giovedì 29 novembre 2007

Corsi e ricorsi

Correva l’anno 1978 e la Gallina, all’epoca poco più che pulcinotta, impazziva per Danny Zuko dal ciuffo ribelle, si sentiva molto Sandy Olsson biondina e perfettina, mal sopportava Betty Rizzo e il suo rossetto vermiglio e le cascavano le lacrime ascoltando “Hopelessly devoted to you”, anche se il testo era ancora un mistero. Corre l'anno 2007 e la pulcina adora lo sguardo azzurro di Troy Bolton, si impersona nel dolce sorriso di Gabriella Montez, caverebbe un occhio alla ricca Sharpay Evans e piange disperata mentre ascolta "Gotta go my own way", anche se il testo resta ancora un mistero. La Gallina assiste, si commuove anch'essa e ricorda, quanto ricorda. Da Grease a High School Musical. Benché siano passati quasi 30 anni e il mondo purtroppo o per fortuna non sia più lo stesso, fa bene al cuore vedere come certe cose non cambino mai.

mercoledì 28 novembre 2007

Che la festa abbia inizio

Facciamo un calendario dell’avvento? ti ho chiesto all’uscita da scuola mentre pigolavi di verifiche di matematica e pasta scotta alla mensa scolastica. I tuoi occhi sgranati e felici mi hanno risposto di sì prima ancora che la parola ti uscisse dalle labbra piegate all’insù come una mezzaluna. L’ispirazione ce l’ho avuta sul momento, senza preavviso. Forse la voglia che i festeggiamenti avessero inizio comunque, ché ce la metto sempre tutta affinché i tuoi Natali siano migliori di quanto lo sono stati i miei. E il desiderio di vivere insieme a te questi giorni così speciali, respirare la tua allegria, ritornare bambina, divertirmi con te, tra bambin Gesù che spariscono dalla capanna per trasformarsi nel bebè della Barbie e tazzine di latte e biscotti da lasciare in cucina per rifocillare quel vecchietto vestito di rosso che puntualmente atterra sempre nel nostro giardino. Così, tappa in merceria, cartoleria e allestimento del laboratorio sul tavolo del soggiorno. Colla, pennelli, tu che sveltissima fai gli esercizi di italiano, ché la regola impone prima i compiti e poi giocare e niente fa eccezione cara mia, neanche il Natale. Un’altra pennellata di verde, incolla meglio che si stacca, io che taglio il nastro a occhio, tu che semini brillantini e stelline, ancora una e poi un’altra e un’altra ancora. Le bustine le lasciamo aperte mamma? Certamente, così Babbo Natale e i folletti possono lasciarci dentro qualcosa quando passano. Oh. I tuoi occhi brillano come smeraldi, io resto seria e dico chissà. Stamattina il tuo grido è rimbalzato nel silenzio delle sette fatto di pantofole, schiuma da barba e caffè. Mamma, è passato! Le bustine chissà come sono piene e sigillate, alcune gonfie e ben farcite, altre leggere come petali. Poi voli alla finestra e quello che altro non sono che foglie e terriccio sparsi dal vento diventano magicamente impronte di renne che riconosci con certezza assoluta. E’ venuto con la slitta, mamma, ne sono sicura. Se è per questo, amore, ne sono sicura anch’io.

