giovedì 30 aprile 2009

Da me a te

Quando me lo sono ritrovato tra le mani e l'ho guardato, identico a come lo ricordavo, con quella foggia un po' antiquata e quella minuscola catenina d'oro che circonda l'acquamarina, nella quale ho trovato anche un po' di polvere e di tempo, i miei occhi si sono appannati senza che nemmeno me ne accorgessi e hanno deciso di fare da soli, infischiandosene della mia volontà, producendo un paio di lacrime tonde che dal bordo delle mie ciglia si sono tuffate direttamente sul velluto consunto e sciupacchiato della scatolina che lo conteneva. Eccolo lì il mio anellino, quello che mi fece spalancare gli occhi e la bocca e restare lì a guardarlo ammutolita quando lo ricevetti in dono dai miei nonni. Io che a quell'età al massimo mi ornavo le dita con il foglietto argentato che sfilavo dal pacchetto di Muratti di mia madre, arrotolandolo e legandomelo intorno all'anulare, ero diventata improvvisamente proprietaria di un gioiello, un gioiello vero. Quanto l'ho amato quell'anellino, amore mio, indossandolo solo nelle occasioni più importanti perché non si sciupasse troppo, fino al giorno in cui il mio dito è cresciuto e l'anellino è stato messo a dormire nella scatolina. La cosa che mi ha più sorpresa, ed emozionata, è stato il ricordo nitido del pensiero che ebbi quando lo riposi per sempre, di come senza nemmeno essere sfiorata dall'idea di venderlo per comprarmi qualcosa di più adatto alla mia nuova misura di dito, pensai che un giorno l'avrei regalato a mia figlia, con la matematica certezza che avrei avuto una figlia. In effetti, è stato proprio così ed eccomi qui puntuale all'appuntamento che avevo fissato con me stessa una trentina di anni fa, davanti alla scatolina aperta, a tirar fuori dal suo letargo l'anellino, pulirlo, lucidarlo, infiocchettarlo e donartelo con tutto il mio cuore. Così, un pezzettino di me sarà sempre con te.

