giovedì 31 dicembre 2009

Ping pong di Capodanno

Alla fine non siamo partiti. Non era il caso, non ce l’avrei mai fatta a lasciare due vecchi da soli, uno in ospedale a fare i conti con la vita che ti si rivolta contro da un giorno all’altro e l’altra in una casa che le fa da prigione da tanti, troppi anni, a passare le giornate in un modo fin troppo triste anche solo per poterne parlare. Probabilmente per me avrebbe significato respirare, e non solo l’aria pura della montagna; riappropriarmi di ritmi e minuti che qui nell’ultimo mese non so neppure dove siano spariti, tanto che a volte mi chiedo se ci sia qualcuno che gira le lancette dell’orologio a mia insaputa o se magari sto partecipando ad una specie di decathlon senza essermi mai iscritta. Ma il mio cuore non l’avrebbe sopportato. E così, a pochi giorni dal Natale non si può fare altro che seguire il proprio cuore, annullare la vacanza ed immergersi nell’incubo che mi perseguita da tutta la vita. Testa alta e lancia in resta, per sconfiggere il nemico bisogna combatterlo. Battaglia che dura da giorni, ormai, e per adesso non vi sono né tregue né bandiere bianche all’orizzonte. Chissà quando mai vi saranno. Giorni passati correndo da un panettone ad un’assistente sociale, da una Messa di mezzanotte a una corsia d’ospedale, da una coda alle Poste ad una all’anagrafe, rincorrendo medici, scartando regali, compilando domande e richiedendo certificazioni. Impossibile leggere anche solo la pagina di un libro, accendere il computer o scrivere un sms di auguri ma mi accorgo che in fondo non importa poi tanto. Si va per priorità, e in giorni così diventa priorità anche trattenersi cinque minuti in più in ospedale per imboccare mio padre. Moderna Don Chisciotte in gonnella combatto contro i mulini a vento della burocrazia italiana, rimbalzando come una pallina da un ufficio all’altro a buttar via mattinate come sabbia al vento. La pulcina ascolta in silenzio le mie lamentele su questo Paese, sugli uffici pubblici, sulle competenze. Riflette e propone la soluzione. Mamma, perché non metti tutti i documenti in una busta e li spedisci in Germania? la guardo basita. In Germania?!? penso ad uno scherzo ma lei è serissima. Ma certo, loro sono precisi mamma, ti preparano tutti i fogli in un giorno e ti rispediscono tutto indietro velocemente, così tu li puoi usare subito. La logica dei bambini, meravigliosa, ineccepibile. Lo dico sempre io che se governassero loro basterebbe un solo giorno per far rigare dritto tutto il mondo. Purtroppo la Germania ancora non ci fa da passacarte e la dura realtà nostrana continua a farmi rimbalzare. Da Natale a Capodanno, corro e rimbalzo, rimbalzo e corro. Speriamo nell’anno nuovo. Anche se continueremo a correre e rimbalzare, che perlomeno lo si possa fare in un mondo migliore.

martedì 22 dicembre 2009

Delirium tremens

Ho un magone terribile, un’arancia piazzata a metà della gola che non si sposta di un millimetro. Non va né su né giù. O magari è una melagrana, che in questi giorni fa anche più chic, visto che su blog e riviste è tutto un tripudio di risotti e bavaresi con chicchi di melagrana. Dev’essere il trend culinario del momento. Comunque, nel mio caso, arancia o melagrana che sia, il suo ruolo lo svolge benissimo. Sta lì bella piazzata in posizione strategica e in certi momenti fa intervenire anche i rinforzi, lacrime pungenti come spilli che sgomitano per riuscire ad affiorare nei miei occhi. E ogni tanto ci riescono. Come oggi pomeriggio quando sono andata in ospedale a trovare mio padre e son crollata come una scema in mezzo al parcheggio o come quando due giorni fa ho saputo che quelle nuvole minacciose sul fronte professionale di mio marito si stanno definitivamente trasformando in una tempesta. Ma sì, proprio quello che ci vuole a pochi giorni dal Natale, che già di per se è un periodo che mi risveglia sempre tristezze e malinconie, figuriamoci adesso. Mi immergo nel delirio assoluto di questi giorni e faccio le ore piccole confezionando pacchetti tra carte e nastrini che non ne vogliono sapere di arricciolarsi o imprecando in mezzo ad altre decine di persone inviperite che aspettano invano un bus da tre quarti d’ora, cosa per la quale non si può neppure dare la colpa alla neve perché colei, così coreografica e sorprendente, così come è arrivata se n’è anche già andata. Combatto da giorni dentro di me per capire se sia il caso o meno di partire lo stesso qualche giorno per le nostre sospirate vacanze, e mi accorgo che in ogni caso la voglia mi è comunque già passata. Mi sento sopraffatta dagli eventi e vorrei potermi raggomitolare sul divano e restar lì, a guardare il pettirosso fuori dalla finestra e non far niente. Soprattutto non pensare a niente. Melagrana permettendo.

giovedì 17 dicembre 2009

Benvenuto

Appena ti ho visto ho sorriso. Benvenuto, ho sussurrato. Ti ho accarezzato piano, intirizzito tu, intirizzita io, ma nonostante il gelo che ci circondava ho avvertito lo stesso un calore quando ti ho toccato. Un amore immediato. Un nuovo arrivo in famiglia va sempre festeggiato, declamato al mondo intero. Avrei voluto addirittura attaccare il fiocco sul portone, perché no, verde magari. Un tripudio di nastri, fiocchi e tulle in tutte le tonalità del verde, dal verde bottiglia al verde pisello al verde prato. Sai che follia, i condomini avrebbero pensato che siamo definitivamente usciti di senno. O che magari siamo diventati improvvisamente leghisti. Così, onde salvaguardare la decenza e le ideologie, mi sono limitata ad abbracciarti e a darti il benvenuto nel nostro giardino, in quella stessa aiuola di sassi di fiume e cotto toscano dove fino a poco tempo fa ha abitato il tuo predecessore. Ti troverai bene. Farai amicizia con Robi e la sua compagna Wanda, la coppia di merli che ogni anno torna qui a fare il nido, basterà che i tuoi rami si riempiano di foglie e vedrai come saranno felici di abitarti. Dovrai stare attento a Bumbo, il gatto dei vicini che, ci scommetto quello che vuoi, appena avrà adocchiato la novità vorrà provare subito a scalarti. Poi c'è il pettirosso, quello sì che ha un bel caratterino, vedrai, ma saprà rivelarsi anche un grande amico. La picci ti terrà d'occhio per scorgere le prime minuscole gemme dopo che il freddo sarà passato e riderà felice alla prima bianca nevicata dei tuoi petali. E appena sarai pronto a donarci qualche albicocca, sentirai che profumino uscirà dalla mia cucina. Sarai felice con noi, te lo prometto.

martedì 15 dicembre 2009

La vie en rose

L’ispirazione mi è venuta alcuni giorni fa durante un pranzo con alcuni colleghi. Ristorante semplice ma carino, piatti curati e ben fatti, del resto l’ha scelto di recente anche una maga dei fornelli che adoro per presentarci il suo libro di ricette. Soprattutto piatti presentati con quel tocco in più, che ti fa ammirare la disposizione degli alimenti nel piatto prima ancora di averne degustato il sapore. Il tocco in più in questione, sul mio filetto in crosta di pistacchi con piccolo sformato di zucca, era una semplice spolverata di minuscoli granelli rosa sul fondo lucido e bianco della porcellana. Assaggio. E’ sale. Probabilmente sale rosa dell’Himalaya, anche se il colore era più intenso. Effetto carino, che mi è rimasto a frullare in testa per un po’, fino a quando al supermercato mentre cercavo lievito e zucchero a velo non mi sono imbattuta in un flacone di colorante alimentare ed è scattata la scintilla. Ci provo, ho pensato. Al massimo butto via una tazza di sale. Così, un po’ per scherzo un po’ per gioco, è nato questo sale rosa, che l’Himalaya non lo ha visto neppure in cartolina, ma è così bellino e poi ci sta d’incanto nel mio macinasale d’acciaio nuovo di zecca. Da usare nei giorni più opachi, per rallegrare un piatto e provare a vedere un po’ di rosa anche nel grigio più fitto.

Sale rosa

Ingredienti:
sale marino grosso
colorante alimentare liquido rosso
un barattolo di vetro con tappo ermetico

Preparazione:
Versare il sale grosso nel barattolo di vetro, aggiungere alcune gocce di colorante, chiudere il tappo e sbattere bene il contenuto per spargere il colore su tutto il sale. Se il colore è troppo chiaro aggiungere altre gocce e ripetere l’operazione fino al raggiungimento della tonalità desiderata. Aprire il barattolo e versare il sale su di una scodella foderata con un paio di salviette di carta da cucina, per assorbire l’umidità. Posizionare la scodella per una giornata sopra ad un termosifone o vicino ad una fonte di calore e lasciar asciugare bene, girando ogni tanto il sale con un cucchiaio. Et voilà, il sale rosa è pronto.

giovedì 10 dicembre 2009

Di albero, fiocchi e campanelle

Il ponte dell'Immacolata ha portato diverse cose con se, alcune piacevoli ed altre meno, ma quella più simpatica e sicuramente più attesa, soprattutto dalla sottoscritta che necessitava parecchio di una sessione creativo-rilassante, è stata la vestizione dell'albero, edizione duemilanove. Come sempre la veste di designer, di stilista e pure quella di manovale, visto che la piccola apprendista era altresì occupata ad allestire l'architettura del presepe, mi diverte e mi riempie di soddisfazione, bello o brutto che sia il risultato. Perfetto, ho pensato. Un po' triste quest'albero, ha decretato il Galletto. Belliiiiino, ha detto la pulcina, che evidentemente avrebbe gradito qualcosa di un po' più fancy. Ma io non mi scompongo, qui è normale che non la si pensi mai allo stesso modo. E siamo solo in tre, figuriamoci un po'. Per me resta un albero perfetto per questo freddo Dicembre farcito di ansia, pensieri opachi e sprazzi di allegria. Tanto bianco, vetro soffiato, cristalli, tocchi di rosso e le mie bianche campanelle di porcellana che tintinnano appena le si sfiora, dieci quest'anno come gli anni della picci. Benché sia un caso che la prima mi sia stata regalata nell'anno del suo primo Natale non posso fare a meno di pensare a questa piacevolissima coincidenza. Un albero di fiocchi di neve, grandi e glitterati o piccoli e candidi come quelli di legno fatti dalla pulcina un paio di anni fa. Se poi riesco ad imparare la tecnica e a riprodurli su carta, ne farò mille altri, per l'albero, per appendere alla balaustra delle scale, per appiccicare ai vetri delle finestre, per innevare le scrivanie dei miei colleghi. Nel frattempo continuo ad esercitarmi qui. Taglio, ritaglio e mi ipnotizzo. Un efficacissimo antistress.

lunedì 7 dicembre 2009

Happy hour

Sto facendo di tutto per non farmi travolgere, per sdrammatizzare, per respirare. Allora creo giorni fatti di una miscela strana, dove tra i momenti di tristezza e lacrime sparse ci infilo anche un po’ di sano egoismo, lo staccare la spina per pochi minuti o qualche ora per pensare solo a me, alla mia famiglia, a un briciolo di serenità. Così, tra un visita in ospedale e le mille questioni burocratiche da risolvere che mi sono piovute addosso, la mamma, la badante, la pensione di mio padre da riscuotere che signora mia, non vorrà mica che le venga data così sui due piedi solo perché lei è la figlia e suo padre è immobilizzato in ospedale, non lo sapeva che questo è il Paese delle complicazioni?, la banca, l’assistente sociale, e poi e poi e poi, come cantava Mina, ci sto infilando dentro prepotentemente anche degli sprazzi di allegria, di piccole felicità, di cose che mi facciano star bene. Come se imballassi dei fragilissimi cristalli dentro un cartone e per non farli sbatacchiare tra loro ed evitare di far cocci riempissi tutti gli spazi vuoti con una carta velina iridescente. In qualche caso cacciandola dentro a forza, ma l’importante è che serva allo scopo. Ci siamo quindi immersi per qualche ora nell’allegro e affollato centro storico domenicale, con Piazza Santa Croce trasformata in un mercatino natalizio d’oltralpe, banchi stracarichi di ogni meraviglia, dalle spezie francesi ai fumanti rotoli alla cannella tedeschi, dalle birre alla spina, ai formaggi olandesi, alle palline e ornamenti per alberi di ogni tipo e tendenza. Abbiamo fatto anche i turisti, infilandoci nella basilica e visitandola come si deve, chiostri, musei e cripte comprese, e ancora una volta mi sono sentita così orgogliosa dei capolavori che mi circondano. Abbiamo pranzato in libreria, eh sì, che ora anche le librerie hanno i loro angoli con sedie e tavolini dove, mentre si gusta una lasagna o una cioccolata in tazza si può anche sfogliare un libro con calma per vedere se ci piace davvero o mettersi alla ricerca della guida turistica più giusta per il prossimo viaggio. Ho fatto le ore piccole sotto al piumone leggendo un altro bel pezzo di libro e me ne sono dovuta staccare con la forza, che il decollo di questo thriller è stato talmente verticale ed avvincente che ero spalmata sulle pagine neanche fossi stata sul sedile dello Shuttle. L’abete che da qualche giorno stazionava in giardino strizzato nella rete come un salamino è stato invasato e ripulito ed ora è lì che mi guarda nudo, in attesa che inizi a vestirlo in qualche modo. Ancora non so di preciso, alla fine seguirò l’estro del momento, ma ogni tanto mentre gli passo accanto mi diverto a minacciarlo con un sorrisino, guarda che se non fai il bravo ti riempio di piume di struzzo e marabù. Mi sono concessa lunghe telefonate con amiche che non sentivo da tempo. E ne ho invitata un’altra a cena con tutta la famiglia al seguito. Ma che fai? con le giornate che stai passando non vorrai stare ad ingrullire con una cena? E invece è proprio lì la questione, ho voglia di immergermi nei ricettari e nel forno acceso, ho bisogno di sentire bambini giocare e voci che chiacchierano e ridono. Anche la mia, beninteso. Insomma, questo è il mio modo di stare a galla. Un mix di alti e bassi, di rosa e di grigi, di lucidi e di opachi. Il cocktail della sopravvivenza. L’importante è andare avanti. Ed ora che mi sovviene, quale altra parola potrebbe essere più indicata nel pollaio in questo frangente di questa parolina inglese che abbiamo incorporato nel vocabolario ormai da anni. Cocktail, coda di gallo. Direi che calza a pennello.