lunedì 26 novembre 2007

Gelatoterapia

Fuori stagione, ma che importa. Anzi, è stato proprio lì il bello, quel leggero senso di trasgressione e controtendenza che mi ha fatta sentire unica e diversa. Sì, mentre il resto del mondo dava i primi morsi a torrone e ricciarelli io mi son goduta un superbo cono di gelato. E che gelato. Appollaiata su uno sgabello, leccando come una bambina e come tale procurandomi due bei baffi color pistacchio e una sgocciolatura sul cappotto, me lo sono gustato fino in fondo, rapita e trasognata, mentre i pensieri fino a quel momento arruffati come i miei capelli iniziavano a prendere forma, a mettersi in fila, ordinati e con la messa in piega. Perfettamente addomesticati. E il merito è stato tutto di quel cono, chissà che non fosse il cappello di un mago rovesciato visto il risultato. Ma la magia era al suo interno, ché un gelato così io mica l’avevo mai mangiato. Dopo la prima leccata ho capito che tutto quello in cui mi ero imbattuta in precedenza era solo una pallida imitazione. Quella che avevo tra le mani, invece, era l’eccellenza. L’avevo sentito dire in effetti, ma il San Tommaso che alberga in me non ci credeva molto, ché al giorno d’oggi le strategie di marketing fan sembrare platino anche l’alluminio. E invece. Caspita che gelato questo qui. Piacere di aver fatto la sua conoscenza Signor Gelato dal nome di folletto. Tornerò. Sicuro che tornerò. Per la gioia delle mie papille gustative, per appiccicarmi un altro bel paio di baffi, per l’effetto un po’ magico, un po’ consolatorio, altamente terapeutico. Mica bruscolini.

giovedì 22 novembre 2007

Pimpa look

E poi dicono che non devo agitarmi, devo stare tranquilla, non preoccuparmi. Perché c’è chi sta peggio – frase questa che per certi versi mi ha sempre fatta incavolare di brutto perché è ovvio che purtroppo ci sia sempre chi sta peggio, ma anche chi sta un filino meglio ha il sacrosanto diritto di lamentarsi quando ne sente il bisogno, eccheccavolo. Non te la prendere. Sorridi. Guarda avanti. Tutto giusto, giustissimo. E se mi viene un po’ d’ansia alla fine mi vengono pure i sensi di colpa perché che diritto ne ho io di avere l’ansia quando c’è chi sta peggio? E mi sento una deficiente circondata da super eroi. Quando però è quasi un mese che tua figlia ha il naso rotto e l’otorino glielo ha pure rifratturato per raddrizzarlo e ancora non si sa se il suo profilo da Candy Candy sarà per sempre sostituito da quello di Carlos Monzon. Quando però due giorni fa il telefono squilla nuovamente e stavolta è tuo marito che è finito all’ospedale, volato via mentre lo scooter veniva centrato in pieno da una pazzoide in auto che tagliava l’incrocio con il rosso pieno, niente di grave ringraziando iddio, tanti lividi e dolori e lo scooter da buttare ai ferrivecchi. Quando però ti dicono che tua madre deve fare una nuova scintigrafia ossea per vedere un po’ dove sta gironzolando adesso quel cancro maledetto che non contento di averle già portato via tanto l’ha lasciata anche su una sedia a rotelle. Quando però ti barcameni alla bell’e meglio per sopravvivere a tutto questo cercando di non preoccuparti perché c’è comunque chi sta peggio, forse qualche diritto a un po’ d’ansia ce lo avresti pure. Ed è quello che deve aver pensato la Pimpa quando ha deciso di reincarnarsi in me stamattina al risveglio e nello specchio mi son trovata bianca come un cencio e ponfi rossi dappertutto, roba da vergognarsi a uscire. Orticaria da stress, dicono. Appunto.

mercoledì 21 novembre 2007

Nonostante

E’ inutile che tu finga di non accorgertene. Non serve far finta di niente. E lo sai. Lo sai bene che ogni anno è così. Mentre Natale arriva variopinto e luccicante sul binario principale tu sali a bordo del trenino a vapore che parte lento e sferragliante dall’ultimo binario. Nonostante la tua voglia immensa di stelle, presepi e collane di luci intermittenti. Nonostante il tuo desiderio infinito di tavole imbandite, chiacchiere e stoviglie che suonano una polka. Nonostante la tua smania di messa a mezzanotte tra baveri rialzati, nuvole di fiato e occhi scintillanti. Nonostante la tua sete di mani affettuose che dispensano pacchetti infiocchettati, carezze e tazzine di caffè. Nonostante il tuo sogno di cuori intorno a te e parole e risa e canti e perché no anche una poesia. Nonostante la tua bramosia di panettone a morsi, cardigan argentati e una tombola a suon di cartelle e fagioli. Nonostante il tuo cuore si trasformi in un flipper impazzito tutte le volte che senti parlare gli altri, che noia il cenone che noia i parenti che noia i regali, e tu devi tappargli la bocca al tuo cuore come si fa con i bambini quando parlano a sproposito, perché vorrebbe gridarglielo forte che non sanno quel che dicono. Nonostante il tuo bisogno di amore, che mai come in questo periodo dell’anno tu avverti così forte e prepotente, come sete nel deserto e fame da tempo di guerra. Nonostante tutto, ancora, di nuovo, tu lo sai bene che niente di questo accadrà. Eccome se lo sai. Lo sai benissimo. Ma è il tuo cuore, zuccone che non è altro, che non lo vuole capire. Da quell’orecchio non ci sente. Svogliato? Non so. Intelligente ma non si applica? Forse. E’ una lezione questa che, nonostante gli anni, lui non vuol proprio imparare.