lunedì 27 aprile 2009

Fili di parole

Voglia di scrivere, di buttar giù parole, di farle uscire una ad una, in fila indiana e inanellarle tutte come perle da infilare in una collana lunga, lunghissima, da girar tre volte intorno al collo, che si porti via quel filo d’ansia, quel batticuore, quel nodo nel respiro, quel broncio strano che mi ha già stufato ma del quale non riesco a liberarmi. Bisogno di dire, di raccontare, non so nemmeno io che cosa, ma qualsiasi cosa andrà bene, perché quando scatta questa voglia la si può placare solo soddisfacendola, come quando verso mezzogiorno ti prende quel languorino che ti mangeresti un bufalo con tutte le corna o come una donna incinta che nel cuore della notte spedisce il maritino a farle una fritturina di pesce, che questa marca di mariti poi mi devono spiegare dove la si compra, così dolci e zuccherini che dopo un’ora mi sarebbe già venuta una carie. Così parto per non sapere neppure dove arrivare, salgo su un treno a caso per scendere a Roma oppure a Torino, ma il viaggio mi avrà fatto bene, mi sarò svagata, guardando dal finestrino quel panorama che scorre via veloce e sembra sempre uguale ma che a ben guardare è così diverso, fiumi, casolari, colline, pianure e campanili, ce n’è per tutti i gusti. Ci son talmente tanti binari che attraversano questa tastiera, che uno qualsiasi andrà benone, oppure cento tutti insieme. Potrei scrivere del girovagare alla Mostra dell’Artigianato di sabato scorso, mentre tenendo per mano la pulcina nei padiglioni affollati ci siamo incantate a guardare le meraviglie dello stamping, abbiamo dibattuto su quale fosse la fantasia più carina di una tovaglia provenzale e ci siamo ipnotizzate a guardare tutte le varietà di sale che esistono sulla faccia della Terra, da quello di Guérande a quello nero delle Hawaii, da quello rosa dell’Himalaya a quello con le alghe, da quello con le rose di Persia a svariati altri, che li avrei voluti comprare tutti e poi alla fine, come spesso succede in questi casi, non ne ho comprato nessuno. Potrei dire della grigliata dei comunicandi di domenica, che si è tenuta lo stesso nonostante la pioggia, con qualche coraggiosissimo babbo che si è dedicato alla carbonella, incastrando i barbeques sotto una specie di impalcatura per non bagnarsi troppo e finendo comunque fradicio, puzzolente e stranamente sorridente, che quando si sta bene tutti insieme, grandi e piccini, accomunati da una salsiccia e un’insalata, ci si accorge che basta davvero poco per far di una domenica un giorno di festa. Oppure del come mai ci siano stati nuovamente dei disgraziati che domenica sera nei pressi dello stadio si sono rincorsi e menati e anche di peggio che poi sembrava un film tra ambulanze e macchine della polizia ma non lo era, e tutto per le solite maglie, che stavolta erano viola e giallorosse ma potevano essere celesti, bianconere, rossonere e la sostanza non sarebbe cambiata, e della strana casualità che fa accadere queste tristi vicende solo se c’è di mezzo un pallone sferico mentre invece quando la palla è ovale nascono solo episodi di solidarietà e rispetto. Scriverei anche dell’inaspettata mail che stamattina mi ha comunicato di aver vinto un premio per questi ricordi di bianco e di magia, e di come io abbia pensato che in effetti per scrivere qualcosa che abbia un senso spesso non si debba arrampicarsi sugli specchi ma basti chiudere gli occhi e raccontare col cuore. Parlerei anche di questi giorni strani e frenetici in azienda, dei cambiamenti che stanno avvenendo, dei fogli e delle firme che tra poco scorreranno veloci sulla carta e che Dio ce la mandi buona e senza vento, che nonostante tutte le rassicurazioni io mi sento molto San Tommaso e che per cantar vittoria sono sicura che ci sarà tempo. Sì, direi di tutto questo, o forse no, di altro ancora, va bene tutto. L’importante è tirar fuori le parole, una dopo l’altra, e metterle in fila.

mercoledì 22 aprile 2009

La volata

La volata non è quella dei ciclisti, che verso fine gara saltano in avanti come razzi e dopo una pedalata a motore acceso tagliano il traguardo esultanti. La volata in casa nostra è quella che prendo io quando mi arrabbio con te come ieri sera. E' vero che a quell'ora siamo stanche e nervose entrambe e mi dico sempre di contare fino a dieci, ma in certi casi non basterebbe neppure contare fino a mille, e così sento il plop dell'ultima gocciolina che fa traboccare il vaso e invariabilmente esplodo. Non sono una mamma cattiva o sbagliata, nonostante i miei tanti difetti sono sicura di questo, ma ritengo davvero importante insegnarti il rispetto, in un mondo che, a partire dalla scuola purtroppo, non conosce praticamente più il significato di questa parola e, forse, è proprio per questo che ti risulta così difficile impararlo. Se è vero che ridiamo, giochiamo, ci abbracciamo e scherziamo tanto, è anche vero che io sono e resto tua madre e tu sei e resti mia figlia, e certi limiti non si possono e non si devono travalicare mai. Posso essere la tua confidente, il tuo sostegno, la tua spinta e il tuo rifugio, ma l'amica è meglio farla fare alle tue amiche. E quando tua madre ti dice di no tu dovresti fermarti lì, incupendoti magari, lottando con le lacrime forse, dandomi pure della cattiva, ma un no dovrebbe poter essere sufficiente. Ma tu insisti, insisti fino allo spasimo, rispondi male e ribatti all'infinito. Una jena con la plastica. Ed è lì che io perdo le staffe e poi vien giù la casa, scattano le punizioni e la serata volge al grigio scuro, anzi facciamo pure al nero. E mentre tu mi guardi come si guarderebbe un ufficiale delle SS che ha appena decretato una condanna a morte, io soffro in silenzio e inizio a farmi mille domande. Avrò sbagliato, sarò troppo severa, sarò troppo cattiva. Non so se noi due siamo più uguali o più diverse, se questo prenderci di punta come due guerrieri armati di lancia che si corrono incontro fino al clangore delle armi ci renda peggiori, o migliori. Con te è sempre stato così, tutto bianco o tutto nero, fin da piccina, o eri serena come un angioletto o strepitavi come un'aquila. Tu vai a letto arrabbiata, io mi metto a tagliar nastrini tesa, triste e nera come la notte che ci avvolge. La mattina arriva e la volata nel frattempo è sbiadita, è passata. Ci abbracciamo e bastano poche parole. Pace? Pace.