giovedì 3 dicembre 2009

S.O.S. Natale

Non sono giorni facili, questo è un dato di fatto. Però non sono sprofondata, e non è poco. Diciamo che galleggio. Mi faccio trasportare dalla marea, alta o bassa che sia, facendomi cullare dalle onde che vanno e che vengono, cercando di respirare e di concentrarmi solo sul momento, senza dannarmi e arrovellarmi troppo sul domani. Scellerata? Forse, o più semplicemente piena fino all’orlo. O magari finalmente un po’ fatalista, come mi suggerisce la cara Dani. Oppure l’incudine in gola si è finalmente sciolta, come mi diceva la mia amica Laura. Forse un po’ di tutto questo. Ad ogni modo, proprio per aiutarmi a fare il morto, cerco di immergermi nelle cose spicciole di tutti i giorni, quelle banali ma anche divertenti. La letterina a Babbo Natale, per esempio. Non la mia, che non basterebbe un’enciclopedia e poi tanto non la leggerebbe nessuno, ma quella della pulcina. Ieri si è messa d’impegno per scriverla, che anche se ormai sa che non verrà smistata dal Regio Ufficio Postale del Polo Nord ma sarà semplicemente letta da quei due comunissimi mortali che l’hanno messa al mondo, i quali ne divulgheranno il contenuto a nonni e zii quando lei non sarà a portata d’orecchio, anziché diventare un ennesimo ordine da evadere per gli elfi e gli gnomi che lavorano a bottega dal buon vecchio vestito di rosso, la picci resta una tradizionalista e ci tiene a mettere le sue intenzioni nero su bianco. La prima parte della letterina, quella riguardante i mea culpa sulle varie birbanterie commesse durante l’anno precedente e gli impegni a migliorarsi per quello successivo, è scorsa via facile e veloce. Il problema è nato quando ha dovuto iniziare a scrivere i suoi desideri: praticamente non ne ha. Sì, ha scritto che le piacerebbero un paio di bagno schiuma con, cito testualmente, profumi sfiziosi tipo cioccolato e zucchero a velo. Poi ha scritto che vorrebbe il nuovo libro della saga che ama tanto. E un paio di calze nere. Dopodiché il nulla. Le liste infinite di qualche anno fa, con svariati modelli di Barbie, case e transatlantici delle Polly Pocket, giochi in scatola e bambole corredate di abiti e pannolini, sono finite. Di libri se ne comprano già a bizzeffe durante l’anno e alla fine sono più quelli ancora nuovi sugli scaffali della sua cameretta di quanti in realtà ne riesce a leggere. Per scarpe e vestiti ho un debole io, e la rimpinzo non poco, soprattutto da quando in questa città hanno aperto i miei paradisi terrestri, tali Zara e H&M. Attrezzature sportive non le mancano, gadgets elettronici nemmeno, sebbene per quest’ultimi lei non vada poi così matta. Così, la lista piange. Per carità, non son certo queste le disgrazie. Vorrà dire che se la mini lista andrà subito esaurita, riceverà anche qualche pensierino a sorpresa, cosa che non fa mai male. Ma io son qui che mi chiedo se essere orgogliosa di una figlia apparentemente poco consumistica, se vantarmi di tutti i miei pensa a chi non ha nulla, o se alla fine non abbia creato un mostro.

martedì 1 dicembre 2009

Sabbie mobili

Scrivo, scrivo, scrivo. E’ tutto il giorno che aspettavo il momento in cui mi sarei seduta davanti a questa tastiera e avrei cominciato a scrivere, lasciando andare le dita alla rinfusa, come un pianista quando suona ad occhi chiusi, saltando da una lettera all’altra senza un ordine, senza una traccia da seguire, per liberare tutto quello che mi circola dentro da qualche giorno, che è esploso così, improvvisamente, lasciandomi svuotata da ogni energia e riempita di troppa malinconia. E rabbia, pure , quella non manca davvero. E preoccupazione, ma sì, mettiamoci pure quella, che io dico, dico, ma alla fine mannaggia a me non son mica fatta di pietra. Tanto tuonò che piovve, avrebbe detto mia nonna, ed in effetti quel che sta capitando adesso era matematico che sarebbe accaduto, solo il quando era l’unica incognita. Mio padre in ospedale, sperando che qualcuno possa capirci presto qualcosa. Camminava e non cammina più. Muoveva le mani, afferrava gli oggetti, come te e come me, ed improvvisamente le sue mani tremano e basta, e non è solo paura. Mia madre chiusa in quelle quattro mura, tra il letto, la sedia a rotelle e quella televisione sempre accesa che serve soltanto a far da colonna sonora alla disperazione. Io che ad ogni pensiero mi faccio fagocitare da un ricordo, che isso le barricate per non farmi travolgere, che piango, litigo e scalcio per rendermi conto amaramente che così facendo riesco solo a sprofondare ancora di più. Allora improvvisamente mi arrendo, sventolo bandiera bianca e mi apro, come una stella marina a braccia e gambe aperte sulla superficie del fango, volto il viso di lato e respiro. Resto immobile. Respiro. Non sprofondo più.

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