venerdì 30 maggio 2008

Maggio diVino

Anche se non fa certo rima con vendemmia, Maggio è tutto un susseguirsi di degustazioni, wine tour, feste del vino e verticali, alle quali talvolta partecipo nella veste di principessa consorte, lasciando al re-Galletto tutti gli oneri e naturalmente gli onori, osservando un po' in disparte questo mondo rosso rubino che mi affascina così tanto ma al quale non mi sono ancora arresa. Pochi giorni fa, nell'occasione di Cantine Aperte, abbiamo trascorso una meravigliosa giornata immersi nei vigneti ondulati che circondano la bella Montalcino, mentre il sole ogni tanto giocava a nascondino tra le nuvole tingendo di una bellissima luce dorata i filari, le mura di pietra, i cipressi orgogliosi, e all'interno di cantine fresche e secolari centinaia di barriques giacevano addormentate sotto le volte romanticamente illuminate dai lampadari in ferro battuto. Il Galletto roteava il Brunello con una cura quasi riverenziale e una fiammella di amore nello sguardo, la picci correva nei prati di velluto smeraldo giocando con cani e bombi ed esibendosi in ruote disordinate, la Gallina si perdeva in tutto ciò, inalando profumi, respirando colori, osservando le rose, le vigne, il sole, l'amore.

Osservo una rosa bianca in testa al filare, femminile e sinuosa come una polena, ad indicare la via ai naviganti in questo mare di vino, profumato, inebriante, prezioso, mentre sorvegliata dagli alti cipressi volgo il mio sguardo verso Montalcino.

giovedì 29 maggio 2008

La bestia bianca

Chissà se arriverà mai la possibilità di scrivere al pc direttamente con la sola forza del pensiero. Se così fosse stanotte avrei potuto scrivere un libro, mentre mi rigiravo incessantemente tra le lenzuola, vispa come un grillo. Per una che notoriamente cade svenuta tra le braccia di Morfeo non appena poggia la testa sul cuscino, e a volte anche prima, quando raramente mi capita di non riuscire ad addormentarmi mi ritrovo agitata e ansiosa a cambiare posizione ogni cinque secondi, a scalciare via le lenzuola, ad ascoltare il battito del mio cuore che chissà come mai in tutti gli altri momenti della giornata risulta assolutamente silenzioso ma che nel buio della notte rimbomba nelle mie orecchie come un tamburo da guerra. A nulla vale cercare di tenere ostinatamente gli occhi chiusi, ché la mia mente è ben accesa e proietta incessantemente pensieri e immagini come stessi guardando la tv. Penso alla scuola che sta per finire e al periodo difficile che ne conseguirà, come tutte le estati trascorse in città tra zanzare, centri estivi e temperature record. Penso a casa mia che tra non molto ormai riabbraccerò, ai pavimenti che hanno appena posato e che non vedo l’ora di vedere, chissà se tutto quel color sabbia non farà troppo effetto Sahara o bagno minimal chic. Penso che dovrei andare a trovare mia madre più spesso ma sono ancora in waiting list per il dono dell’ubiquità e poi a volte, diciamocela tutta che nel buio della notte non si sfugge alla sincerità, non ne ho proprio voglia, che ogni volta è una pugnalata. Penso al mio lavoro, che negli ultimi mesi è molto cambiato e si sta facendo sempre più stressante. Mi sorprendo a pensare in inglese, visto che le ultime due ore prima di spegnere la luce dell’abat jour le ho trascorse in compagnia di un libro in edizione originale che mi sta acchiappando parecchio e che evidentemente ha innescato qualche funzione linguistica strana nel mio cervello. Penso che domani pioverà e spero che perlomeno serva a mandar via quest’afa pazzesca che impera sulla città già da un paio di giorni, togliendomi il respiro e ogni forma di energia. Poi, finalmente, non so quando di preciso, la bestia bianca che mi ha accompagnata fino a quel momento se ne va e cado in un sonno profondo. Che fosse una pecorella?