lunedì 20 aprile 2009

Di bancarelle, collane e scarpe color ciclamino

L’ho già detto in più di un’occasione che lo shopping è terapeutico, e in questi periodi di vacche magre può bastare anche solo curiosare tra le bancarelle del mercato, che perlomeno ti lasciano toccare, frugare, misurare e soppesare ad libitum, senza che nessuna commessa-avvoltoio ti si piazzi sulla spalla chiedendoti con voce suadente cosa desideri, ché in quei casi la risposta che mi sale automaticamente alle labbra, e che trattengo con grande fatica, è che si levi dalle palle, perché perlomeno per quanto mi riguarda niente riesce di più a bloccare i miei freni inibitori all’acquisto della commessa che mi chiede melliflua cosa voglio. E’ per questo che non riesco quasi mai a fare acquisti nei negozi tradizionali, preferendo grandi magazzini, outlet, centri commerciali e compagnia bella, perché odio dover dire cosa cerco quando a volte non lo so neppure io, che sono semplicemente alla ricerca di ispirazioni, di miraggi e di sogni. Cosa ne può sapere una commessa in tailleur dell’acrobazia che ho in mente di fare, in equilibrio precario con un piede su quella giacchina tanto carina che ho visto sfogliando il giornale e l’altro sull’estratto conto della carta di credito? Nulla. Così, faccio da sola, grazie. E la libertà che mi dà il mercato è davvero preziosa, girovagare da un banco all’altro senza una meta precisa, inseguendo un colore, una voce, un cartello, di quelli scritti a pennarello su un pezzo di cartone triplex strappato da un imballo, che spesso mi fanno sorridere perché magari sul banco c’è il campionario di Max Mara ma il venditore ambulante cosa vuoi che ne sappia che i fuseaux che lui scrive fuson adesso si chiamano leggings. Così passo di banco in banco come un’ape sui fiori, a volte volando via veloce perché quello che credevo un fiore era solo una macchia di colore, a volte soffermandomi a tempo indeterminato facendo scorpacciata di nettare che mi porto a casa come una ladra il suo bottino, avvolto in tanti sacchetti colorati. Stavolta è stato un mercato ricco di fiori che ha richiesto davvero un budget limitatissimo, e a maggior ragione vado orgogliosa delle mie prede. Una maglietta, un bikini e un paio di Crocs rosa per la pulcina, che alla fine hanno conquistato anche me. Due magliette nere che il nero sfina, una collana Chanel che di originale non c’ha neppure il moschettone ma che mi fa sentire tanto Nicole Kidman e un paio di scarpe color ciclamino che mi si vedrà arrivare da un chilometro di distanza ma d'altronde, da brava ape che si rispetti, mi sono innamorata del fiore dal colore più sgargiante. Vallo a spiegare a una commessa.

venerdì 17 aprile 2009

Work in progress

Qualcosa bolle in pentola, questo è poco ma è sicuro. Molte cose insieme, direi, praticamente un minestrone, di quelli della nonna, dove se ne approfittava per ripulire il frigo e la dispensa dagli avanzi, ma sì mettiamoci anche questo, che quel che non ammazza, ingrassa. Ma il coperchio è ben chiuso, sebbene qualcosa ovviamente si respiri nell’aria, si dica, si mormori, si vociferi. Cioè, a dirla tutta il cambiamento in ufficio ci è già stato annunciato qualche settimana fa, non preoccupatevi perché le cose non potranno che andare a migliorare, ci saranno cambiamenti, modifiche, nuovi ruoli e chissà cos’altro, saprete tutto al momento opportuno. Momento che si sta avvicinando a passi da gigante, e ogni ora arriva un nuovo ho sentito dire, secondo me, credo che. Come al solito la verità starà nel mezzo e se anche non saranno tutte rose e fiori penso che ci saranno anche i risvolti positivi, l’importante sarà restare a bordo, perché quando da una nave ci si trasferisce a bordo di un’altra mentre si è in pieno oceano c’è sempre il rischio di scivolare e di finire in mare, magari senza neanche il salvagente. Ma forse sono io che la vedo troppo nera. Fatto sta che per una come me, che anche quando ha una torta che cuoce nel forno non può stare ad aspettare il drin del timer ma va a sbirciarne la cottura ogni due minuti, è difficile star tranquilla ad aspettare gli eventi, soprattutto quando all’orizzonte ci sono ancora quelle nuvole basse e non si riesce a capire se le previsioni meteo annuncino una bonaccia o un fortunale. Così, tesa e piena di incertezze, butto nella pentola anche gli altri lavori in corso, che tutto fa brodo. Ci infilo le bomboniere della pulcina che sera dopo sera, anche se farei meglio a dire notte, stanno lentamente prendendo forma; ci butto il libro che sto leggendo che si sta rivelando un vero toccasana per il mio umore, facendomi scoppiare a ridere nei momenti più inconsueti, come stamattina in bus quando mi hanno guardata come si guarda una pazza; ci metto il cambio degli armadi iniziato e lasciato a metà che in camera da letto sembra scoppiata una bomba; ci aggiungo pure la ricerca del sacco a pelo perduto, che da un paio di giorni avviene a tarda sera nel pollaio, per adesso senza esiti, anche se entro stasera sarà bene che l’oggetto scomparso venga ritrovato perché la pulcina domattina deve partire per il campo scout di primavera e senza il sacco a pelo la vedo dura. La pentola seguita a bollire. Io ci ho messo dentro tutto quel che avevo. E speriamo che, quando il coperchio finalmente si solleverà, il fatto che la gallina vecchia faccia buon brodo non sia solamente un proverbio.

martedì 14 aprile 2009

I giorni di Pasqua

I giorni di Pasqua sono uno spiffero, un colpo di vento. Ti distrai un attimo, e son già passati. Non come le feste di Natale, che quando arrivi a Santo Stefano sei ancora lì che te la godi in attesa di San Silvestro e il sorriso non ti abbandona neppure a Capodanno perché dietro l'angolo c'è ancora la Befana. No, i giorni di Pasqua sono niente di più che un misero fine settimana lungo, ma il fatto che passino così velocemente non mi convince mai, mi lascia sempre un po' di amaro in bocca e la sensazione che mi abbiano defraudato di qualcosa. Così lo sguardo cade al calendario e malgrado il venticinque Aprile quest'anno cada di sabato, mi rincuoro all'idea del ponte del primo Maggio che non è poi così lontano. Per far cosa, poi, non si sa. Visto che ho appena trascorso una Pasquetta chiusa tra le mura domestiche dall'alba al tramonto, tenuta in ostaggio da una montagna di panni da stirare che avrebbe fato impallidire Messner, minacciata di morte da svariate lavatrici e da un cambio armadi che dovevo fare ma che come da classicissimo copione non sono riuscita neanche a incominciare. Il Galletto dice che sono troppo lenta, che ci metto una vita a far tutto, che dovrei organizzarmi. Al di là del fatto che non faccio altro che correre, ci sta che abbia ragione, che sia una questione di organizzazione, me se non sono riuscita a farlo nei primi quarant'anni e spiccioli della mia vita, dubito che ci riuscirò adesso. Comunque, in quei piccoli spiragli tra un colpo di detersivo e uno di aspirapolvere, sono riuscita anche a farmi fare una sessione completa di parrucco, che quando ce vò ce vò, e ce voleva proprio, a passare un paio d'ore nel verde mentre la Pulcina e sua cugina partecipavano al consueto appuntamento con la caccia alle uova, tradizione del ramo americano della famiglia che mia suocera organizza perfettamente ogni anno, a condividere un pranzo pasquale ricco di chiacchiere e risate e a dare il benvenuto in casa mia a una nuova orchidea bianca screziata di viola che è una meraviglia. Insomma, sono giorni brevi come uno spiffero o un colpo di vento, ma io di sicuro li ho farciti bene.