martedì 20 novembre 2007

Ritorno alla capanna (dello zio Tom)

All'uscita dall'ufficio ho deciso di regalarmi una breve passeggiata per il centro cittadino già vestito a festa, cosa di cui dopo le ultime settimane trascorse di corsa tra ospedali, studi medici e farmacie, avvertivo decisamente il bisogno. Un'ora di vetrine, pensieri sfusi e frivolezze. Svago puro, insomma. Evidentemente però la mia mente seriosa e preoccupata degli ultimi giorni ha preso il sopravvento sulla voglia di coriandoli e ha fatto sì che l'occhio cadesse su qualcosa che mi ha fatta riflettere. Percorrendo le vie del super shopping della mia città, il cosiddetto salotto buono, ho notato che ultimamente le boutiques delle firme più prestigiose si sono moltiplicate e che in quelle poche centinaia di metri ormai è tutto un susseguirsi di maisons delle griffes più stellate, roba da fare invidia alla Fifth Avenue. Naturalmente, la solita solfa: negozi splendidi, vetrine impeccabili, prezzi inaccessibili. Ma questo già si sapeva. Quello che inaspettatamente mi ha fatta pensare è stato l'aver notato che quasi tutti questi paradisi in terra hanno adesso sulla porta d'ingresso, fermo impalato e impassibile come un corazziere, un concierge, body-guard, buttafuori o come accidenti si chiama. Ovvio, mi dico, son negozi di classe, mica può entrare chiunque, ci dovrà pur essere qualcuno ad impedire l'accesso a una coppia di punkabbestia con tanto di cane o ad una casalinga con buste del mercato e calze smagliate, no? Beh, ci sarebbe da discutere. Ma può essere. Mi chiedo però come mai questi guardiani del tempio debbano essere tutti obbligatoriamente neri. Vestiti di nero, pure. Con occhiali neri, anche. Che in questo modo le danarose shoppers giapponesi russe americane australiane e comunque bianche come la neve, si sentano più a loro agio alla vista dei neri Mike Tyson che tanto ricordano la Capanna dello zio Tom? Non so. Vorrei poter pensare che gli stessi negozi a Malindi o a Pretoria abbiano sulla soglia dei guardiani biondi come vichinghi, ma ho paura che le cose purtroppo non stiano esattamente a questo modo. Accidenti.

lunedì 19 novembre 2007

Plum-cake mais e cioccolato bianco

Quando mi imbatto in una ricetta intrigante, la ritaglio e la conservo nel mio Recipe Book, vecchio regalo di un’amica americana e quanto mai utile per scribacchiare in fretta, incollare e copiare ricette ed esperimenti culinari in genere. Unica regola per poter accedere al libro è l’esser stati testati, dalla sottoscritta o da persona fidatissima. Fino a quando cioè i ritagli non sono stati sperimentati non vengono incollati, ché purtroppo mi ricordo bene il disastro degli gnocchi rosa pasquali trovati su un settimanale e trasformatisi in pochi secondi in un’orrida zuppa color confetto o la recente crostata all’uva decantata dal giornalino di turno e miseramente naufragata in una crema disfatta e annacquata. Così, visto che di tempo ne ho sempre troppo poco, il mio libro strabocca di ritagli di vario genere, in attesa dell’esame d’ammissione. Anche questa ricetta era lì in attesa da un bel po’ e non ne ricordo neanche più la provenienza, ma ieri ha brillantemente superato il test d’ingresso e da oggi fa parte a pieno titolo del mio bagaglio culinario. Un plum-cake un po’ inconsueto, ottimo per colazioni, brunch e tè pomeridiani in attesa del Natale.

Ingredienti:
150 gr. chicchi di mais al naturale
20 gr. scorza di arancio candita, a pezzettini
80 gr. cioccolato bianco
150 gr. zucchero
180 gr. farina
150 gr. burro
2 uova
mezza bustina di lievito
zucchero a velo

Preparazione:

Frullare bene lo zucchero con il burro, quindi incorporare le uova, la farina, il lievito, il cioccolato a pezzetti grossolani, la scorza di arancio candita e il mais ben sgocciolato. Foderare uno stampo da plum-cake di media grandezza con della carta da forno imburrata e cuocere in forno caldo a 180° per 45 minuti. A fine cottura lasciare raffreddare completamente a temperatura ambiente e poi sformare, spolverizzando con zucchero a velo.

venerdì 16 novembre 2007

Ciao nonno

Stamani mentre rifacevo il letto mi è cascato lo sguardo sulla tua foto, o meglio la nostra foto, quella piccola, in bianco e nero, nella cornicetta blu nei pressi del mio comodino. La vedo ogni giorno in realtà ma non sempre la guardo davvero, con gli occhi dell’anima intendo. Oggi invece il mio sguardo si è fermato su di te, su di noi. Tenero e burbero al tempo stesso, tenevi fiero la tua nipotina in braccio, con quel sorriso un po’ rigido che ti donava la dentiera. Quella nipotina birichina e chiacchierona che ti costringeva a giocare alle mamme, mettendoti in braccio un bambolotto e apostrofandoti Signora, ma che bello il suo bambino. E tu, buono come il pane, per farmi contenta ti mettevi anche il foulard a fiori, tanto chi ci vedeva. Ricordo le mattinate in tua compagnia, lente come solo possono essere le mattine quando si hanno cinque anni. Io con la bicicletta arancione, la prima, quella con le rotelline, ti sfrecciavo davanti ridendo mentre tu seduto sulla panchina parlavi col benzinaio del viale e scartavi piano una caramella d’orzo, quelle quadrate e piatte, con l’incarto trasparente. Ricordo la tua sorpresa quando improvvisamente ti accorgesti che in tutto quel pedalare le rotelline, già un po’ allentate, si erano staccate ed erano rimaste chissà dove e tua nipote aveva imparato ad andare in bicicletta senza accorgersene. Ricordo i tuoi racconti, infiniti e sempre diversi, sulle tue avventure da militare. Ti ascoltavo a bocca aperta e ridevo, quanto ridevo, delle cose buffe che capitavano a te e ai tuoi commilitoni. Solo adesso mi rendo conto che probabilmente erano storie sapientemente ritoccate per renderle allegre agli occhi di una bimba, ma è troppo tardi per chiederti conferma. Ricordo le nostre confidenze, le coccole, le attenzioni che mi dedicavi, cercando forse di supplire a quelle carenze che già intravedevi all’orizzonte guardando negli occhi di tua figlia, che iniziava lentamente a non esserci più. Ti rivedo salire piano gli scalini di casa mia, con i tuoi abiti scuri, le camicie inamidate, i tuoi occhiali, le bretelle e quella busta in pelle nera che ti portavi sempre appresso e che io curiosa aprivo di nascosto a caccia di segreti e caramelle. Eri un po’ nonno e un po’ mamma, eri tanto per me. Eri tutto. Non volli venire al tuo funerale e quello che era un dolore troppo grande fu scambiato per un capriccio adolescenziale. Non avrei potuto salutarti per sempre. Non l’ho fatto allora e non posso farlo adesso. E’ per questo che ogni tanto ti parlo e ti racconto quello che mi succede. Perché tu ci sei ancora. Ci sarai sempre. Ti voglio bene nonno.