lunedì 26 maggio 2008

Il quasi-compleanno

Nascere nel cuore dell'estate è sotto molti aspetti una fortuna, tranne il caso in cui si desideri festeggiare il compleanno con i propri compagni di classe. Si può optare per una festicciola con gli amichetti di spiaggia e i vicini di ombrellone, si può decidere per un barbeque notturno rinfrescato da anguria e ghiaccioli, si può perfino scegliere un divertente party in piscina, ma se si cerca di organizzare una festa con i compagni di scuola si può esser certi di andare incontro ad una delusione. I compagni di classe, perlomeno quelli della picci, già nella seconda metà di Giugno, pochi giorni dopo la fine delle lezioni, iniziano lentamente a migrare verso campeggi al mare, nonni in campagna e case in montagna, per diventare in Luglio e Agosto una specie praticamente estinta. Così, l'unica soluzione è giocare d'anticipo ed è qui che è nata l'idea del quasi-compleanno, giunto quest'anno alla sua terza edizione, come terza è la classe della pulcina che sta giungendo a conclusione. Se la prima edizione aveva coinvolto tutta la classe più qualche pesenza esterna tra amichette di danza e parentado assortito, dalla seconda edizione la pulcina ha preferito passare ad una festicciola più intima che vede coinvolti solo gli amici del cuore. Così, distribuendo gli inviti in segreto per non far torto agli esclusi, passando velocemente cartoncini di mano in mano all'uscita di scuola neanche fossi stata una spacciatrice, siamo giunti ai festeggiamenti del quasi-nono-compleanno che si è svolto accompagnando il branco di piccole jene ridens ad uno spettacolo teatrale interattivo, dove tanto per sottolineare il concetto dell'interattività hanno fatto recitare anche Gallina e Galletto, e il bello è che ci siamo diveriti anche noi come bambini, seguito da un'allegra merenda a base di chiacchiere, vispe Terese, risate, regalini e Happy Meal. Pulcina felice Gallina felice, che sembra un proverbio ma che è solo semplicemente la regola di ogni mamma. Sulla via del ritorno un'amichetta le confida con un pizzico di invidia che è proprio bello il quasi-compleanno, così si può festeggiare due volte. La pulcina sorride, si volta e mi guarda sorniona. Mi sa che è proprio vero. Sto già pensando alla versione ufficiale, quella sotto la tiepida luna di Luglio.

mercoledì 21 maggio 2008

Le giornate di emme

Le giornate di emme sono quelle che già di prima mattina capisco che gira storta quando il bus salta la corsa e arrivo in ufficio in ritardo e con la lingua a penzoloni. Sono quelle che la sera sono talmente stanca che andrebbe inventata una parola per descrivere quanto, ché anche stremata e disfatta non rendono abbastanza l'idea. Sono quelle che il Galletto va a Brescia per due giorni cosicché la sveglia nel pollaio suona implacabile alle sei e venti e la picci abbraccia la tazza di latte con gli occhi semichiusi come se fosse ancora il suo cuscino. Sono quelle che attraverso i vetri vedo la pioggia scrosciare e quando usciamo continua a piovere a catinelle e ci avviamo sul marciapiedi, due ombrelli accanto, uno grande e uno piccolo, camminando svelte tra pozzanghere e starnuti. Sono quelle che quando la deposito a scuola bagnata fradicia mi fanno maledire il mio non voler guidare la macchina. Sono quelle che quando arrivo al lavoro ho i mocassini irrimediabilmente bagnati perché ovviamente proprio il giorno prima avevo deciso di lavare le Nike e le altre sneakers chissà che fine hanno fatto tra la roba al cantiere e la roba accatastata nell'accampamento. Sono quelle che sulla scrivania si accumula di tutto, ordini e campionature, nuovi buyers, nuove aziende, scatole regalo e perfino gli hangtags da approvare e cogliendo di sfuggita la mia immagine riflessa nel vetro della finestra mi accorgo che la pioggia ha trasformato i miei capelli in una massa informe, mentre il telefono squilla e una mamma mi conferma che l’insegnante di matematica è stata sicuramente trasferita e già riparte il toto-maestra. Sono quelle dove lascio l'ufficio ben oltre il mio orario che mi porta a pranzare quando il resto del mondo sta già iniziando a pensare alla merenda e non riesco neppure a prendere il caffè perché devo riscappare sotto il temporale a riprendere la picci e portarla a danza e lungo il percorso compro mezzo chilo di pane da un fornaio diverso e pago due euro e trenta tanto per gradire, quasi cinquemila lire cazzo, praticamente un furto, e penso se sia il caso di chiamare i carabinieri. Sono quelle che arrivo a casa con la sigla del tg delle venti a farmi da colonna sonora e invece che preparare la cena preferirei un cazzotto in un occhio e la picci che stanca e nervosa risponde male a raffica e alla fine mi fa esplodere come una lattina di Coca Cola sciabordata a dovere. Sono quelle che mi guardo intorno e vedo la montagna di panni da stirare, i pavimenti da lavare e strati di polvere ovunque e so per certo che per altre ventiquattr'ore o forse più non potrò porvi rimedio. Ecco cosa sono le giornate di emme.