venerdì 10 aprile 2009

Cinquantamila

Cinquantamila click. Cinquantamila contatti, Cinquantamila cucù. Cinquantamila questa è fuori di testa. Cinquantamila mi riconosco in quello che scrivi. Cinquantamila ma chi se ne frega delle tue beghe. Cinquantamila mi piaci. Cinquantamila passaggi, soste, pit stop. Non son certo pochi. E' un numero che anche quando erano Lire aveva il suo bel perché. Anche i baci si son fermati a ventiquattromila e i Mille, che pur erano tanti, son poca cosa al confronto. Io sono qui che guardo il numerino inebetita ed estasiata, non capacitandomi ancora che ci sia qualcuno che faccia questa sosta nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Eppure, a volte mi vien detto che è proprio così. E allora, non posso fare a meno di dire cinquantamila grazie, sinceri, profondi, che scriverei pure, tutti e cinquantamila, uno dietro l'altro come le punizioni alla lavagna, ma sarei un tantino ripetitiva e mi beccherei pure cinquantamila ma che noia questa Gallina. Mi limito quindi a deporre tante, coloratissime uova, visto che siamo anche in tema, una per ogni click. Quante? Ma cinquantamila, of course.

martedì 7 aprile 2009

Prove tecniche di trasmissione

Sarà la primavera, chissà, o forse solo la stanchezza accumulata durante i mesi invernali che stenta a sciogliersi sotto i raggi del sole, e mi ritrovo così, appannata come un vetro, con la voglia di passarci un dito sopra e farci un ghirigoro o magari solo scriverci ti amo. Questo senso di nebbia non se ne va e mi accompagna ormai da molti giorni, un'inquietudine latente che mi si appiccica alle spalle e nonostante le spallate non riesco a scrollarmela di dosso, una vespa insistente così attratta dal mio profumo che non c'è verso di farle cambiare rotta. Però ci si prova. Rovistando nell'armadio alla ricerca di qualcosa che non sia lana e non sia nero e si indossa trionfante un bianco e fucsia che mette allegria solo a guardarlo con tanto di collanona in tinta in tulle e crochet. Ci si prova cercando di non annegare in questo fiume di notizie di morti e devastazioni, dove il giornalismo e la ricerca incessante della notizia spesso rasentano lo sciacallaggio mediatico, che ad un certo punto ho dovuto spengere la televisione perché mi sembrava di sentir tremare il pavimento quando era soltanto il mio cuore, e finalmente, nel silenzio, ho pregato. Ci si prova con un po' di shopping-terapia, che anche se i cordoni della borsa in questo periodo sono ben stringati, una mise ad effetto per il giorno della pulcina era necessaria, ed essendoci riuscita coniugando uno splendido completo pantalone in shantung di seta di un meraviglioso colore indefinito tra il tortora e lo champagne con un ammontare totale che non arriva agli ottanta euro mi sento come se mi avessero messo la collo la medaglia d'oro del Low Cost. Ci si prova trasformandosi in tipografa notturna, guardando uscire dalla stampante i cartoncini avorio freschi di stampa, imbustando, scrivendo gli indirizzi in bella calligrafia e infine applicando i francobolli, che da quando li hanno fatti autoadesivi non mi danno più soddisfazione. Ci si prova organizzando i prossimi giorni, regalini da inserire nelle uova di gallina, che benché di cartone sono sicuramente più dolci di quelle di cioccolata, un cestino da preparare per la caccia alle uova di sabato, un paio di Messe tanto per gradire e infine un pranzo pasquale da condividere in famiglia. Forse la nebbia non si dissolverà, ma sto facendo di tutto per ignorarla.

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