buffo sentire quella vocina che usciva fuori dallo stereo, mentre la decenne di adesso rideva alle cose strampalate dette da lei stessa un bel po' di tempo fa. Ho riso e mi sono anche commossa, ma purtroppo mi sono accorta che non ricordavo più la sua voce. Ricordavo perfettamente il pomeriggio in cui incidemmo il nastro, noi due sedute sul divano, l'atmosfera, i colori, forse anche i nostri abiti. Ma non ricordavo più il suono della sua voce: quella piccolina che chiacchierava al microfono poteva essere chiunque. Ho riconosciuto il suo modo di parlare, alcune sfumature particolari, le risatine, ma la voce l'avevo dimenticata. Penso che sia assolutamente normale, soprattutto in una famiglia dove non ci sono filmini da riguardare e riascoltare e dove quindi non si ha l'abitudine a rivedersi come eravamo con voci e movenze, ma ci sono rimasta male lo stesso. Avrei pensato che una mamma si dovesse ricordare ogni minima inflessione della vocina della sua bimba, anche dopo anni. Non è stato così e credo di dover metabolizzare questa delusione nei confronti di me stessa. Adesso basta lagne però, mettiamoci a scavare e guardiamo di seppelire nel terriccio insieme ai bulbi anche questa stupida malinconia, che a primavera si trasformerà in un tripudio di colori. Magari proprio per la festa della mamma.

domenica 15 novembre 2009

Oggi sposi

Uno degli ingredienti della ciofeca che ho miseramente fatto di recente era la farina gialla, e se da un lato quel pacco praticamente intero che ogni giorno mi guardava dal ripiano della dispensa me la faceva tornare impietosamente alla mente, dall’altro mi metteva una gran voglia di utilizzarla in qualche modo. Benché queste giornate umide e fredde sarebbero state proprio l’ideale per un buon piatto di polenta, l’idea non mi ispirava abbastanza, e il pacco di farina gialla continuava ad attendere. Fino al momento in cui ho deciso di trarre ispirazione dalla suddetta ciofeca, che altro non era che una torta di pere caramellata, per modificare una semplicissima torta di mele e renderla un po’ diversa. O la va o la spacca. Beh, dal forno stavolta è uscita una torta perfetta, dolce e aromatica, con quella leggera granulosità della farina gialla che si sposa perfettamente con la morbidezza delle mele. Che importa se il matrimonio originale prevedeva le pere, tanto non avevano ancora pronunciato il fatidico sì.

Torta di mele gialla al profumo di cannella

Ingredienti:
due mele
due uova
150 gr. zucchero
120 gr. farina 00
60 gr. farina gialla
75 ml. latte
burro
un cucchiaino di lievito
cannella in polvere
miele di acacia
Grand Marnier

Preparazione:
Versare lo zucchero e le uova in un recipiente a sponde alte e frullare con le fruste elettriche fino ad ottenere una crema chiara e gonfia. Ridurre la velocità e incorporare la farina bianca e quella gialla, il lievito, il latte ed un cucchiaino raso di cannella in polvere. Imburrare ed infarinare una tortiera e versarci il composto. Sbucciare le mele, tagliarle a fettine ed infilarle nell’impasto a raggiera, fino a ricoprire tutta la superficie. Spolverizzare con un cucchiaio di zucchero e qualche fiocchetto di burro. Cuocere in forno caldo a 180° per circa 45 minuti, fino a che la superficie sia ben dorata. A fine cottura far sciogliere in un pentolino un cucchiaio di miele con uno di Grand Marnier allungando con un goccino di acqua e cuocere per un paio di minuti per far evaporare l’alcool. Togliere la torta dal forno e spennellare subito la glassa al miele su tutta la superficie. Servire tiepida.

mercoledì 11 novembre 2009

C’era una volta un gancio

Un gancio in fondo è poca cosa. Sulla scala dei valori del ferramenta perfetto si trova nella minutaglia, poco sopra alle puntine da disegno e sotto ai bulloni ottonati. Più o meno a metà classifica, come le squadre di calcio così-così, quelle senza lode né biasimo, che a fine campionato ce la fanno a sbarcare il lunario senza essere retrocesse ma che oltre ad essere ben lungi dall’approdare in zona scudetto neppure arrivano a sfiorare la Champions (e qui sarà bene smetterla con gli sproloqui calcistici perché le mie conoscenze specifiche non vanno molto oltre e rischio lo sfondone). Una mezza tacca insomma, tra viti, chiodi e banalissime rondelle. Il semplice gancio metallico si trova lì, in uno dei tanti cassettini sulla parete del negozio di ferramenta. Destinato ad essere inchiodato alle umide pareti di bagni e cucine per sostenere accappatoi, asciugamani e canovacci. Eventualmente nascosto per l’eternità al buio dietro a un quadro, a far amicizia con ragnatele e moscerini. Financo utilizzato dietro le porte delle camere da letto per accogliere vestaglie, pigiamoni e le retine per capelli delle vecchie zie. Ma il destino, signori miei, si può stravolgere. Chi l’avrebbe mai detto che un umile gancio argentato destinato per nascita a ruoli banali sarebbe un giorno assurto al rango di portagioie? Oh, sì. Incredibile ma vero, una dozzina di semplici ganci metallici son stati trasformati dall’abile bacchetta magica del Galletto nel mio portacollane personale. Posizionati all’interno delle ante del mio armadio, divenuti nuovi dirimpettai di denim, velluto e merinos, eccoli pronti a sostenere questo nuovo ruolo così chic, ricoperti da innumerevoli fili di perle, catene, bagliori di strass e perline, nastri di tulle, nappe di seta e semplicissimi pendenti zen. Vuoi mettere? Pare che appena si è sparsa la notizia in ferramenta sia scoppiato un delirio di gossip tra gli esclusi. L’invidia, si sa, è una brutta bestia. Mai dire mai amici ganci, nella vita non bisogna mai perdere le speranze. Cenerentola insegna.