martedì 20 maggio 2008

Quando si dice ricredersi

Ieri sono incappata, o forse farei meglio a dire inciampata, in una svendita. Di già? Di già. Alla faccia dei regolamenti comunali, della data di inizio e dei cartelli in vetrina, si trattava proprio di un bella svendita di scarpe e sandali al quaranta per cento. Ah, vabbè, sarà stata roba del quindici-diciotto, i classici avanzi di magazzino. No davvero, caspiterina, la collezione primavera-estate duemilaotto in tutto il suo splendore. Impossibile resistere. Anzi, a dirla tutta non ha resistito neppure il Galletto, che normalmente preferirebbe una purga piuttosto che guardar vetrine e che alla parola saldi gli vengono le bolle. Così, nonostante avessi decretato solo pochi giorni fa che il mio parco scarpe estive fosse al completo, mi sono dovuta ricredere all’istante, ed ho aggiunto in garage due paia di sandali nuovi fiammanti, vernice nera che fa tanto bon ton e infradito gioiello per un pizzico di fashion. Le altre vetture presenti, seppure un po’ ingelosite dalle nuove arrivate, si sono strette un po’ e hanno fatto posto alle nuove compagne di squadra. D’altronde non credo sia umanamente possibile decretare il raggiungimento del numero massimo nel proprio parco scarpe, perlomeno nel mio, dove ci sarà sempre quel posticino in più. I pantaloni possono anche bastare ma le scarpe, quelle, non bastano mai. Del resto, visto che non guido l’auto, non è forse vero che consumo molte suole? E i ciabattini, ahimè, sono una razza estinta.

venerdì 16 maggio 2008

La medicina più bella

Vorrei con tutto il mio cuore che chiudesse per mancanza di clienti. Sarebbe bello ma, purtroppo, impossibile. Le malattie non guardano la data di nascita, l’età non importa, e colpiscono anche i bambini. Così, anche se nessuno vorrebbe mai dover posare lo sguardo su di un bimbo malato, devono esistere anche gli ospedali pediatrici, come quello che ho visitato qualche giorno fa con la picci. Niente di grave grazie a Dio, solo una visita specialistica di routine, ma chissà quanti cuori di bimbi sofferenti e intimoriti e di madri preoccupate e affrante che si nascondevano dietro tutte quelle porte e finestre. Pensavo a loro mentre aspettavo la nostra chiamata e riflettevo che se un posto così deve purtroppo esserci per forza, tanto vale che non sia solo efficiente come già lo era da tanti anni quello vecchio nel cuore della città, ma che sia anche bello, grande, colorato e divertente come lo è questo nuovo, inaugurato da pochi mesi nel verde della periferia cittadina, così grande da sembrare lui stesso una piccola città. Mentre percorro i corridoi il mio sguardo oltrepassa immense vetrate che mi proiettano tra prati e alberi secolari, ai muri grandi quadri dai colori allegri e vivaci, angoli-gioco dappertutto, animatrici sedute ai tavolini che intrattengono i bimbi a colpi di Uno, Lego e battaglia navale, perfino una maxi libreria per bambini ed altri negozi ancora in costruzione. Dall’alto piovono iridescenti bolle di sapone che i bambini cercano di acchiappare come fossero farfalle e alzando gli occhi vedo che una coppia di clown ne sta soffiando a centinaia dalla balconata, mentre da un corridoio laterale arrivano due musicisti e le tv a circuito chiuso trasmettono cartoni animati incessantemente. Che bello sarebbe se tutto si fermasse a questa girandola di colori e allegria, senza che dietro ad un muro o in cima alle scale dovessero esistere sale operatorie e terapie intensive. Poi guardo questi bimbi giocare e penso che se anche solo per un attimo tutto ciò riesce a strappare un sorriso ad un bimbo malato e gli accende negli occhi una scintilla di gioia, questo equivalga a un piccolo passo avanti verso la lotta, la sfida e la guarigione. Così sorrido e inizio anch’io a battere le mani a tempo con la musica. Grazie. Grazie dal cuore di una mamma.

martedì 13 maggio 2008

La prima notte

E così sei partita. Sorridente e semisommersa da uno zaino molto più grosso di te. Emozionata, anche, perché non è una cosa da tutti i giorni la prima notte fuori casa e a quasi nove anni l’emozione traspare dallo sguardo, dal fiume di parole , dall’argento vivo che accompagna ogni tuo movimento mentre aspettiamo sul marciapiede l’auto che accompagnerà te e altre lupacchiotte alla partenza del branco. Ci siamo, il momento è arrivato. Tu ti senti più grande. Io mi sento più vecchia. Sei felice. Io orgogliosa. Ci siamo fatte la promessa di pensarci reciprocamente quando staremo per addormentarci, tu infilata nel sacco a pelo dove nel buio il silenzio sarà rotto da risolini di bambini e parole sussurrate per rassicurarsi a vicenda , io nel solito lettone che domattina stranamente non accoglierà la pulcina in mezzo ai suoi genitori per la consueta mezz’ora di coccole domenicali e già sento questo vuoto come se fosse un intruso, uno sconosciuto da riaccompagnare in fretta alla porta, scusi sa ma ha sbagliato indirizzo. Quando chiuderò gli occhi ti penserò e ti augurerò una buona notte amore mio e se domani sera quando tornerai stanca e arruffata mi confesserai candidamente di essertene dimenticata non avrà importanza, perché in un piccolo angolo del tuo cuore io in questi due giorni sarò sempre stata con te.