mercoledì 14 novembre 2007

Credevo

Credevo di esser di pietra ma sono di argilla
pensavo di essere fuoco ma son solo scintilla
correvo su fili di ferro ma son ragnatele
mi accorgo che in bocca ho soltanto il sapore del fiele.
Guardo la pioggia cadere senza rumore
il cuore rincorre il respiro e diventa timore
pensieri più grigi di un gatto si acciambellano invano
e vorrei imboccare la strada per giunger lontano.
Vedo riflessi di acciaio sulla mia pelle
ma son solo brividi ansia e cattive novelle
le lacrime allagano il volto come un campo da arare
e quello che posso e riesco è soltanto annaspare.
Credevo di avere la miccia come un ordigno
ma son solo una una madre inconsueta a forma di scrigno
ripieno di amore tristezza e caffè
le chiavi le ho perse e resto qui alla mercè.

lunedì 12 novembre 2007

Ospiti inattesi

Che coppia fantastica. Meglio di Ginger Rogers e Fred Astaire, ché le piroette che han fatto le mie papille gustative neanche a Broadway le hanno mai viste. Meglio di Stanlio e Ollio, ché per tutto il buonumore che mi han regalato non sarebbe bastata la serie completa di Oggi le Comiche. Meglio di Salgari e Verne messi insieme, ché le storie che mi son scorse davanti agli occhi son più di un viaggio dalla Terra alla Luna, più di un assalto dei pirati, più di una tigre del Bengala. Il binomio perfetto. Si sono presentati entrambi alla mia tavola ieri, come ogni anno di questi giorni, ospiti inattesi ma di riguardo e quanto mai benvenuti in una domenica fredda e lucente. L’uno, verde, denso e amarognolo come da tradizione, fruttato al punto giusto, pronto a pizzicare le narici e ad abbracciare il mio cuore mentre narra di inverni e di veglie intorno al fuoco. L’altro, allegro e vivace, rosso un po’ rubino e un po’ fragola a seconda della luce e di quanto ne resta nel bicchiere, impertinente e spavaldo come solo si può esserlo a quell’età. Olio nuovo l’uno, vino novello l’altro. Che festa. Di quelle non segnate sul calendario ma proprio per questo ancora più belle. Perché semplici ed inaspettate. E stasera, per festeggiare ancora in loro compagnia, sarà fettunta e zuppa lucchese. Praticamente, un’incoronazione.

venerdì 9 novembre 2007

Dolore e dolore

Ieri una collega raccontava con toni drammatici la sua prima mammografia. Un gran dolore, diceva, mi ha fatto male il seno fino a sera. Io, basita, ascoltavo e non riuscivo a capacitarmi. E non è la prima che sento parlare in questi termini. Ne ho sentite altre che addirittura non la fanno per paura di sentir male. Sarà che sono ormai cinque anni che una volta all’anno faccio questo esame, combinato all’ecografia mammaria, perché con i problemi di familiarità che mi ritrovo, han detto che dovevo cominciare presto. Sarà che so bene che se non fosse stato per quell’invito a farsi una mammografia di controllo, nel camper allestito per l’occasione in periferia per far capire che prevenire è meglio che curare, che mia madre è stata operata una prima volta e poi una seconda. Sarà che un paio di anni fa mi hanno trovato un nodulo sospetto e vai di ago aspirato, prelievo e biopsia. Lì sì che ho sentito male, nonostante l’anestesia, e son stata indolenzita per qualche giorno. Ma il dolore non era certo quello. Era quello dentro di me, terribile e sordo, il vero dolore. Una paura che mi ha attanagliato per tutti quei giorni che mi hanno separata dalla telefonata che poi mi ha fatto fortunatamente tirare un sospiro di sollievo, è una forma benigna signora, niente di preoccupante, basterà tenere sotto controllo. Quello è il Dolore, quello con la maiuscola. Che ti fa pensare mille cose, ti fa vedere i volti dei tuoi cari come se non li avessi mai visti prima, ti fa dire a te stessa di non preoccuparsi quando invece l’ansia ti stringe in una morsa gelida e non c’è niente che ti smuova di lì. Cosa vuoi che sia una macchina che ti strizza un po’ il seno per pochi secondi, il tempo di scattare una foto speciale che può salvarti la vita? Dovresti baciarla quella macchina e tutti i medici che le girano intorno. Fa un po’ male? Pazienza. Pensa al sole che sorge al mattino e che ti illumina la vita di ogni giorno. Pensa al sorriso del tuo amore, ai capelli di tua figlia, all’odore dell’erba bagnata. E se proprio non ci riesci, immagina che in quel momento sia George o Brad o Jude o chi ti pare a stringere un po’. Scommetto che in quel caso sopporteresti. E con un bel sorriso.

