domenica 31 maggio 2009

Mi manchi

Il vento mi arruffa, mi insegue, mi piglia
sono una madre ma anche una figlia
che sbatte nell’aria come un burattino
non c’è soluzione e al vuoto m’inchino.
Mi manca una voce, un abbraccio, un consiglio
annaspo nel buio cercando un appiglio
non trovo i tuoi occhi per vederci più chiaro
per avere una madre non serve il denaro.
Ti sfioro una mano con delicatezza
e conservo il ricordo della tua carezza
lo avvolgo di lacrime e rabbia infinita
che aprono ancora la mia vecchia ferita.
Una mamma dovrebbe restar sempre tale
per donare l’amore e togliere il male
per ridere, urlare e diventar pure nonna
e restare per sempre una forte colonna.
Mi manca il litigio, lo sbuffo, il rimbrotto
e poi quando tremo non basta il cappotto
senza il tuo aiuto la vita è più dura
son solo una figlia che ha tanta paura.

lunedì 25 maggio 2009

Tutto è cominciato con un bouquet

Mentre il bus corre dando l’inizio ad una nuova settimana, un lunedì già così caldo ed assolato di prima mattina che ti fa venire per forza una gran voglia di vacanze, guardo scorrere la città dietro ai finestrini e cerco di mettere ordine tra tutti i pensieri che da ieri si rincorrono nella mia testa. Tante immagini, come scatti fotografici della mia memoria, che adesso sono lì sparpagliate e non aspettano altro di essere messe a posto, in bell’ordine cronologico, come si fa con le foto al ritorno da un viaggio. Tutto è cominciato con un bouquet di rose e bocci, che hai ricevuto intorno alle otto, ritirandolo impettita ed emozionata dalle mani della fioraia. Un bouquet bellissimo ed incredibilmente adatto, accompagnato da un biglietto che solo a leggerlo i miei occhi hanno dato il via alle danze di lacrime e lucciconi che mi avrebbero accompagnata per tutto il resto della giornata. Poi è iniziata la corsa, il timore di far tardi, la porta del bagno che non faceva in tempo ad aprirsi che era già richiusa, gli abiti, dove ho cacciato gli orecchini nuovi, mi puoi fare un altro caffè, e tu che già di bianco vestita hai battuto tutti sul fronte della tranquillità mettendoti a leggere serafica in attesa che i tuoi genitori fossero finalmente pronti. Si parte, si va. Il breve viaggio verso la chiesa con i ruoli invertiti, io dietro e tu davanti, così il saio non si stropiccia troppo. Un bacio nella cappella, auguri amore, che lì le nostre strade si dividono e noi ci apprestiamo nelle panche mentre i ventuno comunicandi arriveranno da fuori, passando dal sole alla penombra della chiesa gremita, bianchi e luminosi come i gigli che recano in mano. Una processione che mi apre il cuore e lo lascia lì, scoperchiato, alla mercé dell’emozione che mi assale e mi pietrifica. Le letture, i canti, un violino dolcissimo, i tuoi sorrisi da lontano e l’occhiolino scambiato con tuo padre. Leggo la gioia nei tuoi occhi e non chiedo niente di più. Le candele, il grano, l’uva, e poi il tuo incontro con Gesù, che vedo come attraverso la nebbia perché non riesco a trattenere il pianto. I baci, gli abbracci, mio padre che è riuscito a venire nonostante l’età e i malanni, per portare a casa un tuo sorriso e condividerlo con la tua nonna inchiodata alla sedia a rotelle e alla sua malattia. Lo guardo mentre ti abbraccia e mi sembra solo ieri che attraversava tutta la città solo per dondolarti dieci minuti sulla sdraietta. Il rinfresco nel salone della chiesa, gli auguri, un piattino di mignon alla frutta che tieni in equilibrio mentre scarti un regalo, fotografie a raffica e posso togliermi il saio che sto morendo di caldo. Ma sei così bella che vorrei vederti così ancora per un po’, prima di passare al look da festeggiata in rosa pallido e blazer a righe, che col caldo che fa hai tenuto su appena cinque minuti. Si parte per la campagna e tu cinguetti ininterrottamente e ci racconti, ci dici le cose più buffe, come il fatto che l’ostia tuffata nel vin santo sia infinitamente più buona di quella asciutta che sa di carta. Commento da degna figlia di un quasi sommelier, in effetti. Il Chianti si è vestito a festa, fiori e verde ovunque e i filari ordinati e precisi come se un gigante avesse pettinato le colline. Il luogo è magico come lo avevo immaginato. Si mangia, si ride, ci si rilassa con quelle che sono le persone più care, tu scarti i regali felice, io ti bevo con gli occhi e se potessi fermerei il tempo per poter rivivere ancora questa giornata, che finisce passeggiando tra gli olivi e visitando la frescura di una cantina secolare. Rientriamo in casa stanchi e felici e la prima cosa che vedo è quel bellissimo bouquet che sembra sorriderci nella penombra e decido di fermarlo per sempre, non solo con la mia memoria.