lunedì 12 maggio 2008

Uffa

Uffa di questa casa che non è la mia, della polvere, dell’essere fuori dal mondo senza internet né telefono, cosa che non sopportano più neppure all’Isola dei Famosi. Uffa di non poter usare il pc perché è accatastato tra la tv e il divano e il Galletto perderebbe la concentrazione dai suoi amati film di tarda sera, così che mi ritrovo a scrivere queste parole con la vecchia penna che scivola sulla carta tenuta un po’ sbilenca sulle mie ginocchia piegate sul letto, illuminata dall’abat-jour mentre le palpebre si fanno pesanti. Uffa degli sproloqui di Sgarbi che urla come un fruttivendolo al mercato mentre Travaglio non si scompone e richiede garbatamente l’intervento della neuro-deliri, che avrebbe sicuramente il suo bel daffare se intervenisse per davvero. Uffa del toto ministri, del governo ombra e di quello in pieno sole, tanto continueremo ad arrivare a fine mese con sempre maggior difficoltà. Uffa dei soliti discorsi, fatti tanto per riempirsi la bocca, quando indipendentemente dal fatto che siano bianchi, rossi, neri, verdi, a pois o perfino a quadretti Vichy basterebbe solo che fossero onesti. Uffa a questa ristrutturazione del pollaio che si allunga all’infinito neanche fosse l’Opera del Duomo, misure sbagliate, muri storti e modifiche su modifiche, mentre un’altra stagione sta passando e le mie azalee stanno sfiorendo lontano dai mie occhi e dal mio cuore. Uffa al cambio degli armadi fuori casa e accorgersi che non si è portato poi tutto e che le sneakers della picci sono rimaste imballate al cantiere insieme a sacchi a pelo e zaini che a Gennaio non pensavo certo potessero servirci e che invece adesso si rendono indispensabili per l’imminente campo scout della pulcina. Uffa a queste giornate troppo piene, troppo stanche, troppo veloci, che la sera non ricordo neppure cosa ho mangiato a pranzo. Uffa. Che parola simpatica però, che fa bene anche solo a pronunciarla. E se fa bene, diamoci dentro per bene allora. Uffa, uffa e riuffa.

mercoledì 7 maggio 2008

L'elisir

Dopo una full immersion di due giorni nel regno della fantasia, che ci ha trasformati in un’allegra banda giocosa dove era difficile capire chi tra i grandi e i piccoli si stesse divertendo di più, è stata dura tornare alla realtà e ai ruoli che ci contraddistinguono. Le corse, l’ansia, lo stress. La mole di lavoro che nemmeno quella Antonelliana. Sarebbe bello poter prolungare anche nella vita di tutti i giorni quella spensieratezza che ci faceva correre da un’attrazione all’altra tra un bicchiere di pop-corn e uno spiedino di frutta, le gaie risate che accompagnavano la nostra battaglia a suon di fucilate d’acqua che ci hanno ridotti fradici e gocciolanti come naufraghi, gli occhi sgranati da bimbi ipnotizzati a guardare Peter Pan tuffarsi da un altissimo trampolino e uno stuolo di stunt-men alle prese con testacoda, fuoco e fiamme, le grida di gioia frammiste a paura al ritrovarsi lo stomaco in bocca durante le spericolate giravolte su un ottovolante che sembrava la rampa di lancio di Cape Canaveral, quella semplice voglia di nulla e di tutto, che ci aveva fatto lasciare problemi e preoccupazioni ben chiusi nel bagagliaio dell’auto nell’immenso parcheggio e sgombrato la mente come il cielo azzurro che ci sovrastava. Incredibile come sia possibile varcare un cancello a forma di maniero o castello e scordarsi automaticamente di tutto, prima fra tutte l’età, come se fare il biglietto equivalesse a bere un magico elisir ringiovanente di una trentina d’anni o più. Splendido. Altro che beauty farm, due giorni di questo tipo valgono più di qualsiasi centro Mességué, perché quello che riescono a tirar fuori è proprio il bambino che è ancora dentro, quello vero, che si meraviglia e si diverte a bocca aperta, e sogna e ride e vive. Altro che spianare un paio di rughe. E non è vero che ci si fa l’abitudine, che son tutti uguali. Anche se non era certo la prima volta, è la magia che è sempre nuova e sorprendente, che mi lascia così, un po’ malinconica e un po’ delusa quando se ne va, ma felice di sapere che basta poco, molto poco, per aprire il cassetto e far uscire la pulcina che è dentro di me. Un ingresso a castello, una sorsata di elisir, e il gioco è fatto.

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin