martedì 23 dicembre 2008

Profumo di festa

Quest’anno lo sento proprio bene, lo avverto sulla pelle e lo annuso nell'aria, con un misto di timore e trepidazione, che a forza di fuggire dal profumo del Natale mi ero quasi dimenticata come fosse, aghi di pino e forno acceso, e adesso è come se non sapessi bene che cosa aspettarmi. Mi muovo in punta di piedi, cercando di non pensare a tutte le delusioni passate ma provando a guardare solo al presente, a questo Natale che ci aspetta dietro l'angolo e a viverlo così come si presenterà, che è già una gioia vedere la picci felice ed emozionata all'idea di trascorrere quel giorno in famiglia anziché in coda per lo skilift, senza aver dovuto pianificare l'ennesima visita anticipata di Babbo Natale, cosa che la faceva sentire indubbiamente speciale agli occhi dei compagni di scuola ma forse anche un po' diversa. Così sarà un Natale di città, con tanto di Messa di mezzanotte e sessione gastronomica ai fornelli, con un pranzo farcito di nonni, zii e cuginetta, e se qualcosa non andrà per il verso giusto sopporterò e sorriderò prendendo solo quello che di buono ci sarà e trattenendolo nel cuore, dimenticandomi del resto. Anche perché la fuga quest'anno è solo rimandata di un paio di giorni e se non sarà una fuga dal Natale, tanto meglio.

giovedì 18 dicembre 2008

La spilla

Forse è stata mia figlia, quando mi ha detto che ancora deve decidere cosa regalarmi a Natale, a farmi ricordare, o forse è stata solo l'angoscia che mi sta avviluppando da ieri, da quando è arrivata la comunicazione che dopo più di due anni di attesa ci sarebbe un posto per te, mamma. L'impiegato che ha spedito la lettera avrà pensato di farci un regalo di Natale, ma per me non è stato così, quando ho visto la busta sapevo già che cosa conteneva prima ancora di aprirla e ne avevo quasi paura. Non so cosa accadrà, visto che mio padre non vuole nemmeno sentirne parlare e molto egoisticamente si rifiuta di ascoltare, ma so che qualsiasi decisione verrà presa sarà comunque dolorosa, mamma, dilaniante e sofferta e che mai e poi mai nella mia vita avrei voluto ritrovarmi a ricoprire questo ruolo di giudice e carnefice senza avere un'altra via di uscita. Il ricordo della spilla, mamma, è scattato così, a pochi giorni dal Natale, proiettandomi indietro di tanto tempo, ma la ricordo così bene quella mattina, mamma, che sembra solo ieri. Era il periodo in cui molto spesso purtroppo non mi mandavi a scuola, per la paura di restare sola con la tua mente che probabilmente sentivi svanire piano piano, ed invece di essere seduta in classe al mio banco ero uscita a comprarti il pane e il latte. Fu così che vidi la spilla nella vetrina della profumeria al di là del ponte, quella proprio accanto al fornaio. Sembrava che brillasse di luce propria, tanti strass bianchi montati nel metallo dorato a formare un graziosissimo bouquet di fiori. Era così bella, mamma, adagiata sul velluto blu come la notte, che non potei fare a meno di pensarti. Era il regalo perfetto per la mia mamma, per me la più bella e la migliore di tutte. Costava tanto, ma ero sicura che i miei risparmi, quelli dentro la bustina di juta rossa che custodivo gelosamente nel cassetto della biancheria, sulla quale avevo scritto a pennarello la frase che mi ripetevi sempre, Leva e non metti ogni bel mucchio scema, sarebbero bastati e per la paura che qualcun altro acquistasse quello che io avevo già deciso essere il mio regalo per te, comprai la spilla il giorno stesso, benché mancasse molto più di un mese a Natale. Ricordo l'espressione della profumiera, che mi conosceva bene e altrettanto bene conosceva la nostra storia, quando mi chiese come mai non fossi a scuola, e come sorrise quando le dissi che quella spilla la compravo per te. Eri l'unica, mamma. Tutto il mio mondo, tutta la mia vita. Lo sei ancora e lo sarai per sempre, qualsiasi cosa accadrà. E' tanto che non rivedo quella spilla, mamma, sono sicura che sarà in un cassetto o nel portagioie in camera tua e quando vengo a trovarti, mamma, anche se sarà per discutere con mio padre, la cercherò, la troverò e te l'appunterò sulla vestaglia. Come ai bei tempi, mamma.

lunedì 15 dicembre 2008

Scrittrice in erba

Hai voglia a dire che certamente non è il Premio Bancarella e che siamo a svariati anni luce di distanza dal Pulitzer, ma accompagnare la propria figlia di nove anni a ritirare un premio letterario è stata un’emozione indescrivibile e solo adesso, che mi ritrovo sola davanti a questo schermo acceso, comincio a riassaporare i momenti e la miriade di sensazioni. Ripenso a quel giorno d’estate quando i miei occhi si posarono sulla locandina del concorso, indetto da un’importante società cittadina, e pensai di proporlo per gioco alla mia piccola scrittrice di casa, la quale accolse con entusiasmo l’idea, in pochi giorni scrisse un bel racconto che poi spedimmo per posta elettronica e ce ne dimenticammo. Fu quella busta grigio chiaro nella cassetta delle lettere a farcelo tornare alla mente, quando un pomeriggio di Novembre al ritorno dal lavoro trovai la lettera indirizzata alla Gent.ma Signorina, e allora capii. L’emozione sul suo visino le arrossava le guance mentre la leggeva e diceva Mamma, hanno scritto proprio a me. Quella busta conteneva un invito ad una premiazione, perché tra più di cento partecipanti adulti e qualche adolescente, il racconto di una bambina di nove anni aveva vinto una menzione speciale da parte della giuria. Così stamattina la delegazione del pollaio al gran completo ha accompagnato la pulcina a ricevere il premio, che sorridente ed emozionata ha ritirato, non dimenticandosi per fortuna di ringraziare, e dichiarando che sì, in effetti proprio in questi giorni sto scrivendo un altro racconto, come nemmeno una scafatissima romanziera ospite da Fazio per promuovere l’ultima fatica letteraria. Io lì, ammutolita dall’emozione, e mentre ascoltavo le parole d’elogio che le venivano rivolte la guardavo, tentando invano di nascondere due lacrime che infischiandosene della mia volontà sono scivolate giù spavalde lungo la guancia. Pare che ci sarà un seguito, chissà. In ogni caso, anche se il tutto si fermasse a questo bellissimo momento, con il libro e il comunicato stampa da tenere come ricordo, la foto, l’applauso e i vassoi di tartine, sarebbe già moltissimo. Forse troppo.

venerdì 12 dicembre 2008

I giorni del flipper

Sono giorni di corsa, frenetici e insaziabili, di quelli che mentre i piedi escono da sotto il piumone e lentamente tastano il parquet alla ricerca delle pantofole, i pensieri nella testa hanno già iniziato a fare le capriole e rincorrersi a destra e a manca rimbalzando sulle sponde della scatola cranica come le palline del flipper. Di tutto, di più. Atro che agenda e calendario strabuzzanti di scritte e post-it fluorescenti disseminati sulla cappa e sotto le calamite, le cose da fare e da ricordare son talmente tante che non basterebbe un'enciclopedia e se anche ci fosse un maggiordomo a farmi da reminder, di quelli british e imperturbabili che non li scuote nemmeno l'Apocalisse, credo che avrebbe qualche problemino pure lui. C’è la messa in piega per la cena natalizia dell’azienda che non si trova un buco dal parrucchiere nemmeno a piangere e deve quindi essere anticipata sperando che nel frattempo le vagonate di pioggia che stanno cadendo dal cielo non mi trasformino la testa in quella della Medusa. Trovare la stoffa verde per la tunica della pulcina che impersonerà la Speranza alla recita di Natale del catechismo, che del resto non ce n'è mai abbastanza, di speranza of course, che di recite e spettacoli ce ne abbiamo da svendere. Tunica che poi dovrà in qualche modo essere confezionata e visto che la sottoscritta ha delle serie difficoltà anche a ricucire un bottone non mi resta che sperare in un miracolo. Poi c'è il tavolo da prenotare per l'aperitivo con i colleghi, le prove del saggio di danza che manco a farlo apposta si svolgerà lo stesso giorno della recita, ma in luoghi ed orari diversi chiaramente, tanto io e il Galletto non abbiamo niente di meglio da fare che scapicollarci da una parte all'altra della città con pulcina e relativi costumi appresso. La pallina continua a rimbalzare e mi ricordo che devo ancora trovare il regalo per il quasi figlioccio quindicenne che non legge niente ma adora le griffes e devo iniziare a infiocchettare gli altri doni acquistati che giacciono tristi ancora nelle buste dei negozi. E visto che una volta impacchettati dovranno pur essere gentilmente deposti da qualche parte, sarebbe bello riuscire a fare l'albero incastrandolo tra gli scatoloni che ancora adornano il soggiorno o meglio quello stanzone strano che un giorno forse lo sarà. Andare poi a fare questi benedetti raggi alla schiena così finalmente qualcuno mi dirà perché vedo le stelle e prenotare il controllo dentistico della pulcina per prenderle le impronte, che la cara dottoressa ci ha fatto il suo regalo di Natale informandoci che, sì, c'è poco spazio, ci vuole l'apparecchio, non siete felici? Dovrei anche decidere cosa cucinare per Natale, telefonare alla mia amica della montagna e scrivere i biglietti d'auguri, che per me un vecchio biglietto di carta e penna biro vale più di mille essemmesse. Provare il completo da sci alla picci perché ci sta che tanto per far cosa gradita al conto corrente debba essere urgentemente sostituito, anche perché non sarebbe affatto divertente ritrovarsi in montagna con una figlia munita di pantaloni alla pescatora. Devo anche aiutare la pulcina a fare la ricerca per gli scouts, che ora ci si mettono pure loro a far fare le ricerche, Tradizioni Natalizie in Oceania, vabbè, vorrà dire che se un bel giorno trascorreremo il 25 Dicembre tra Sidney e Wellington almeno sapremo che cosa ci aspetta. La pallina continua a rimbalzare e ad ogni ding mi viene in mente un'altra cosa da fare. Simpatico il flipper, per carità, quando hai quindici anni e vuoi fare un po' la spacconcella al bar. Ma ora come ora io gli staccherei volentieri la spina.

martedì 9 dicembre 2008

Winter cake

Come dico sempre, niente di meglio di una sessione di pasticceria per scacciare paturnie ed esorcizzare tristezze. Così, visto che la malinconia tardava ad andarsene, ho pensato bene di aiutarla ad accomiatarsi accendendo il forno e aprendo il ricettario, che oltre tutto, dato il clima decisamente invernale, con tanto di nebbia e brinata mattutina, un bel dolce ricco e profumato ci stava proprio bene. Mi sono imbattuta in una ricetta di un cake classico che ho deciso di personalizzare aggiungendo un po’ di frutta di stagione, creando un'ottima versione invernale, adatta ad accompagnare un bollente tè pomeridiano, una pigra colazione della domenica mattina o anche un fine pasto quando ci si accorge che c’è ancora un angolino libero per qualcosa di sfizioso.

Winter cake

Ingredienti:
150 gr. di zucchero
150 gr. di farina
100 gr. di burro
2 uova
1 cucchiaino di lievito vanigliato
2 mele
2 mandarini
pinoli
zucchero a velo

Preparazione:

In una terrina a sponde alte lavorare bene le uova con lo zucchero fino ad ottenere una crema chiara. Aggiungere la farina setacciata, il lievito e mescolare bene. Ammorbidire il burro lavorandolo bene e aggiungerlo all’impasto. Lasciare l’impasto a riposare per 15 minuti. Nel frattempo sbucciare le mele e tagliarle a spicchi sottili, sbucciare i mandarini e tagliare gli spicchi a metà privandoli dei semi. Riscaldare il forno ventilato a 170°, imburrare e infarinare uno stampo rettangolare da plum cake a bordi alti. Aggiungere una manciata di pinoli all’impasto mescolando con delicatezza. Versare un po’ d’impasto nello stampo, metterci sopra i pezzetti di mandarino e ricoprire con il rimanente impasto. Infilare per verticale tutte le fettine di mela nell’impasto, una accanto all’altra, senza premere troppo, fino a ricoprire l’impasto. Spargere sopra un’altra manciata di pinoli e infornare per circa 40 minuti, verificando la cottura con uno stuzzicadenti. Lasciar raffreddare e spolverizzare con zucchero a velo.

giovedì 4 dicembre 2008

Solitudine

Ogni tanto la malinconia bussa alla mia porta e, vuoi per l'educazione ricevuta o per pura solidarietà femminile, non sono capace di lasciarla fuori. Col freddo di questi giorni poi, sarebbe davvero impensabile. Non riesco neppure ad aprire un semplice spiraglio e dire no grazie non m'interessa, come quando passano i Testimoni di Geova o il venditore della Bofrost. Di fronte alla malinconia sono semplicemente disarmata e la porta si spalanca da sé, come aiutata da un colpo di vento, e a quel punto devo per forza fare gli onori di casa, prego si accomodi, dica pure. E mentre lei inizia a parlare, con quel tono triste e monocorde, dentro di me si aprono tutti i cassettini che cerco in genere di tenere ben chiusi, uno dopo l'altro come un effetto domino e in un lampo tutto affiora in superficie, su fino alla gola e agli occhi. Mi rendo conto di essere sola, un cipresso in cima alla collina. La solitudine di un dialogo che non c'è e dover tenere dentro tutte le parole che ho, che tanto non le ascolterebbe nessuno. La solitudine delle domeniche, dei pranzi e delle cene senza nessuno intorno, i nostri tre cuori intorno al tavolo e come unico ospite la tv accesa. La solitudine dei ricordi che affiorano, dell'infanzia che non c'è più, di come è stata e come avrebbe potuto essere, di quello che avrei voluto dalla mia vita e di quello che ho. La solitudine di sentirsi la cattiva di turno, quella che assegna punizioni ed elargisce rimproveri, quella che deve fare il bello e il cattivo tempo perché quando si è soli in cima alla collina il vento ci sferza dalla mattina alla sera. La solitudine del sentirsi inadatta, insicura e soprattutto incompresa. La solitudine che questo mese porta sempre con se, perché so bene che quando nelle strade appaiono le prime luci per me iniziano i pensieri bui. Così, la lascio parlare, l’ascolto, guardando le tessere di questo domino distese in terra come una strada che porta dritta al mio cuore. Quando ha finito la saluto, l’accompagno alla porta e lei, lentamente, se ne va.

martedì 2 dicembre 2008

Diamoci un taglio

Era proprio quello di cui avevo bisogno, quello che i miei capelli reclamavano a gran voce già da un po’ ma che per un motivo o per l’altro continuavo a rimandare. Sbagliando. Perché un taglio di capelli ti rinnova dal di dentro, fa tornare pollastrella anche la più vecchia delle galline e ti senti lucida e intonsa come una caramella appena scartata, tutta da gustare, soprattutto agli occhi di te medesima, che non avevano quasi più il coraggio di incrociare quelli che si riflettevano nello specchio, mentre adesso son talmente spavaldi che proverebbero a interpellarlo per chiedergli chi sia la più bella del reame. Anche se non lo fanno, saggi che non sono altro, che è sempre meglio non esagerare. Però una bella lucidata all’autostima questo taglio a metà strada tra la D’Urso e la Carfagna me l’ha data davvero, e mi rimiro beata avvolgendo una ciocca dietro all’orecchio mentre la perla bianca al lobo rimanda vanesia un guizzo di luce. Ma sì, rimiriamoci e beiamoci di questo nuovo look che le abili forbici del parrucchiere mi hanno regalato, tagliando insieme ai capelli anche una diecina d’anni dalla mia carta d’identità, così mi dicono, che tanto è destinato a durar poco. Il tempo di uno shampoo casalingo e le chiome imbiondite di fresco verranno nuovamente racchiuse da un elastico e, viste le ridottissime dimensioni, assomiglieranno più a una pennellessa di cinghiale che ad una coda di cavallo, ma tant’è. Il gioco è fatto e finché vinco, gioco.

lunedì 1 dicembre 2008

La magia della fata Smemorina

Non vi sarebbe potuto essere un modo migliore per inaugurare questo mese freddo e scintillante delle splendide note di Ciajkovskij che ci hanno avvolte ieri pomeriggio. Il teatro gremito, con quel lieve brusio di sottofondo che resta sempre sospeso nell'aria quando centinaia di volti guardano rapiti la stessa scena. Il direttore d'orchestra che muove rapido la bacchetta che secondo me gli è stata prestata dalla fata Smemorina, tale è la magia che ne fuoriesce e che ci incanta come serpenti appena usciti dal cesto. Il sipario di velluto rosso che si apre frusciando piano a rivelare un fantastico Schiaccianoci, costumi che sembrano usciti da un libro di fiabe e danzatori che ballano come in un sogno sotto a un gigantesco albero di Natale. Sprofondata nella poltroncina guardo affascinata, assorbendo la musica e le emozioni che arrivano a ondate inseguendo violini e arabesque, quando la tua manina si intrufola nella mia e avvicinandoti sussurri, grazie mamma, che bello. Caccio via una lacrima e ti stringo, cosa vuoi che sia tesoro, il regalo è un po' anche per me, e poi vuoi mettere la felicità nel donarti un vero balletto e dirti che infinite ore di sbarra e sacrifici possono anche portare a questo, se lo vorrà il futuro e soprattutto se lo vorrai tu. E se anche resterai spettatrice, che importa: sarà sempre una gioia tornare a sedermi con te in platea tutte le volte che vorrai lasciandoci portare in alto dalle note, dai tutù e dalla magia della fata Smemorina.

giovedì 27 novembre 2008

Un altro giro di giostra

Gli occhi ancora un po' appannati, stamani fanno a gara con i vetri della finestra, appannati anch'essi, che fuori fa un freddo bubbolo, e mentre lentamente porto la tazzina di caffè alle labbra, unico momento di quiete mattutina prima che scatti il semaforo verde del Gran Premio che si corre tra queste mura ogni mattina, rifletto. Su nulla e tutto in verità, anche i pensieri sono ancora un po' appannati e la preziosa miscela che stringo tra le mani ancora non è entrata in vena. Penso alla giornata che mi aspetta, agli orari, alle scadenze, gli appuntamenti. Come tante tessere di un puzzle sparpagliate sul pavimento che una dopo l'altra andranno pian piano al loro posto e scandiranno il mio giorno accompagnandomi fino alla sera, anche se qualcuna resterà inutilizzata sul pavimento, ché qualcosa resta sempre fuori e viene immancabilmente rimandata al giorno dopo. Penso che questo pollaio alla fine stia prendendo forma, seppur lentissimamente, e che ogni giorno è una sorpresa, come stamani quando la picci ha aperto gli occhi e, abracadabra, nottetempo il Galletto le aveva finalmente montato la rotondeggiante scrivania e la sottostante cassettiera. Le mensole no, che trapanare il muro a mezzanotte non sarebbe stato gentile nei confronti dei vicini, così anch'esse diventeranno un'altra sorpresa per i giorni a venire. Un pezzo alla volta, per carità, caso mai si potesse fare indigestione. Medito su questo Natale che si sta avvicinando a passi da gigante e che quest'anno mi sta cogliendo di sorpresa, impreparata, un'interrogazione senza giustificazioni, come ogni tanto decideva di fare la mia professoressa di Diritto ed Economia, cosa che le riservava delle tali bordate d'odio da noi studenti che nemmeno la Battaglia dello Jutland. Sto pensando alle tende a rullo, ai cuscini da portare dal tappezziere, ai muri da rimbiancare, ai mobili mancanti e agli scatoloni sparsi che ogni giorno cambiano posto come pedine sulla scacchiera, come posso occuparmi anche di letterine a Babbo Natale e calendari dell'avvento, datemi tregua, che c'ho una certa età perdinci. Finisco di bere il caffè, gli occhi si spannano e il semaforo sta per scattare sul verde. Stop alle riflessioni, si parte. Altro giro, altra corsa.

lunedì 24 novembre 2008

Un regalo speciale

I regali possono essere di tanti tipi, soprattutto quelli che decidiamo di fare a noi stesse, a metà strada tra il premio e il cotillon, per donarci un sorriso e ripagarci di tutto quello che facciamo, imbastiamo e produciamo dalla mattina alla sera senza fermarci mai, in pista tutto il giorno e nessun tipo di pit stop. Così ogni tanto ci scappa la ricompensa, che spazia dal bombolone alla crema a un cinema con la figliolanza, da una sessione di parrucco con tanto di taglio e colpi di sole a quel foularino che occhieggiavi da giorni nella vetrina sotto casa. C'è poi un altro tipo di regalo che fa ancora più piacere, di non facile realizzazione ahimè, ché la materia prima è assai rara oggigiorno, ma se hai la fortuna di poterti regalare un'amica credo che non ci sia premio più bello. A me sabato scorso è capitato proprio questo, di regalarmi un'amica o, per dirla tutta, di regalarmi un abbraccio a un'amica mai vista prima ma con la quale sapevo da tempo di avere un feeling particolare. Eh sì, in questo mondo virtuale fatto di forum e chat, blog e profili, può capitare di conoscere qualcuno da anni, chiacchierarci come nemmeno sotto al casco del parrucchiere, scambiarci lacrime e frivolezze, leggere quel che esce dalla punta delle dita, che sappiamo bene essere collegate a filo diretto col cuore, e pensare che, caspiterina, come mi piace questa persona qui. Poi un bel giorno capita che colei passi dalle tue parti per promuovere un’iniziativa bella come questa e pensi se non sia il caso di farti un regalo e andare a conoscerla, piantando in asso il consorte alle prese con un armadio da montare e la pulcina con una poesia da imparare a memoria. Eccheccavolo, per un paio d'ore faranno a meno di me. Così mentre cammini nelle stradine del centro storico sotto il freddo sole novembrino scansando frotte di giapponesi che fotografano qualsiasi cosa pensi a cosa le dirai e ti senti più emozionata che se dovessi sostenere un esame. La vedi e la riconosci dagli occhi, belli e pieni di gioia, è lei, è lei davvero, è così che pensavo fosse, proprio come dev'essere un'amica. Ma sei tu? Sì, sono io. Un abbraccio e lì a ridere e a piangere come sceme. Che buffo. Che bello. Poi le chiacchiere, ché le amiche si sa son fatte per quello, racconta, dimmi, ma tu, ma io. E poi le amiche dell'amica, che sono anche un po' le tue, che in questa occasione, tanto per non farsi mancare niente, ne ho conosciute due, una più brava dell'altra. Sì, stavolta mi son fatta proprio un bel regalo, di quelli che trovano subito un posticino speciale dentro al cuore. E lì rimangono.

venerdì 21 novembre 2008

Sogni d'oro

Ci infiliamo sotto il piumino desiderose di caldo, coccole e sonno. Io stranita e abbacchiata dal vaccino antinfluenzale che quest’anno si sta facendo sentire davvero e che mi fa anche dolere il braccio neanche fosse fratturato, e meno male che è il sinistro altrimenti sai che ridere domattina in ufficio. Tu sei cotta al punto giusto ma resisti perché muori dalla voglia di cominciare il libro nuovo che ci aspetta, quello che ti leggo io, ad alta voce, facendo le voci buffe e le espressioni dei personaggi, che qui c’è da sbizzarrirsi visto che si tratta del terzo capitolo della tua amata saga di Fairy Oak, tutto un brulicare di streghe, fatine e alberi parlanti. Così è stato deciso che stasera in via del tutto eccezionale ci faremo un po’ di compagnia sotto le coperte, come quando il Galletto non c’è anche se c’è, ma visto che sarà impegnato con il cemento a pronta fin verso la mezzanotte è come se non ci fosse, anche se è lì che ci guarda con quel suo cipiglio a metà strada tra il sorriso e la minaccia. Sai cos’è, forse è solo un po’ geloso. La lettura inizia e le pareti della stanza diventano il bosco di Verdepiano, l’armadio si trasforma nel nascondiglio del Terribile 21 e fuori dalla finestra sembra quasi di sentir fischiare davvero il vento che soffia intorno a Faro di Aberdur. La magia delle parole ci avvolge e non smetteremmo più, lo so bene io che sono proprio come te, ma uno sbadiglio ci coglie di sorpresa e una rapida occhiata all’orologio mi richiama all’ordine e spengo la luce, la formula di rito sussurrata e una profusione di bacini tra collo e orecchio e su quegli occhi caldi già semichiusi dal sonno. Ti accoccoli come un gattino, la mano appoggiata sotto al mento nell’identica posizione di quando eri nella culla, schiena contro schiena e guai a muoversi che tu rapida te ne accorgi e ti riattacchi come uno sticker morbido e gommoso di ultima generazione. Dopo poco sento il tuo respiro speciale, quello lungo e soddisfatto della resa definitiva al sonno che ti deposita tra le braccia di Morfeo e mentre stringo piano la tua manina calda e asciutta una lacrima scivola via furtiva dai miei occhi e si perde nel cuscino. Sogni d’oro amore.

martedì 18 novembre 2008

Il paese delle meraviglie

Da qualche giorno Alice è venuta ad abitare a casa mia e, per avere un po’ di compagnia, non si è limitata a portare con se Bianconiglio o il Cappellaio Matto ma si è portata dietro proprio tutto il paese delle meraviglie, annessi e connessi, il che ha creato non pochi problemi logistici, visto che nel pollaio ancora parecchio cantiere i mobili e le suppellettili hanno una collocazione del tutto provvisoria e improvvisata, come dire che un giorno sotto la scala c’è la poltroncina che il giorno dopo trasloca per cedere il posto al termosifone ancora imballato il quale a sua volta dopo poche ore viene spostato per far accomodare i secchi di vernice e le tende nuove ancora impacchettate. Un gran bailamme, non c’è che dire, dove anche trovare un ombrello diventa una caccia la tesoro. Avviene così che per accogliere degnamente Alice venga montata in quattro e quattr’otto una postazione pc proprio davanti all’ingresso di casa, perché giustamente quando si arriva anziché aver bisogno di appendere il cappotto o appoggiare la borsa potremmo avere una voglia impellente di googlare qualcuno o dare una controllatina alla posta, che del resto la casella elettronica è sicuramente sempre più piena di quella in legno all’ingresso del palazzo ormai disertata da tutti tranne che dalle bollette da pagare. Ci si ritrova quindi con un fiume di cavi colorati che corrono sul pavimento, dal pc al telefono alla televisione e viceversa, anda e rianda, d’altronde per adesso è già tanto aver accolto questa nuova amica che non è proprio il caso di pensare anche ai suoi amici wi-fi, arriverà anche il loro turno prima o poi ma per adesso non allarghiamoci troppo per favore. Poi c’è l’aggeggio nuovo nero e piatto che m’incuriosisce non poco, visto che questa signorina me l’ha portato in regalo, a me che ho sempre messo il veto a parabole e compagnia cantante e che adesso mi trovo a franare miseramente sui miei stessi convincimenti cercando di giustificarmi ripetendo come un mantra che la picci non è più così picci e sicuramente non si farà fagocitare dall’offerta cinematografica che le è improvvisamente caduta addosso. Mettendo a tacere quindi qualche senso di colpa mi trovo a rimirare questo paese delle meraviglie che mi circonda e non riesco a trattenere un sorriso pregustando telefonate chilometriche ricche di ciane con le amiche, momenti di vagabondaggio sfrenato tra pagine web, ricette on demand e previsioni meteo dell’ultimo secondo, e serate cinematografiche dove senza vincoli di orario ma seguendo solo la scia dell’umore o del momento potrò gustarmi una commedia romantica o un thriller mozzafiato. Tanto c’è Alice. Splendido, assolutamente splendido. Peccato però che il kit d’installazione non comprendesse un accessorio fondamentale, che ho cercato bene negli imballi e nelle buste ma che apparentemente non è proprio in dotazione: la giornata di quarantott’ore.

venerdì 14 novembre 2008

Pioggia di premi

A quanto pare gli effetti speciali di Novembre non sono ancora finiti e continuano a sorprendermi, fortunatamente in vesti ben diverse dalla vendetta di Montezuma ed in modo assai più gratificante, visto che una profusione di premi è appena piovuta sul pollaio. Già son felice quando nel pollaio vengono deposte delle uova, ché un pollaio senza uova sarebbe alquanto triste mi se lo lasci dire, ma quando poi, così, a sorpresa, mi si annuncia che c’è un uovo d’oro deposto appositamente per me che non aspetta altro di venire ritirato, beh, altro che red carpet e vestiti da sera, la Gallina va proprio in brodo di giuggiole. Così capita che Suysan e Odeline, l’una per la dolcezza del mio pollaio e l’altra per i miei consigli letterari, mi abbiano quasi simultaneamente insignita del Premio Dolcezza, che in questi amarognoli e incasinatissimi giorni novembrini una bella spolverata di zucchero a velo è proprio quello che ci vuole per addolcire l’anima e ammorbidire il cielo grigio che mi sovrasta. Capita anche che poco dopo la cara Cipolla decida di deporre a sua volta un altro uovo d’oro e mi assegni così il Premio Dardos, che riconosce ai bloggers il loro impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari e personali e premia la creatività del blogger stesso. Che dire, grazie infinite, ne sono davvero onorata. Naturalmente, depongo a mia volta alcune uova d’oro. Per il premio Dolcezza, spargo un po’ di zucchero su alcuni blog che mi fanno sempre sbocciare il sorriso: Patio Andaluz, Le avventure di Paperinikka, La Coniglia e Mammamsterdam, mentre assegno il premio Dardos a L’insieme di Julia, Sesto Potere, Piattini Cinesi e naturalmente a Panzallaria con un grande in bocca al lupo per la sua nuova avventura dedicata al mommyblogging. Qui di seguito i regolamenti dei due premi nel caso i premiati desiderino continuare a deporre uova d’oro. Io, nel frattempo, torno a rimirare le mie. E ancora grazie.

Regolamento del Premio Dolcezza:
Preleva il premio da questo link e inseriscilo nel tuo blog scrivendo un post come simbolo di gratitudine linkando chi ti ha premiato. Per poter ritirare la targa devi premiare a tua volta altri blog e se vuoi indica le motivazioni. In seguito potrai, in qualunque momento, assegnare il premio ad altri blog.

Regolamento del Premio Dardos:

Accetta e visualizza sul tuo blog l’immagine del premio, linkando il blog che ti ha premiato e pubblicando il regolamento. Premia a tua volta altri blog che ritieni meritevoli avvisandoli del premio.

mercoledì 12 novembre 2008

Effetti speciali

Me lo sentivo che Novembre avrebbe portato con se degli effetti speciali e quelli che l’altro ieri mi hanno ridotta in condizioni pietose con tanto di febbrone da cavallo lo son stati di sicuro, benché del tipo meno gradito, quelli gastrointestinali, che in men che non si dica ti rendono pronta per la discarica comunale. Un vero spettacolo, non c’è che dire, roba da far invidia a L’Esorcista. C’è da dire però che è proprio vero che non tutto il male viene per nuocere, ché passate le prime ventiquattr’ore Dario Argento style, se si riescono a sopportare la residua emicrania e i giramenti di testa che nemmeno mi fossi scolata una delle bottiglie d'annata del consorte, ci si può improvvisamente ritrovare possessori di una mattinata a propria disposizione, da trascorrere nel tepore del proprio letto ascoltando finalmente il silenzio che regna sovrano dopo che pulcina e galletto sono partiti per scuola e ufficio rispettivamente. Così può capitare che si riesca finalmente a rendere operativo il cellulare nuovo che attendeva fiducioso nella scatola da ben quattro mesi, con tanto di certosina trascrizione manuale dei numeri telefonici dalla vecchia memoria telefono visto che la sim era piena come un uovo, che essendo la sim della Gallina direi che non sarebbe potuta essere altrimenti. Può anche capitare che si riescano finalmente ad esaminare alcuni documenti dei quali avevo pressoché dimenticato l’esistenza, a rincollare con due gocce di Attak e svariati litri di pazienza gli orecchini di perle grigie che giacevano dimenticati nel portagioie e a mettere finalmente un po’ d’ordine nel ricettario che strabuzzava ritagli di ogni tipo in attesa di sperimentazione. Insomma, quella che io considero una mattinata altamente costruttiva, nonostante gli effetti speciali.

giovedì 6 novembre 2008

Caro amico ti scrivo

Dear Barack,
I don't know why I'm writing this letter, but I know that after all the shivers and emotions I felt today I just had to. It's a silly thing to do but I am nothing less than a silly, old hen.
Everybody is saying that the States are going to change the world now that you will be leading them. I'm not sure this will really happen but I'm sure that you certainly can try.
I'm not going to talk about economy, recession, wars and stock market, you'll have to deal with a lot of people talking of these issues in the months to come. I just have to tell you something that really lies at my heart as a mother. Well, I am forty-three and I am a mother, you are forty-six and you are a father, so I believe that after all we have a little something in common: the future of our kids.
I would like a bright future for them, in a peaceful, cleaner world. I'm sure you would like the same and I hope you will really try for that and I thank you for this.
I don't think that there will ever be a chance that you will really read this message but now that I've written it I feel better, definitely better. After all, I'm just a silly, italian, old hen.

martedì 4 novembre 2008

Novembre

Novembre è partito sul binario nove e tre quarti, quello che porta a Hogwarts per intenderci, visto che son fresca di un ripasso potteriano avvenuto sabato sera in occasione della prima visione da parte della pulcina del primo capitolo dell'avvincente saga. Ed è proprio così che lo vedo questo Novembre, nero e rosso come un treno a vapore che sferragliante e magico mi trasporterà verso l'inverno, la nebbia e il Natale, che quest'anno, per scongiurare vendite misere, tutti stanno anticipando e i grandi magazzini già sfoggiano ghirlande, palline e renne in quantità. Si preannuncia un Novembre ricco di impegni, ludici e non, visto che nel pollaio-magazzino ancora stazionano scatoloni, secchi di vernice e scalei aperti un po' dappertutto, d’altronde non è da tutti avere trapani e cacciaviti al posto dei soprammobili, finestre senza tende per la felicità dei vicini voyeurs e cavi elettrici che sbucano da soffitto e pareti in attesa che vengano misericordiosamente attaccate le lampade. Insomma, quando dico che il pollaio è unico ne ho ben donde. Ma pare che ci saranno anche momenti diversi: una giornata dei lupetti che forse non sarà calda come quella dell'anno scorso ma che ci scalderà i cuori come nemmeno Ferragosto, un pomeriggio dedicato alla solidarietà per i bambini meno fortunati, una gita fuori porta per la sagra del tartufo che ormai è diventata un rito irrinunciabile, una giocosa festa di compleanno di una meravigliosa treenne e uno spettacolo sulle punte, che lo Schiaccianoci ci sta sempre bene quando Natale sta per arrivare. Nonostante la pioggia che batte incessante da ieri e le mani fredde che sarebbe anche il caso di accendere un po' di riscaldamento, questo grigio Novembre mi sembra grigio solo in superficie, un po’ come una frase fatta, che si dice perché si deve, come Marzo pazzo anche se splende il sole tutto il mese. Sotto-sotto invece questo novembre mi pare proprio in technicolor. E con tanto di effetti speciali. Del resto dall’Hogwarts Express non mi sarei aspettata niente di meno.

venerdì 31 ottobre 2008

Non mi piace

Non mi piace fare le cose di corsa, quel saltare da una all'altra senza riuscire a farne bene nessuna, quell’essere diventata abitudine anziché eccezione. Non mi piace che la pulcina sia arrabbiata con me ed io con il Galletto e lui con me ed io con lei, in un loop che non ha inizio e non ha fine e tutti siamo nervosi con tutti. Non mi piace ricordare che esattamente un anno fa oggi pomeriggio la pulcina avrebbe trascorso il suo dolcetto o scherzetto tra pronto soccorso e terapia del freddo con una maschera violacea in faccia che avrebbe fatto impallidire i più bei travestimenti di Halloween. Non mi piace che l'idraulico dia la colpa all'elettricista e che l'elettricista dia la colpa all'idraulico, in uno scarica barile che non porterà da nessuna parte se non al fatto che il climatizzatore probabilmente continuerà a non funzionare bene. Non mi piace trovarmi alla vigilia di un fine settimana e sapere già che la cosa più divertente che mi capiterà di fare sarà il cambio degli armadi che non posso più continuare a rimandare. Non mi piace questo clima da caccia alle streghe che si è instaurato in ufficio, con l'amara constatazione che la talpa non è solo un programma televisivo. Non mi piace pensare che quella spregevole persona che pochi giorni fa ha molestato i bambini durante la festa sia ancora libera di circolare dato che la volante della polizia ci ha messo un quarto d'ora per arrivare. Non mi piace continuare a legarmi i capelli per non farli schizzare a destra e a manca neanche fossi una naufraga dell'isola. Non mi piace ascoltare il telegiornale e accorgermi con orrore che sentire solo brutte notizie è praticamente diventata un'abitudine. Non mi piace la nuova maestra di matematica che perde tempo a far fare disegni al posto di quei sacrosanti problemi della mia epoca tipo la mamma va al mercato e compra tre chili di carote, che saranno stati anche stati noiosi ma perlomeno facevano mettere in moto il cervello. Non mi piace fare una lista di cose che non mi piacciono e rendermi conto che sono davvero tante. Però adesso mi sento più leggera.

giovedì 30 ottobre 2008

Tutto è relativo

Interno sera. Stiamo finendo di cenare e noto che la pulcina si fa improvvisamente un po’ seria e silenziosa. Mi accorgo che sta rimuginando qualcosa. Non dico e non faccio niente in attesa che i suoi pensieri arrivino in superficie e dopo un po’ sbotta: “E’ vero che Gesù è la cosa più importante che abbiamo?” ci chiede con gli occhi inquieti. “Perché ce lo chiedi? Ne avete parlato a scuola?” chiede il Galletto per tastare il terreno. “No, ma ce lo ha detto la catechista e secondo me, anche se non gliel’ho detto, non è vero” risponde esitante la pulcina. “Come mai secondo te non è vero?” le chiedo stringendole la mano sopra la tovaglia. “Perché io senza Gesù potrei stare ma senza di voi non potrei proprio vivere” ci risponde la pulcina guardandoci con gli occhi lucidi “quindi secondo me la cosa più importante che ho siete voi”. Momento di silenzio. Poi scattano a raffica un abbraccio, un’improvvisa epidemia di occhi lucidi, una spiegazione sul significato di importanza di Gesù e del significato di amore, che spero non abbiano confuso ancor di più la pulcina. Ma sul primo momento, senza nulla togliere a Gesù, mi son sentita volare in alto come un palloncino.

martedì 28 ottobre 2008

Fruga che ti passa

Metti una domenica mattina d'autunno inondata di sole che solo ad aprire le persiane ti vien voglia di non restare in casa un minuto di più. Metti tua figlia da accompagnare in chiesa che tra funzione, catechismo e giochi in oratorio sarà impegnata per quasi tre ore. Metti le strade del quartiere disseminate di bancarelle colorate per la fiera di Ottobre e una folla allegra e vociante che s'impossessa dell'asfalto, dei sensi unici e degli stop dove per una volta al posto delle gomme circolano solo piedi e passeggini. Metti una passeggiata tra i banchi osservando e scrutando con la libertà e la spensieratezza che solo il mercato sa dare. Metti le tue mani che frugano, valutano e ispezionano attentamente le mercanzie, tra cinture e piumini, tovaglie e stivali, fili di falsissime perle e confezioni industriali di collants. Metti un allegro ritorno verso casa in compagnia del Galletto che si è fatto traviare sulla via dello shopping e che porta baldanzoso svariati sacchetti. Metti tutto questo, una mente sgombra da nuvole, quella piccolissima euforia che t'invade quando trovi quello che cercavi e ti senti come se avessi appena trovato una pepita d'oro tra le acque dello Yukon, e avrai appena creato una semplicissima, terapeuticissima, mattinata anti stress.

martedì 21 ottobre 2008

La borsaiola

La borsaiola entra in azione a tarda sera, quando gli altri sono a letto o impegnati a guardare la tivù e in quei cinque minuti di tranquillità che riesce a ricavarsi apre l’armadio e le guarda, una per una, scrutando e valutando, sospesa tra colori e previsioni del tempo, finché lo sguardo si ferma sulla prescelta, che tira fuori con amore, pronta a donarle una parte di se per una settimana o qualche mese di stretta collaborazione, più di un'amica, praticamente una confidente. Lei ricambia lo sguardo con ardore, pronta ad accogliere e custodire con cura tutti gli ammennicoli che le verranno affidati dai quali, ben lo si sa, la borsaiola non si separerebbe mai neppure sotto minaccia di morte. Ecco così che sceglie con cura l'angolino ove riporre la bustina nécessaire, quella che contiene lo specchio, il pettine, ago e filo, gli analgesici e i cerotti, che fanno sempre comodo quando si ha a che fare con picci che spesso lasciano strati di pelle su marciapiedi e altalene. Su un fianco sistema l'agenda, quella dove scrive di tutto, dai numeri di telefono alle misure del divano, alle ricette, alle liste per la spesa, quella che deve essere sempre a portata di mano, di penna e di idee, affiancandola al portafoglio, che ultimamente più che di banconote è rigonfio essenzialmente di carte plastificate di ogni genere, dalla carta fragola al bancomat, da quella della libreria a quella della profumeria, dal codice fiscale a quella del noleggio vhs che deve essere pure scaduta. Nelle taschine laterali trovano il loro posto gli svariati mazzi di chiavi, labello, cellulare, penne e mentine, mentre i fazzoletti di carta, gli occhiali da sole, l'ombrellino e la shopper si sparpagliano con allegria, pronti a scambiarsi i posti come se giocassero ai quattro cantoni. L'ordine regna sovrano e la borsaiola lo ammira per qualche attimo ben sapendo che nell'arco di pochi giorni, se non addirittura di ore, ci sarà chi giocherà a nascondino e chi si mimetizzerà tra avanzi di merende e volantini pubblicitari, mentre la mano razzolerà frenetica alla ricerca dell'ennesimo ago nel pagliaio. Ma ora non ci pensa, il momento è tutto suo e si gode il rito voluttuoso e inebriante del cambio di borsa, che la fa sentire nuova di zecca anche indossando pantaloni di cinque anni fa e che sì, perbacco, le fa ritrovare in un istante persino il buonumore che solo qualche giorno fa pensava di aver perso ma che invece, guarda un po', era andato a finire dentro questa borsa nuova, marrone come un cioccolatino, che la stava aspettando.

giovedì 16 ottobre 2008

Missing

Mi chiedo dove sia finito. Ne avevo tanto, una bella scorta che tornava sempre utile, soprattutto in quei momenti in cui gli eventi precipitavano e una piccola dose si rivelava un perfetto paracadute. Per andare avanti, per fare un altro passo, per stringere i denti. Son diversi giorni che lo cerco ma stavolta non riesco a ritrovarlo. Ho guardato dappertutto: in borsa, nel cassetto di cucina che contiene di tutto, dal tagliere alla calcolatrice, perfino nelle tasche dell’accappatoio, che poi mi son sempre chiesta a cosa servono le tasche in un accappatoio, non si va mica in doccia con le chiavi dell’auto o col cellulare, ma questa è un’altra storia. Ho guardato anche tra gli scatoloni del trasloco e tra le bambole della picci: nulla, sparito, volatilizzato. Chissà poi perché. In fondo non lo trattavo mica male, sempre pronta allo scherzo e alla battuta come sono credevo di fornirgli l’habitat ideale dove poter prolificare come un fermento lattico nel latte e far sì che le mie scorte di yogurt per l’anima non finissero mai. Eppure è scomparso. Merito della polvere che ancora regna sovrana in casa mia, che i muratori li avrei uccisi seduta stante quando in giardino hanno tagliato le pietre con la mola lasciandomi le finestre di casa aperte. Merito di un cambiamento sul lavoro che non so ancora se mi piace o no, ma del resto con gli americani che stanno stringendo il cordone della borsa è già grassa avercelo ancora un lavoro. Merito forse del ricordo di un prato che, se anche negli ultimi anni era diventato una via di mezzo tra un tappeto di muschio e una palude, dava sempre quel tocco di verde e adesso stento a credere che il lastricato lo coprirà per sempre. Merito anche delle discussioni quotidiane con la pulcina, del fai i compiti, non dire parolacce, non rispondere male, che Tom e Jerry non reggono neppure il confronto con i nostri inseguimenti intorno al tavolo, l’una per allungare uno sculaccione, l’altra per evitarlo. Merito di tutto questo, o forse no. La scomparsa del buonumore resta ancora un mistero.

lunedì 13 ottobre 2008

Lo striptease

Volgo lo sguardo in su e mi accorgo che gli alberi, incuranti dei venticinque gradi che improvvisamente ci hanno fatto visita, del sei del superenalotto che continua a fare marameo e dei cortei di studenti che gridano la loro rabbia, hanno iniziato a fare il loro lavoro. Lo striptease più bello del mondo, quello che il Moulin Rouge ci fa un baffo e che anche i bambini possono guardare, quello che ogni anno essi puntualmente mettono in scena senza che lo spettacolo, immutato da milioni di anni, appaia mai noioso o demodé. Le foglie un po' dondolanti ma ancora attaccate ai rami, ché non ci si spoglia velocemente, questo lo sanno anche le collegiali, il centro verde, brillante, i lati leggermente arricciolati e croccanti, un po' rossi, un po' arancio, un po' oro, come se avessero indossato una gonna a balze, di quelle un po' folk da far roteare nel vento. Staranno lì a tremare per un po', staccandosi piano, una alla volta, volteggiando lentamente, languide e infuocate, per poi distendersi, fino a che un ultimo colpo di vento staccherà anche l'ultima e i rami mostreranno al cielo la loro perfetta nudità. Le foglie più piccole son già cadute, il suolo è cosparso da centinaia di petali gialli che i miei piedi calpestano con reverenza. Gialli come tanti post-it a ricordare al mio cuore quanta bellezza c'è. Basta solo saperla vedere.

mercoledì 8 ottobre 2008

Bianconera

Sto attraversando giorni senza sfumature, senza vie di mezzo né trattative, senza grigi né lilla né azzurri né blu. E' tutto bianco o tutto nero. Mi sveglio sorridente e aperta alla giornata che sta iniziando, penso che la nostra nuova casa sia proprio bella, che tutto si aggiusterà, che nonostante i mille impegni avrò anche il tempo per cucinare quella ricetta che sono giorni che rimando, che tutto sommato siamo a buon punto e che probabilmente nemmeno pioverà. Certo, è tutto bianco. Apro gli occhi e avrei solo voglia di restare sotto le coperte, nascosta come in trincea, ascolto le notizie e tra banche e borsa sento la sciarpa che si stringe un po' di più intorno al collo, non sopporto di vedere ancora i muratori per casa, che anche se adesso lavorano in giardino è tutto un andirivieni di orme, sabbia e fango sul pavimento e mi vengono le bolle al pensiero dello starnazzare che seguirà la riunione scolastica di stasera. Naturale, è tutto nero. Procedo così, come in altalena, un giorno bianco, un giorno nero. Allegria e tristezza. Calma e ansia. Gioia e ira. Dall'una all'altra in un battibaleno. Passerà. Ma sì, per forza, tutto passa. Io però nel frattempo mi sento più a strisce che se fossi diventata juventina.

venerdì 3 ottobre 2008

I crostini della domenica

Mia madre non è mai stata una gran cuoca. Lavorava, portava avanti una casa e una famiglia, era malata e cominciava lentamente ad aggravarsi, così il tempo per cucinare non era mai molto e si limitava a fare quei piatti che l’abitudine e la tradizione le consentivano di fare velocemente quasi ad occhi chiusi. Il menù settimanale era scandito da regole ferree che raramente venivano infrante: pasta asciutta a pranzo, minestra la sera, pesce il venerdì, arrosto la domenica. Tutte le volte che voleva sottolineare la giornata festiva, come mettere i fiori in tavola o la tovaglia buona, lei faceva i crostini, piatto immancabile in ogni famiglia fiorentina allargatosi più o meno in tutta la Toscana. Sui ricettari si chiamano crostini di fegatelli o crostini toscani, ma per me erano e sono ancora solo e semplicemente i crostini. Da piccina stavo a guardarla mentre li preparava, le sue mani veloci che tritavano e mescolavano, pregustando già il momento in cui li avrei potuti inumidire nel brodo caldo. Ricordo la gioia e l’orgoglio di quando fui promossa aiutante sul campo, io tritavo e lei impastava, e quante volte di soppiatto infilavo un dito nell’impasto e svelta me l’infilavo in bocca prima che lei se ne accorgesse. O forse se ne accorgeva ma faceva finta di nulla. Poi lei tagliava le fruste di pane a fette e le imburrava mentre io spalmavo l’impasto col coltellino piatto stando attenta a non metterne troppo né troppo poco. Spesso venivamo interrotte da mio padre che tornava dalla caccia e nell’appoggiare sul tavolo il suo bottino fatto di tordi o fagiani allungava svelto una mano verso il vassoio dei crostini e ne faceva sparire un paio, mentre mia madre brontolava qualcosa e lui mi faceva l’occhiolino. L’orologio sulla parete della cucina ticchettava, i vetri si appannavano, io in ginocchio sulla sedia di formica verde continuavo a spalmare e la nostra domenica continuava così, con semplicità. Sono passati tanti anni, ma questa è in assoluto la ricetta dell’infanzia che ricordo con più affetto, sia perché è ancora parte integrante della mia vita culinaria e spero che lo diventi anche in quella di mia figlia, sia perché quelle domeniche mattina nel caldo della cucina con mia madre e con l’amore, la vicinanza e il senso di condivisione che ci accomunavano sono state soprattutto un’insostituibile ricetta di vita.

I crostini della domenica

Ingredienti:
un paio di fruste di pane all’olio (sfilatini lunghi e sottili simili alle baguettes)
8 fegatini di pollo con il cuore
4 acciughe sotto sale
capperi sott’aceto
burro
brodo di carne
pepe nero

Preparazione:
Lavare i fegatini con i cuori e disporli interi in una casseruola con un abbondante pezzo di burro ed una presa di pepe e cuocerli per circa mezz’ora. Se i fegatini assorbono tutto il burro allungare il fondo di cottura con del brodo. Nel frattempo lavare e diliscare le acciughe. Quando i fegatini saranno cotti toglierli dal fondo di cottura e tritarli finemente col tritacarne insieme alle acciughe e due cucchiaiate di capperi scolati. Rimettere il trito ottenuto nella casseruola col fondo di cottura e far scaldare a fuoco baso mescolando bene senza che prenda mai il bollore. Se l’impasto fosse troppo sodo aggiungere del brodo fino ad ottenere una consistenza giusta per essere spalmato . Tagliare le fruste a fettine non troppo sottili, imburrarle e spalmarvi l’impasto di fegatini. Disporre i crostini su un vassoio e servirli subito caldi, eventualmente bagnandoli con un po’ di brodo caldo.

Con questa ricetta di ricordi partecipo al concorso indetto da Cavoletto di Bruxelles che ha deciso di regalare una storia d’amore. Sinceramente, la mia storia d’amore con il mitico premio in palio è già iniziata da un pezzo, anche se si tratta purtroppo di una storia assolutamente platonica e a distanza, a senso unico ahimè. Chissà che stavolta non sia la volta buona e, visto che non si tratta di George, il Galletto non potrebbe neppure esserne geloso.

martedì 30 settembre 2008

Io, tu e Raffaello

Le cose che nascono all’improvviso, un po’ per caso, seguendo l’ispirazione del momento spesso si rivelano più autentiche, più ricche di significato e di sapore di quelle che invece si sono programmate da mesi che quando si arriva al dunque sappiamo già tutto e sembra di vivere un déjà vu. E’ quello che è successo a noi due sabato pomeriggio, che decidiamo di seguire il Galletto in uno dei suoi innumerevoli appuntamenti vinicoli, visto che si svolge nelle stradine del nostro bellissimo centro storico, che per motivi di praticità e logistica finiamo però per non percorrere quasi mai, godendo di un pomeriggio di sole e vento che di Settembre ha solo il nome. La piazza è gremita, turisti, appassionati, gente che passa per caso, curiosi e coppie di innamorati, tutti accomunati da un bel calice in mano e un liquido rubino che fiammeggia al sole, seduti sul selciato lievemente in salita che fronteggia l’austera facciata di Palazzo Pitti. Osserviamo il Galletto che degusta, le dozzine di bottiglie, le innumerevoli etichette diverse, i sommeliers in alta uniforme e i giapponesi che scattano fotografie a raffica. Mi guardo intorno e vedo la lunga fila di turisti in coda per entrare al palazzo, rifletto sul fatto che la maggior parte di loro viene sicuramente dall’altro capo del mondo solo per poter fare quella coda e così, improvvisamente, mi chiedo perché non raggiungerli. Facendo un rapido calcolo è una ventina d’anni che non entro nelle sale e quale occasione migliore per rivivere le emozioni che quelle tele meravigliose sanno trasmettere condividendone la gioia con te che le vedi per la prima volta. Che ne dici di un museo? Accogli la proposta con gioia e lasciando il Galletto al suo destino di Ribolla e Syrah ci mettiamo in coda insieme a tedeschi e australiani e ci infiliamo nella Galleria Palatina. Penombra, voci sommesse e faretti a illuminare sapientemente volti di nobildonne, trittici e annunciazioni. I passi attutiti dalla moquette ci guidano da Filippo Lippi a Botticelli, a Rubens, a Tiziano, a Van Dyck, mentre il tuo sguardo corre, si ferma e osserva rapito e la tua vocina legge le spiegazioni dipinto per dipinto, contando i secoli e chiedendo infiniti perché. Sono nata in una città che viene chiamata la culla dell’arte, dove si incontrano capolavori in ogni chiesa e ad ogni angolo, ed è difficile che possa venir colta dalla sindrome di Stendhal eppure mi accorgo che questa volta è diverso, che ammiro le pennellate con una consapevolezza nuova e capisco che questa grande emozione nasce dal fatto di vedere tutto attraverso i tuoi occhi. Improvvisamente il mio sguardo cade su quel dipinto, che amo in particolar modo, da quando in quelle stesse sale i miei occhi di ragazzina incontrarono la dolcezza infinita di quella Madonna con Bambino e decisi che mi trovavo di fronte al più bel quadro del mondo. E’ ancora così, oggi come allora la magia della Madonna della Seggiola di Raffaello mi travolge e, mentre ti racconto del mio amore speciale per quel dipinto e di quando è nato, i miei occhi si appannano un po’ e non capisco se le scintille che si accendono nei tuoi sono per la storia che ti racconto, per la bellezza del quadro o per entrambe le cose. Chissà, in fondo non è importante. Quello che importa è che abbiamo vissuto dei momenti magici insieme a dei pezzi di storia che da più di cinquecento anni continuano a far innamorare chi li guarda e che quando abbiamo ritrovato il Galletto atto a disquisire di annate e verticali gli hai raccontato la nostra avventura con più entusiasmo che se fossimo state a Disneyland. Mentre mi concedo due dita di un dolce Pomino bianco da vendemmia tardiva lo sguardo si sposta dalla tua testa bionda che racconta alla facciata di palazzo Pitti che si tinge lentamente d’oro e ripensando alla magia di Raffaello chiusa dietro a quelle mura, sorrido.

giovedì 25 settembre 2008

Polpetta time

Credo che nella vita di ciascuno prima o poi capiti di imbattersi nelle polpette. A me è capitato ieri. Già, sembrerà strano, pur avendo al mio attivo valanghe di roast beef e ariste al forno, dozzine di arrosti di tacchino e vitello ai funghi, svariati filetti in crosta, conigli in umido, spezzatini e gulasch, alle polpette non c'ero ancora mai arrivata. Al massimo ero ricorsa al bustone di polpette svedesi surgelate dell'Ikea accompagnate da quella deliziosa cremina e una bella cucchiaiata di composta di ribes rossi. O avevo riassaggiato nei ricordi il sapore delle buonissime polpette al sugo che faceva mia madre, piccole e leggere, che una tirava l'altra peggio delle ciliegie. Insomma, vuoi perché mi son sempre sembrate un piatto un po' da riciclo avanzi, vuoi perché non avevo mai trovato una ricetta che mi ispirasse abbastanza, non avevo mai provato a farle. Mai dire mai, ed ecco che l'occasione si presenta, improvvisa e fuori programma, creata da mezzo chilo di macinata di magro che volevo trasformare in ragù e un impegno inaspettato che mi ha impedito di comprare il resto degli ingredienti. Così, ieri sera verso le ventidue, la macinata mi guardava triste dal frigo e io ricambiavo lo sguardo ben sapendo che o la trasformavo velocemente in qualcos'altro o sarebbe finita nel secchio e, così sui due piedi, decido: ne farò polpette. Troppo tardi per telefonare a mia suocera e chiederle una dritta, ricettario ancora imballato in uno degli infiniti scatoloni ancora da aprire, internet che suona come una bestemmia in una casa dove il pc giace in un angolo bellamente smontato e scollegato. Quindi, si improvvisa, attingendo un po' ai ricordi di quando osservavo di sguincio mia madre che le preparava mentre io facevo i compiti al tavolo della cucina e aggiungendo un po' di personalissima inventiva, con la consapevolezza che quando si mischiano ingredienti buoni è difficile che venga fuori qualcosa di cattivo e poi, perdinci, devo fare delle polpette mica il cervo in agrodolce. Vuoi che sia stata l'inventiva, il ricordo delle polpette materne o puro caso, il risultato ha passato alla grande l'esame della sottoscritta, che con se stessa è più ferrea della commissione della Guida Michelin, e veleggia intrepido verso la cena di stasera. Ché le polpette, lo si sa bene, son buone anche riscaldate.

Polpettine al latte

Ingredienti:
500 gr. di macinata di manzo magra
un uovo
una fetta di pane casalingo
latte
parmigiano grattugiato
sale
noce moscata in polvere
pan grattato
farina
olio extra vergine di oliva
burro
mezzo dado da brodo
una sottiletta

Preparazione:

Togliere tutta la mollica alla fetta di pane e metterla a mollo in una tazza di latte. Nel frattempo mettere la carne macinata in una ciotola capiente e romperci dentro l’uovo. Aggiungere due cucchiai di parmigiano grattugiato, un cucchiaino di sale, mezzo cucchiaino di noce moscata, un cucchiaio di pan grattato e mescolare bene tutto il composto. Strizzare la mollica dal latte e incorporarla al composto, senza gettare il latte. Con l’aiuto di un cucchiaio prendere un po’ del composto e rotolarlo tra i palmi delle mani a formare tante palline e infarinarle. In una casseruola capiente versare un giro d’olio, aggiungere una noce di burro e mettere sul fuoco. Quando sarà caldo aggiungere le polpettine infarinate e far cuocere a fuoco vivace, coperto, fino a che non saranno rosolate da tutti i lati, voltandole spesso con delicatezza e aggiungendo mezzo dado spezzettato. Versare nella casseruola il latte rimasto nella tazza, aggiustare di sale e far cuocere coperto ancora un po’. Poco prima di spengere il fuoco aggiungere una sottiletta a pezzetti e incorporarla bene alla salsa di latte ottenuta. Servire le polpettine calde cosparse dalla crema di latte.

martedì 23 settembre 2008

Amo l'autunno

E' buffo pensare che tutte le volte che me lo hanno chiesto o che ho dovuto scriverlo in quegli elenchi di preferenze da test o da diario di scuola io abbia sempre indicato la primavera come la mia stagione preferita, perché mi accorgo invece di aver sempre dato una risposta sbagliata. Non che la primavera sia una brutta stagione, quando c'è, visto che ultimamente passa da queste parti solo per pochi giorni, giusto il tempo di far sbocciare qualche fiore e dare il via alle scorribande aeree delle rondini, per andarsene subito dopo e lasciare il posto alla sua collega stakanovista, quella che arriva sempre in anticipo indossando succinti bikini e colorate infradito; anzi, di per se non sarebbe affatto male, se non fosse che i brividi e il batticuore che mi provoca l'autunno difficilmente riesco a provarli in un giorno di Maggio quando all'apparire del sole si comincia già a sudare. C'è poco da fare, amo l'autunno. Amo le sue giornate corte che fanno venir voglia di mettersi ai fornelli a cucinar manicaretti, accendere il forno e star lì ad inebriarsi di quei profumini di torte e focacce che s'indorano lentamente. Amo la brezzolina che gioca a nascondino con le nuvole e mi permette d'indossare un bel tre strati di camicia golfino e giubbotto coordinando colori e nuances come fossero matite nell'astuccio. Amo la trapunta sul letto, che sa di coccole e tepore e star lì a leggere raggomitolata come un gatto mentre fuori la pioggia scrosciante suona una delle più belle colonne sonore che esistano al mondo. Amo il cielo cobalto che mi sovrasta nitido e lucido come un cristallo che solo a guardarlo vengo invasa da un misto di energia, gratitudine e buonumore che mi accompagnano per tutta la giornata. Amo la ripresa delle abitudini e dei programmi televisivi, dal trash allo pseudo intellettuale, ché tutto fa brodo per godersi un po' di pace serale quando l'occhio si annebbia e sopraggiunge la cascaggine. Amo questa via di mezzo tra il freddo che verrà e il caldo che fa capolino al pomeriggio, l'occhiale da sole pronto in borsa e il mocassino ancora senza calze, una tisana fumante e il cono gelato. Amo la sindrome dello scoiattolo che puntuale è arrivata al primo calare delle temperature e che tra un paio di settimane mi farà evitare la bilancia come la peste. Amo il ruggine, il rubino, il marrone, l'oro fuso, di cui lentamente si vestiranno i boschi e il mio guardaroba, la semplicità e la ricchezza di una vendemmia o di una fredda alba trascorsa a cercar funghi.

venerdì 19 settembre 2008

L'arcobaleno

Venerdì uggioso e piovoso, cominciato presto con l'elettricista che ci è piombato in casa all'alba mentre vagavo ancora per la casa in pigiama e che dopo cinque minuti aveva già riempito il pavimento di pezzettini di filo colorato e irrorato le scale wengé di deliziose bricioline di intonaco bianco, che si stagliavano nette e impertinenti a farmi marameo visto che ieri sera mentre passava il telegiornale io ero lì che passavo ancora l'aspirapolvere. So già che quando tornerò si saranno trasformate in impronte bianche sparse un po' dappertutto e così invece di pranzare farò mangiare l'aspirapolvere prima che arrivi l'insegnante d'inglese della picci e la sua amichetta che amano far lezione sedute sul pavimento ma che forse non amerebbero il ritrovarsi le terga imbiancate a festa. Senza troppa cura però, l'aspirapolvere intendo, visto che nel pomeriggio sarò omaggiata di una visita anche da parte dell'idraulico, che ovviamente lascerà dietro di se un'altra bella dose di cibo per la mia devota Hoover. Insomma, tra la pioggia grigia dietro il vetro e questo programma altamente ludico si prospetta proprio un bel pomeriggio, non c'è male assai. Pare che in serata smetterà di piovere e forse tornerà il sereno, ma io credo di aver trovato il modo di far brillare anche un arcobaleno. Ho letto qui di una bimba gravemente malata e della sua felicità quando riceve della posta a lei indirizzata, una cartolina, una lettera, un disegno fatto da bambini come lei. Così oggi pomeriggio la picci e la sua amica, entusiaste all'idea, dedicheranno la loro lezione d'inglese a scriverle un coloratissimo messaggio e, anche se fuori dalla finestra continuerà a scorrere la pioggia, dentro ai nostri cuori sboccerà senz'altro l'arcobaleno. Guarisci presto Ellie.

mercoledì 17 settembre 2008

Un giorno speciale

La scuola è ricominciata e anche quest'anno non avrei rinunciato per nulla al mondo a svegliarti, perché il risveglio del primo giorno di scuola è diverso da tutti, c'è quel misto di eccitazione e timore che te lo farà ricordare a lungo. Non avrei rinunciato ad esserci, che se anche ci sono sempre, è vero, esserci nei momenti speciali vale un po' di più e mi fa sentire più vicina e più mamma. Non avrei rinunciato ad accompagnarti a scuola, sbrigati è tardi, e tu che fili via impettita sul marciapiede mentre il grembiule blu ti svolazza intorno alle gambe e ti trascini dietro lo zaino nuovo versione trolley che finalmente risparmierà la tua e la mia schiena dalla fatica di portare tutto quel peso ogni giorno. Il cortile è gremito, sorrisi, saluti, chiacchiere, le foto di rito e poi la campanella che richiama tutti all'ordine ma che invece scatena il caos con i bidelli che cercano di non fare entrare i genitori e poi desistono, del resto è o non è un giorno speciale. Così m'infilo anch'io con te su per le scale, una fiumana di bimbi, genitori, voci e risa, e penso mestamente che magari l'anno prossimo mi chiederai di non farlo, che in quinta non si arriva in classe con la mamma. Così approfitto della mia forse ultima occasione ed entro in classe con te, saluti alle maestre, quelle vecchie e quella nuova, una bella foto con la compagna di banco. In bocca al lupo tesoro e un ultimo abbraccio. Anche stavolta il groppo alla gola non si fa attendere e un paio di lacrime scivolano via furtive, ormai è diventata una regola e non mi faccio cogliere impreparata, kleenex in tasca e occhiali da sole pronti da inforcare, anche se di sole ce n'è poco e le nuvole si rincorrono veloci. Uscendo getto uno sguardo ai cancelli accanto, quello della materna e quello del biennio, il tuo primo giorno d'asilo sembra ieri e quello di prima elementare un'ora fa. Mi accorgo che il tempo sta passando troppo in fretta, ma chi cavolo si è permesso di allargare il buco alla clessidra che la sabbia sta scivolando via senza che nemmeno me ne accorga. O forse sì, me ne accorgo anche troppo bene e non so come fare, così evito di pensarci, ma adesso proprio non mi riesce amore mio. Ti vedo già grande e tra poco lo sarai per davvero e se potessi farmi dare un passaggio da Emmett Brown sulla mitica DeLorean vorrei poter tornare indietro di qualche anno per approfittare un po' di più di tutto quello che c'è stato tra te e me in questi nove anni e passa, dai biberon di latte alla prima volta in bicicletta, da quando volevo ordinarti una dentiera perché a quasi quattordici mesi non si vedeva nemmeno un dentino a quando mi dettavi le letterine per Babbo Natale perché non sapevi ancora scrivere. Mi sa che mi dovrò accontentare di riguardare un po' di fotografie e, come sempre, il tempo continuerà la sua corsa e noi con lui. Tu sarai sempre meno pulcina, io sarò sempre più vecchia gallina. Ma l'essermi fermata un attimo a guardare indietro, oggi, mi ha fatta stare meglio e le lancette, a ben guardare, forse si sono fermate davvero, almeno un pochino. Del resto, è un giorno speciale.

venerdì 12 settembre 2008

Quarantatré

Ma sì, in fondo quarantatré non è affatto male come numero, riempie bene la bocca e poi ha pure l'accento che, sebbene un semplice accento sia ben lontano dalla nobiltà dell’apostrofo rosa decretata da Rostand, lo rende comunque frizzante e un pochino sbruffone. Sì, direi che mi piace, anche se non mi riconosco molto nella descrizione che ne fa la Smorfia napoletana di Onna pèreta fore o'balcone e cioè un'impicciona un po' oca che passa le sue giornate affacciata al balcone per farsi ammirare e soprattutto per farsi gli affari degli altri. No, non sono io, o meglio sì lo sono eccome, visto che questo schermo davanti ai miei occhi è bene o male una finestra aperta sul mondo alla quale mi piace affacciarmi spesso, ma che nessuno si azzardi a dar di oca alla gallina. Non si può far confusione su queste cose, voglio dire, sono aspetti fondamentali della vita. Comunque, oche a parte, guardandomi allo specchio il quarantatré direi che mi dona, che poi se anche non mi donasse, a forza di modifiche, imbastiture, orli e magari un paio di ruches o qualche paillette aggiunta tanto per fare scena, dovrei farmelo donare per forza. Come dire, è una taglia che non si cambia, signora, mi spiace, la quarantadue l'abbiamo esaurita e la quarantaquattro ci verrà consegnata solo l'anno prossimo. Insomma, visto che sarà una convivenza forzata tanto vale andar d'accordo fin da subito, no?

giovedì 11 settembre 2008

Ricordo

Ricordo il sole settembrino che entrava dalla finestra mentre pranzavo tardi come al solito facendo svogliatamente zapping con il volume bassissimo per non svegliare la pulcina duenne che dormiva sul divano dopo una mattinata trascorsa all'asilo nido. Ricordo come improvvisamente un'immagine mi colpì e fermai sorpresa il mio saltabeccare da un canale all'altro per osservare meglio quella scena di un grattacielo in fiamme. Ricordo come in un attimo si affollarono nella mia testa parole quasi impossibili da credere, edizione straordinaria, New York, un aereo caduto su un grattacielo, squadre di soccorso, sono le Twin Towers, persone intrappolate ai piani alti, guardavo e capivo, guardavo e non capivo. Ricordo quando accadde la stessa terribile cosa all'altra torre, non è un caso, è terrorismo, ascoltavo e la paura si faceva largo dentro di me, vedevo mia figlia addormentata e pensavo che stesse per scoppiare la terza guerra mondiale. Ricordo il fumo, piccole disperate figure che si lanciavano nel vuoto, aeroporti chiusi e pensavo alla persona con la quale avevo lavorato fino al giorno prima, incinta di sette mesi, che si trovava in volo verso Boston proprio in quel momento. Ricordo il suono del telefono, stai guardando anche tu, non è possibile, ma che succede, non ci credo. Ricordo i crolli, la polvere infinita, l'orrore di essere spettatore in diretta di una simile catastrofe e continuare a guardare ammutolita e devastata. Ricordo tutto, di quel maledetto undici Settembre di sette anni fa e dei giorni che sono seguiti. Ricordo e spero di ricordare per sempre.

lunedì 8 settembre 2008

Ona, ona, ona, ma che bella rificolona

L’ho detto più di una volta e mi ripeto con piacere, tornare bambini fa bene, rilassa, diverte, distende e ringiovanisce. E se poi guardandosi allo specchio vediamo ancora lì al suo posto quella rughetta che ci solca la fronte come se fosse passato un aratro non dobbiamo pensare che l’effetto ringiovanente con noi non abbia avuto effetto. Assolutamente no, l’effetto l’ha avuto, eccome, ma con quelle rughette un po’ più nascoste, quelle che non vede mai nessuno ma che per me son mille volte più importanti. Quelle del cuore, che si scrolla di dosso la ragnatela che lo avvolge, come un cane che ha appena fatto il bagno, e torna roseo, liscio e cicciotello come quello di un bambino. E così, ieri sera, tornata dalla kermesse lavorativa milanese, stanca ma con la voglia di qualcosa di divertente che non mi facesse pensare più di tanto, ho convinto il Galletto ad abbandonare cacciaviti e Black & Decker per un paio d’ore e abbiamo portato la pulcina a spasso per le vie della città, per una festa tipicamente fiorentina che per fortuna resiste ancora ed è sempre la stessa di quarant’anni fa, semplice, spontanea, un tantinello becera e proprio per questo così bella, la Festa della Rificolona. Bambini che sfilano per le strade con le rificolone accese e squadre di agguerritissimi bambini un po’ più grandi che tentano di forarle, spengerle o addirittura incendiarle a suon di ben assestati colpi di cerbottana, bancarelle lungo i marciapiedi dove sgomitano luccicanti schiacciate con l’uva e orde di coccoli fumanti, pensionati che approfittano della notte mite per fare due passi nel quartiere e mamme che si rincontrano dopo le vacanze ed iniziano subito a parlare dell’imminente riapertura della scuola, grembiuli sì, grembiuli no e lo zaino nuovo ancora da comprare. C’era quell’atmosfera rilassata e caciarona che da tanto tempo non avevo più avuto occasione di annusare e il sorriso si allargava spontaneo mentre portavo con sussiego una delle due rificolone della picci ondeggiandola ad arte cercando di evitare i colpi di cerbottana sparati senza pietà anche sul mio didietro. L’avrei voluta imbottigliare quell’aria lì, in una boccettina di vetro con un bel tappo ermetico, da svitare e riannusare al momento opportuno, quando i giorni cittadini diventeranno frenetici e grigi, perennemente in corsa. Questo non l’ho potuto fare ma rileggere queste righe lo potrò fare senz’altro.

giovedì 4 settembre 2008

Diamonds are a girl’s best friend

Così cantava Marilyn nel film Gli uomini preferiscono le bionde ma nonostante siano trascorsi cinquantacinque anni questa frase mi sembra più che mai attuale ché non esiste al mondo giovin gallinella o chioccia matura che sia immune ai riflessi sfavillanti di un diamante, da ricevere ovviamente in dono, questo è naturale. O in premio, perché no, e magari virtualmente, che fa tanto terzo millennio. Quello che non cambia è il risultato, una sferzata pura di allegria e una bella lucidata all’autostima, che a me tra l’altro oggi, con la valigia già pronta per un viaggio di lavoro, voglia zero e tanta stanchezza, mi fa un effetto migliore di un caffè doppio, fosse pure corretto. La cara Julia, che conosco da poco ma che stimo moltissimo, mi ha conferito infatti il Premio Brillante Weblog 2008 che affiggo prontamente nel pollaio e colgo l’occasione per ringraziarla pubblicamente dall’aia. Questo premio viene assegnato a quei blog che risultano brillanti per i contenuti, lo stile o il design, con l'intento di promuoverli e incoraggiarne la diffusione virtuale. La regola vuole che ogni premiato debba a sua volta scrivere un post sull’argomento, citando l’autore della nomina e nominando a sua volta almeno sette blog meritevoli dello stesso premio, avvisando i gestori sulle rispettive pagine. Colgo quindi l’occasione di premiare con questo brillante iridescente e sfavillante, da incastonare all’anulare, inserire in una spilla o personalizzando una coppia di gemelli spaiandoli per sempre, alcuni blog che, molto semplicemente, se lo meritano davvero. Si tratta di Bistrot chez Maurice, Cuoche dell’altro mondo, I Pizzini, 365 albe 364 tramonti, I Filibustieri, Mammamsterdam e Worldwidemom. Naturalmente sarebbero molti di più i blog che vorrei premiare e alla prossima occasione il giro si allargherà senz’altro. Coccodè a tutti.

martedì 2 settembre 2008

Message in a bottle

C'è poco da fare, a Settembre tutto ricomincia, anche se a questo giro col fatto di aver passato un'estate diversa, a cavallo tra l'ufficio ed una casa non mia, impegnata a combattere quotidianamente con i muratori e non soltanto con condizionatori e zanzare, con delle ferie trascorse a traslocare e delle brevi vacanze decise all'ultimo per evitare il ricovero alla neuro, mi sembra un capodanno diverso dal solito e stento ad innescare la marcia giusta per ricominciare. Sarà che a casa c'è ancora un delirio di scatoloni da aprire, mobili da rimontare e decine di preventivi e cataloghi sparsi un po' dappertutto a ricordarci che se vogliamo che prima o poi ci venga consegnato un divano sarebbe forse il caso di ordinarlo. Sarà che le batterie ricaricate in montagna si stanno rapidamente esaurendo e non c’è speranza di ricaricarle perlomeno fino a Natale. Sarà che nonostante le giornate si stiano velocemente accorciando l’aria è ancora appiccicosa e resta difficile credere di essere già sbarcati in Settembre. Qualsiasi cosa sia, benché davanti a me veda ben chiara un’imminente trasferta professionale e tutta la mole di lavoro che essa come al solito si trascinerà dietro, il corredo scolastico della pulcina da finire di comprare, ivi compresi i libri scolastici da ritirare, i nuovi orari delle sue attività pomeridiane da consultare e il solito giochino degli incastri da ripristinare, è come se non mi sentissi ancora pronta, come se galleggiassi in mare in cerca di un approdo, come una vecchia bottiglia che ci può impiegare anche degli anni per spiaggiarsi da qualche parte. E guardandola attentamente ci si accorge che dentro c’è davvero un messaggio, arrotolato per benino e un po’ ingiallito. C’è scritta una banalità. Una banalità molto vera però. Fermate il mondo, voglio scendere.

venerdì 29 agosto 2008

Vecchio e nuovo

Che strani questi primi giorni nella casa nuova, che nuova non è visto che è sempre quella vecchia ma che è così cambiata da sembrare nuova. Abituarsi a salire la scala per andare a dormire ma andare nello stesso luogo per cucinare, percorrere i soliti passi per andare in bagno con la differenza che non si incontrano più una porta e un paio di muri lungo il tragitto e avere la consapevolezza che volendo però si potrebbe pure scegliere visto che di bagni adesso ce ne sono due, anche da pulire ora che mi sovviene. Mettere i panni nella lavatrice piegandomi in due come una contorsionista esattamente come ho fatto negli ultimi quindici anni, ma parlare con la picci da un piano all'altro gridando come pescivendole. Continuare a salire e dimenticarsi roba giù e continuare a scendere dimenticandosela su, che l'idea che tutto non è più a un tiro di schioppo come prima ancora la devo metabolizzare. Così fanno ginnastica anche le mie gambe e salgo e scendo in continuazione. Ritrovare la stessa luce che entra dalla finestra mentre cucino e pensare che quando l'effetto magazzino traslochi prima o poi scomparirà nella stanza dove prima dormivamo dovremo decidere come far andare d’amore e d'accordo uno studio, un salotto ed una camera per gli ospiti. Arduo compito, ne sono consapevole, ma le cose facili alla fine chissà perché le evito sempre. Guardare fuori dalle finestre e accarezzare con lo sguardo il gazebo e il barbecue, vecchi compagni di cene e baldorie estive, e accorgersi che tutto intorno sembra scoppiata una bomba che ha raso al suolo quasi tutto lasciando a ricordo il cratere che è rimasto dopo il funerale dell'albicocco di ieri mattina. Cumuli di sabbia e ghiaia annunciano il prossimo intervento esterno dei miei tanto amati muratori, mi chiedo come avrei fatto a star senza quell'odiosissima polverina bianca ora che ero riuscita quasi del tutto a sbarazzarmene. Si preannuncia quindi un intervento di chirurgia estetica anche per il giardino, mentre all'interno del pollaio la gallina cercherà di arginare i danni a suon di Glassex e straccio, che ormai son diventati un prolungamento delle mie mani. Nuovo e vecchio, vecchio e nuovo. Un po’ come quando nell’armadio decidiamo di riportare in auge quel vecchio pantalone dimenticato da anni che con l’abbinamento di una nuova cintura e di un cardigan sfizioso sembra essere appena uscito da una boutique. Ma la cosa più bella è che anche io, in mezzo a tutto questo fermento, mi sento proprio così. Nuova di zecca.

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