venerdì 22 maggio 2009

Peonia ice cream

Dico sempre che nessuno mi ascolta, che parlo al vento, che è un susseguirsi di te l'avevo detto, frase alquanto antipatica in effetti ma che spesso sfugge incontrollata dalle mie labbra perché corrisponde a pura verità e perché a volte sono stufa di star lì a ripetere sempre le stesse cose. E' quindi vero che quando recentemente, mentre disquisivo di posizioni di camelie e azalee per il nuovo assetto esterno, ho menzionato una peonia, buttando lì un mi piacerebbe detto a mezza voce, rivolto più a me stessa che al pubblico, in realtà fossi convinta che nessuno avrebbe realmente ascoltato, figuriamoci raccolto. Invece sono stata stupita con effetti speciali, arrivati puntuali per la festa della mamma con un delizioso biglietto tipo caccia al tesoro trovato la mattina al risveglio accanto al caffè, se in giardino guarderai tre piantine troverai, che mi ha spinta a vagare in giardino in pigiama con gli occhi ancora abbottonati. E' così che ho fatto la mia conoscenza con tre peonie dai chiusissimi bocci, ma di che colore saranno mai, e che fretta c'è, goditi la sorpresa. E io, più curiosa di una scimmia, che ogni giorno andavo a sbirciare mentre lentamente si aprivano al sole. Poi, in un attimo, che i fiori quando decidono che il momento è arrivato mica ti chiedono il permesso, mi sono trovata di fronte ad un meraviglioso tripudio di vaniglia con una minuscola variegatura centrale all'amarena. Bellissima. Praticamente un gelato, da sorbire lentamente con gli occhi mentre dopo aver annaffiato mi siedo un momento sul muretto e cerco di mettere ordine tra i pensieri e le emozioni che cominciano ad accavallarsi nella mia gola, per quel giorno che sembrava così lontano ma che adesso è già qui.

martedì 19 maggio 2009

Verde fragola

Non so neanche se considerarla una ricetta, diciamo che è un accostamento, un cocktail venuto particolarmente bene. Almeno secondo le mie papille gustative, che però, essendo grandi fans di tutti gli ingredienti, probabilmente sono da considerare un po’ di parte. Tant’è. Io ci ho provato, seguendo solo la voglia di un momento, per far nascere quella che fino ad un attimo prima era solo un’idea, affacciatasi alla mia mente all’improvviso durante un pranzo domenicale un po’ lento e un po’ tardo. Così, tanto per provare. Ed è nato un dolce mix, fresco e particolare, arricchito dal gusto sapido e aromatico di un balsamico speciale. Assolutamente da rifare. Probabilmente avrò scoperto l’acqua calda, vuoi che qualche chef stellato non abbia mai pensato a questo cocktail? Impossibile. Nel mio caso, invece, è stata una rivelazione.

Insalata alle fragole

Ingredienti:
insalata verde in foglie (lattughino, romana, spinacino, rucola)
fragole grandi fresche (2 a testa)
olio extravergine di oliva
sale
crema di aceto balsamico ai frutti di bosco

Preparazione:
Lavare e asciugare l’insalata lasciando le foglie intere e disporla in un recipiente. Aggiungere le fragole tagliate a fette rotonde. Condire con un giro di olio extra vergine di oliva, un pizzico di sale e un filo di crema di aceto balsamico ai frutti di bosco. Mescolare e servire subito.

venerdì 15 maggio 2009

I sogni del venerdì

Quanto mi piace il venerdì. Anche se in genere alla domanda su quale sia il giorno della settimana che preferisco io risponda sempre il sabato, in realtà è proprio il venerdì il mio giorno preferito. Ma non il venerdì pomeriggio quando la giornata lavorativa è già conclusa e abbiamo fatto l'ingresso ufficiale nel fine settimana. No, è proprio il venerdì mattina che mi piace in particolar modo, con tutta l'aspettativa che ancora c'è, la sensazione di aver davanti un sacco di tempo, una mini vacanza, un tuffo nella pace. Che poi questo puntualmente non si verifichi mai e trascorra in genere quasi tutto il week-end in compagnia di ferro da stiro, lavatrice e aspirapolvere, con la variabile del supermercato o della fila alle poste, è un altro discorso; il venerdì mattina questo ancora non lo si sa, si spera sempre che sia la volta buona, che stavolta accadrà qualcosa di diverso: questo fine settimana non sarà come gli altri, mi godrò un buon libro sul divano, passeggerò nel verde chiacchierando con il Galletto, giocherò una mattinata intera con la picci allestendo la casa di Barbie più grande che si sia mai vista. Sì, le intenzioni ci sono tutte, sempre, e mi illudo che una volta, chissà, capiti davvero. Il venerdì mattina tutto è permesso, sogni sfrenati e desideri alla ribalta. Ci son due giorni da riempire, perbacco, prima o poi ci riuscirò.

mercoledì 13 maggio 2009

Les jeux sont faits

L'esecuzione di questa ricetta è stata un po' lunga a dir la verità, che gli ingredienti me li ero procurati già da un bel po', ma come avveniva un tempo con il ragù della nonna, che veniva rimesso sul fuoco più di una volta per farlo più ristretto e saporito, anche questi sacchettini sono stati portati avanti un po' a spizzichi e bocconi, avvolgendo foglietti intorno a una matita in occasione di Amici, contando confetti in compagnia di Matrix che senza di lui non mi sembra più Matrix, tagliando nastrini nel silenzio di una domenica mattina e arpionando di uncinetto a più riprese. Alla fine però il piatto è pronto, ed eccoli lì tutti in fila nel cesto di vimini, quello che normalmente contiene i panni da stirare sopra la lavatrice, e che è sempre talmente sepolto da tovaglie e camicie che ci si dimentica della sua esistenza, tranne in queste occasioni, quando esce dall'ombra, pulito e spazzolato, ed assume un ruolo primario, esattamente come nove anni fa quando fu riempito di cucchiaini di porcellana, sbuffi di tulle rosa e nastrini in quantità. Eppure sembra ieri. E' banale, lo so, ma l'ho pensato davvero. Soprattutto ieri, quando ho velocemente infilato il saio bianco alla pulcina per controllare la misura, mettendole sul capo la coroncina di fiori per capire come fermarla ai capelli e poi, nel momento stesso in cui l'ho guardata, mi si è fermato il cuore e son rimasta lì muta e inebetita, col groppo in gola e una strana sensazione di déja-vu mentre davanti agli occhi mi scorreva il film di quando tra queste stesse mura in un altro giorno di Maggio le infilavo un altro lungo abito bianco. Lo sguardo si appanna, deglutisco a fatica. Forse è meglio non pensarci troppo, meglio tornare ai fornelli. E dopo poco, infatti, il piatto è pronto. Gli ingredienti li ho usati tutti, primo fra tutti, l'amore.

martedì 12 maggio 2009

Crema e velluto

Le rose di Maggio parlano da sole, basta guardarle che ti aprono il cuore, s'infilano dentro e lo rimettono a nuovo. Le guardo, le ascolto, mi tuffo tra i petali di crema e velluto e resto lì a pensare. A cose banali, a cose pesanti, a cose di ieri e a cose di domani, mentre quel profumo lieve e discreto mi avvolge e mi inebria come se stessi bevendo champagne. Averle qui, dentro casa, gli steli verdi e lucidi immersi nell'acqua che sembra cristallo è davvero un regalo, un gioiello, un momento prezioso. Non sembrano nemmeno parenti di quelle ancora sulla pianta nel giardino di mia suocera, scaldate dal sole e irrorate di luce, dove api frenetiche e farfalle svolazzano inquiete. Queste rose di panna e gote di bimbo, avvolte di silenzio e penombra intonano una melodia che sento solo io. Continuo a guardarle, a pensare, a vagare. Il mio sguardo le sfiora, le beve, le abbraccia. Quanto son belle. Quanto è bella la vita, questa vita fatta di piccole, piccolissime cose.

sabato 9 maggio 2009

Torta di pomodori

La scusa ufficiale era una merenda-cena all’aperto dove tutti portano qualcosa per condividere l’aria tiepida di Maggio e quattro chiacchiere in compagnia, ma la verità era che avevo proprio voglia di farla la mia torta di pomodori, perché non mi sembra di inaugurare bene la bella stagione se non la faccio. E’ una specie di rito, insomma, un’equazione. Arriva il sole, ecco la torta di pomodori. In effetti di sole oggi ce n’era da vendere, e anche bello caldo, ed è stato proprio piacevole ritrovarsi nel verde a mangiare ciò che c’era: salumi, baccelli e pecorino, pane casalingo, porchetta, insalata di patate e la mia torta di pomodori, che mi son voltata un attimo ed era già sparita. Ma che importa, tanto la foto l’avevo già fatta.