giovedì 8 novembre 2007

Basta poco

A volte basta un nonnulla, una sfumatura, una nota, una piccola cosa. Basta uscire dall’ufficio e ritrovarsi sotto una luminosa cupola azzurra che trasforma il fiume in un nastro d’argento. Basta sbucciare il primo mandarino della stagione, lucido e allegro, riconoscerne il profumo e il sapore che chissà come mai mi ricordano tanto la mia infanzia. Basta vedere tua figlia attorniata dalle compagne di danza che la guardano attonite e un po’ intimorite e sentirla raccontare le sue recenti vicissitudini con suspence e brio neanche fossero le avventure del Corsaro Nero, vantandosi quasi del colorito perfettamente intonato al verde ramarro della felpa. Basta indossare un bel pantalone nuovo color cioccolato per sentirsi dolce e golosa come una pralina. Basta vedere che le lasagne al pesto che hai preparato in fretta e furia vengono apprezzate dai tuoi commensali con tanto di scarpetta. Basta trovare nella posta la pubblicità Ikea che ti grida a gran voce che Natale è dietro l’angolo e che sarà il caso che tu cominci a pensare a come vestire il tuo albero quest’anno. Basta riuscire a ritagliarsi cinque minuti, tra i compiti di matematica e i fogli dell’assicurazione, per una tazza fumante del tuo tè preferito, arancio cannella e zucchero di canna. Basta poco, a volte, per sorridere.

martedì 6 novembre 2007

Simbiosi

Probabilmente non vi è momento migliore per sentirsi così, simbiotica con questa pallida giornata autunnale, umidiccia e freddina, cielo grigiastro e voglia di nulla. Il giorno ideale per questa svogliatezza, questa opacità. Stanchezza, anche, ché dopo giorni frenetici pieni di ansia e telefonate, sopravviene sempre il torpore, la voglia di tana, di lasciatemi stare. Inconcludente. Dozzine di pensieri si rincorrono, si affastellano, si affacciano alla mia mente senza che nessuno riesca a varcarne la soglia. Uffa, che noia. Non mi sopporto quando sono così, mi sto decisamente antipatica. Mi sento come un vetro appannato sul quale tracciare un ghirigoro distratto, come un foglio pieno di asterischi disegnati a casaccio durante una telefonata troppo lunga. Pallosa, ecco. Questa è la parola adatta a me stessa e a questa giornata.