lunedì 9 novembre 2009

Un tranquillo weekend di suina

Erano già più di due settimane che tutti i bambini intorno alla picci, compagni di scuola, lupetti, amiche di danza, di catechismo e chi più ne ha più ne metta, stavano cadendo giù come mosche sotto i colpi della suina, e questo suo restarne illesa, continuando a far da portavoce tra la maestra e i malati per compiti e altre amenità scolastiche, saltellando come un grillo, mi pareva sinceramente una posizione molto traballante. Lo percepivo insomma come uno stato di grazia destinato a durar poco. Ovviamente mi sono tirata la fiatata da sola, perché da sabato sera facciamo parte della nutrita schiera di famiglie italiane con figli febbricitanti squassati da colpi di tosse che nemmeno l'orco di Tolkien. Continuo a ripetermi che alla fine si tratta solo di una influenza, che tra qualche giorno sarà passata e buonanotte al secchio, ma devo ammettere che tutto questo allarmismo di giornali e televisione è riuscito a farmi venire un po' d'ansia. Così, mentre lei si bea di questo status privilegiato, sdraiata sul divano in compagnia di libri e dvd e la fantasmagorica prospettiva di alcuni giorni senza scuola, libera di programmarsi i pomeriggi a suon di Nintendo e puntate registrate del Falco e la Colomba, io la osservo di sottecchi, sbircio, controllo, studio, attenta al colorito, agli occhi lucidi, alla temperatura. E non mi riconosco. Mai stata impensierita dalle sfebbrate, dai mal di gola o dalle scarlattine, mentre a questo giro avverto nettamente un po' di timore. Quando si dice la potenza dell'effetto mediatico.

giovedì 5 novembre 2009

Un po' pane, un po' pizza

Lo avevo detto subito a questa fata dalle mani d'oro che avrei provato a rifarlo. L'idea di un pane al sapore di pizza mi stuzzicava parecchio, da usare come snack, per farci panini, tartine o semplici fettunte. E poi una che mangerebbe Margherite a colazione, Napoli a pranzo e Capricciose a cena non poteva certo farsi scappare questa intrigante ricettuzza. E se manca il tempo per impastare non c'è problema, la mia fedele aiutante ha provveduto a tutto, mentre io mi arrampicavo sulle ripide pareti del Cervino di panni da stirare che staziona perennemente in casa mia. Così mentre sbuffavo in sincrono col ferro a vapore, dalla macchina del pane ha cominciato ad uscire un meraviglioso aroma di pizza. Il tempo di far intiepidire un po' quel bellissimo pane dal caldo colore aranciato, che io e la picci lo abbiamo subito inaugurato con un giro d'olio d'oliva e qualche fettina di bufala campana. Una meraviglia.

Pan Pizza

Ingredienti:
un barattolo di pomodori pelati da 350 gr.
25 gr. lievito fresco
200 gr. farina 00
200 gr. farina Manitoba
200 gr. semola di grano duro
un cucchiaino di zucchero
due cucchiai di olio extra vergine di oliva
sale e origano (da inserire successivamente)

Preparazione:
Versare tutti gli ingredienti insieme nella macchina del pane, senza aggiungere acqua (il liquido dei pelati è sufficiente). Selezionare una cottura normale e una doratura media. Quando la macchina emetterà il caratteristico beep di aggiunta ingredienti, versare un cucchiaino colmo di sale e abbondante origano.

lunedì 2 novembre 2009

Paura

In autobus è impossibile non ascoltare le conversazioni altrui, soprattutto quando parlano proprio accanto a te ed hanno un'età che tra non molti anni sarà quella di tua figlia. Ti incuriosisce sempre guardarli, osservarli, i gesti, le movenze, vedere che per molti aspetti non sono poi diversi da come eri tu alla loro età, mentre per altri li senti lontani anni luce. Un lui ed una lei, amici, liceali, intorno ai sedici anni, curati, carini. Lui le chiede cos'è successo poi l'altra sera. Le non sa, non ricorda, era in botta, ricorda solo dei flash. Lui le chiede se aveva bevuto molto, lei risponde tre birre, lui dice che non era poi molto. Poi le chiede se dopo la birra ne aveva presa, lei risponde di sì, che non ricorda niente di ciò che è successo dopo, solo degli sprazzi, quando ha cominciato a calare, che non sa cosa ha fatto né come ha fatto a tornare a casa. Lui ridendo dice che allora lo chiederà a Matteo, magari lui se lo ricorda. Ride anche lei. Poi vanno avanti, devono scendere alla prossima, un noiosissimo lunedì mattina di scuola li attende. Non si accorgono di quella donna di mezz'età che resta seduta, immobile, lo sguardo perso nel vuoto. E' una madre terrorizzata.

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