Torta di pomodori

Ingredienti:
un rotolo di pasta sfoglia fresca
quattro fette di prosciutto cotto sottili
una mozzarella
un pezzetto di Emmental
pomodori ciliegini
un uovo
olio extra vergine di oliva
sale, pepe, origano

Preparazione:
Sistemare la sfoglia nella tortiera lasciando sotto la sua carta da forno. Disporre sul fondo le fette di prosciutto cotto, poi la mozzarella e l’Emmental tagliati a dadini. Sbattere l’uovo con un pizzico di sale e versarlo sopra avendo cura che si sparga dappertutto. Tagliare a metà i pomodori lavati e asciugati, disponendoli sopra agli altri ingredienti a giri concentrici con la buccia rivolta verso l’interno. Passare un giro d’olio, sale, pepe e abbondante origano. Infornare a forno già caldo e cuocere a 200° per circa 25 minuti. Lasciar raffreddare. Servire tiepida o a temperatura ambiente.

venerdì 8 maggio 2009

Drogata

Volendo ci potrei quasi regolare l'orologio, ché la puntualità è roba seria e in questo caso non manca mai. Appena avverto quel certo languorino, quel gru-gru di pancia che mi richiama prepotentemente, prima ancora di buttare lo sguardo all'orologio che appare sull'angolo destro del pc so già che sono le undici, minuto più, minuto meno. E se fino a poco tempo fa facevo finta di nulla, ignorando bellamente il richiamo, bevendo tutt'al più una sorsata d'acqua tanto per buttar giù qualcosa, da quando al forno sotto l'ufficio hanno iniziato a produrre le focaccine di metà mattina, che escono calde dal forno proprio a quell'ora, adesso è come se, oltre al gru-gru, nelle mie narici si infilasse quell'irresistibile profumino di pane caldo e contemporaneamente sulla mia lingua si depositassero quei minuscoli cristalli salati accompagnati dal pizzicorino dell'origano. Ignorare diventa un verbo inesistente sul mio vocabolario, l'impossibilità assoluta. La mano si muove con volontà propria e tira fuori il portafogli dalla borsa, mentre i piedi già camminano verso la porta dell'ufficio. Nell'arco di pochi minuti il danno è fatto, e torno alla scrivania con due focaccine calde e fragranti, più povera di un Euro, ma molto più ricca in termini di paradisi artificiali. E mentre sgranocchio felice di fronte allo schermo acceso tutto mi sembra più bello e sorrido beatamente agli ordini da inserire e perfino a quella offerta fotografica che fino a poco prima avrei buttato dalla finestra. Le droghe, si sa, servono anche a questo. Il problema è che ciò contrasta violentemente con i miei progetti di remise en forme e che se continuo così dovrò indossare il burqa al posto del bikini. Forse la soluzione c'è, potrei togliere di mezzo il fornaio. Non sarò certo la prima drogata che fa fuori il proprio pusher.

martedì 5 maggio 2009

Non c’è storia

Rieccoci. Perché, ma sì, diciamocelo, in fondo mi mancava l’andirivieni dei muratori, come no. Con la stessa identica nostalgia che si può provare per l’acne giovanile o per un’unghia incarnita. Ma visto che di muri da abbattere e cementificazioni assortite ormai ne sono già state fatte in abbondanza, stavolta i muratori hanno ceduto il passo ai giardinieri, che per adesso tutto sommato si stanno comportando allo stesso modo, trasportando dentro casa sacchi e balle in quantità, depositandoli in bell’ordine in giardino. Il fatto che all’interno dei sacchi vi sia torba, pomice e concime al posto di sabbia e cemento al momento è un puro dettaglio. Le tracce sul pavimento sono ahimè le stesse, impossibile smarrirsi tra la porta d’ingresso e quella del giardino, neanche fosse passato Pollicino. Stavolta però sopporto stoicamente, con un accenno di sorriso e un luccichio negli occhi, impaziente di vedere le azalee, camelie e rododendri finalmente accasati in quella che si spera diventerà la loro dimora per la vita, anche perché vuoi mettere la soddisfazione di decidere col giardiniere l’accostamento dei colori e dei periodi di fioritura rispetto a quando dissertavo con i muratori di forassiti e prese elettriche? Altra roba, non c’è confronto, è quasi come essere in sartoria, a disquisire di tonalità e nuances, se l’azalea a fiore piccolo rosa stia meglio vicino al rododendro lilla o a quello fucsia, e ad argomentare su altezze e rami da potare, come orli e plissettature da fare ad un abito da sera. E chissà se dopo tutti questi trapianti avanzerà un po’ di spazio per una peonia rosa, che è tanto tempo che ne vorrei piantare una, magari vicino alla Nuccio’s Gem che il bianco e il rosa vanno d’amore e d’accordo, ben lo si sa. Così sopporto le briciole di terra sul pavimento senza fare una piega. Oh sì, non c’è proprio storia, fiori battono mattoni due a zero.

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