sabato 3 novembre 2007

Un abbraccio in tasca

Non preoccuparti tesoro mio, l’abbraccio ce l’ho qui in tasca con me, anzi ne ho diecimila. Non faccio altro che accumulare cambiali di abbracci stritolanti e di nasin-naselli in questi giorni. Le metto tutte da parte, al sicuro nella mia cassaforte a forma di cuore e poi, stai pur certa, verrò ad incassarle tutte, una dopo l’altra. Esigerò tutti gli abbracci, i baci sul naso, i pizzichi e i buffetti che non ti posso dare. Ché dai figli ci si deve aspettare di tutto, anche che a scuola durante i giochi, i salti e le risate decidano di avere un incontro ravvicinato col marciapiede in cemento. Pianto, sangue, ghiaccio che arriva in ritardo. Il mio cellulare che squilla mentre sto uscendo dall’ufficio pensando a quando verrò a prenderti per portarti alla festa di Halloween alla quale tieni tanto non sapendo ancora che i piani della serata saranno radicalmente diversi. Signora, la bambina è caduta. Gli scalini due a due, il cuore in gola che batte come un pazzo tenendo compagnia alle lacrime che ricaccio giù dicendomi che sarà solo un bernoccolo. E invece no. Pronto soccorso, tu che sanguinante e gonfia come un pallone da rugby mi dici mamma ma alla festa ci andiamo lo stesso vero? Radiografia, forse anche una TAC. Mi guardi impaurita, non ti preoccupare sono solo delle fotografie un po’ diverse dal solito, se vuoi puoi metterti anche in posa. Il mio cuore galoppa come un forsennato, ma dove vuole arrivare mi chiedo. Frattura delle ossa nasali e un sacco di altre parole in medichese che significano cartilagini danneggiate, sangue in giro un po’ dappertutto e un visino che si trasforma sotto i miei occhi in quello di Rocky Balboa. Ghiaccio, signora, tanto ghiaccio, anche di notte. E antibiotici per l’emorragia, tachipirina per il dolore, eparina per l’ematoma, cortisone per il gonfiore. E i baci che ti do lo stesso, più lievi ma ti ricopro di baci. Non ti preoccupare dai che passerà. La frattura è da rivalutare signora, forse sarà necessario intervenire, vediamo tra qualche giorno. E così ci siamo ritrovate una maschera da Halloween a gratis, roba da fare invidia ai migliori truccatori hollywoodiani, che però durerà un po’ di più della vigilia di Ognissanti. Un bel po’ di più. Mamma sarò per sempre così? No amore, certo che no, ci vuole tanta pazienza. Ma tu sei una guerriera e ai compagni di classe che ti chiamano per sapere come stai rispondi da sotto la mascherina di ghiaccio io bene e tu? E il mio cuore frulla come un passero in gabbia ma tiene botta, fino ad ora. Perché mi accorgo invece che quel groppo in gola che ho ricacciato giù diverse volte adesso non ne vuole più sapere di starsene lì a far due chiacchiere con le tonsille e vuole uscire. Ma sì, facciamolo uscire un po’, col suo seguito di singhiozzi e lacrime e soffiate di naso. Un po’ d’aria non potrà fargli altro che bene.

venerdì 2 novembre 2007

Nostalgic meme

Eccone un altro. Un meme nostalgico che sta girovagando tra bloggers. Se si vuole si può continuare la lista dei ricordi, ognuno con un angolo di nostalgia nel proprio blog. Continuo volentieri l’elenco nostalgico della Sciura Pina:

Tito Stagno e il primo piede sulla luna, il Buondì Motta a scuola nel sacchettino di cotone a quadrettini, il mangiadischi arancione, i 45 giri delle Fiabe Sonore “a mille ce n’è…”, il gioco delle palline da far schioccare che invariabilmente mi maciullavano il polso, la Fiat 850 bianca di mio padre, l’enciclopedia dei Mille Perché, merenda a pane e olio, Sandokan, la pubblicità con la Linea, il grembiulino bianco col fiocco di colore diverso ogni anno, Maga Maghella sulla scarpa di Corrado, la sigla di Oggi le Comiche, Nixon e Kissinger, Furia cavallo del west, le olimpiadi di Monaco, il Dolce Forno, il dentifricio Paperino’s, Barbie reginetta del ballo con dadi e segnalini, lo Zecchino d’oro col Mago Zurlì, l’indigestione di fichi a casa dei miei nonni, Rischiatutto e il Dott. Inardi, le imitazioni di Alighiero Noschese, il latte condensato, l’Ovomaltina, la cartella scolastica di similpelle rossa, il doposcuola, il Pongo, le vacanze in Cadore, il mare del Cinquale, i bigodini di mia madre, il cappottino da mezza stagione, il Crystal Ball, i trasferelli, gli uomini col borsello, l’acqua frizzante fatta con le bustine, Paolo Valenti che segnava la fine della domenica…

…chi continua?

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