martedì 18 dicembre 2012
Detto fatto
Evidentemente
sono io che me la tiro da sola, praticamente un effetto gallina che si gufa,
tanto per restare tra volatili. Fatto sta che qualche giorno addietro, mentre
cercavo di districarmi tra gli acquisti natalizi, l’asse da stiro, la pioggia
battente e le prove del coro gospel nel quale sono stata inserita di forza (in
effetti, a chi non manca un coro gospel nella vita), avevo brevemente
riflettuto su come non avrei disdegnato qualche giorno di stop causa influenza
e… detto fatto, passate neanche ventiquattr’ore mi sono ritrovata alle prese
con termometro e tachipirina, il tutto inframezzato da dolori allucinanti ad
ogni singolo osso, molti dei quali ne ignoravo addirittura l’esistenza, ed
improvvise corse in bagno. Ovviamente il riposo forzato è arrivato, e visti i
collaterali ne avrei fatto volentieri anche a meno, ma mi chiedo come mai io
sia stata esaudita in questa stupida richiesta mentre tutte le volte che penso,
che so, al superenalotto, al biglietto vincente della lotteria o a far sì che una
dissenteria fulminante colpisca il bieco di turno, i miei desideri vengano sempre
bellamente ignorati. Vabbè, probabilmente me lo meritavo e basta questo
antipatico virus che mi ha stesa per qualche giorno, ma forse non tutto il male
viene per nuocere, visto che tra un colpo di tosse, uno starnuto e una tazza di
tè bollente sono riuscita a preparare delle etichette proprio carine per la vendita di
dolcetti natalizi della squadriglia scout della pulcina, a rivedere la puntata
di Downton Abbey che mi ero persa ed a tirare fuori tutti i ricettari per
decidere cosa cucinare per il pranzo del venticinque. Sì, direi che una volta
passato il primo tempo per così dire drammatico e con effetti speciali, il
secondo tempo di un virus dicembrino può rivelarsi decisamente sopportabile. Sono
sicura che ci sarà anche un terzo tempo, alla stregua di quello del rugby, ed ugualmente
spassoso: una seduta di stamping da fare indigestione. Dovrò solo stare attenta
a non tossire sul glitter.
lunedì 10 dicembre 2012
Priorità
Per un motivo o per un altro negli
ultimi anni il Natale mi ha colta alla sprovvista, facendomi ritrovare a pochi
giorni dall’arrivo della slitta con l’albero ancora nudo e intirizzito in
giardino e con la lista dei regali e dei to
do non solo non ancora scritta ma addirittura nemmeno concepita, trascinandomi
nello stesso stato d’ansia e di agitazione di quando la prof stava per
cominciare ad interrogare ed io, ben cosciente di andare incontro ad una pietosa
scena muta, sapevo anche di aver già esaurito le due miserissime
giustificazioni concesse per l’anno in corso. Praticamente un devastante
effetto countdown. Solo che un impreparato sul registro di Babbo Natale, quello
rilegato in cuoio rosso e custodito nei secoli da schiere di laboriosissimi
elfi, risulterebbe decisamente più umiliante di un tre all’interrogazione di
Diritto. Quest’anno ho quindi deciso di rientrare nei ranghi e se possibile di
provare anche a giocare la carta dell’anticipo, che tanto a far tardi sono
sempre in tempo, visto che pare io disponga di una certa dote in materia, cosa
che peraltro mal si addice ad una pissera precisina come la sottoscritta, ma
del resto la vita è piena di eccezioni. L’albero è già vestito di tutto punto
da giorni, quest’anno in una mise bianca e rossa che strapperebbe un sorriso
anche a Jack lo Squartatore, stracarico di lucine, meline che sembrano uscite
da Biancaneve e tredici tintinnanti campanelle, una per ciascuno dei Natali di
mia figlia, in attesa che a giorni arrivi la numero quattordici. I regali sono
già tutti in dirittura d’arrivo, compresi quelli provenienti da oltre oceano,
che avere gli agganci americani ogni tanto fa davvero comodo, soprattutto col
dollaro a uno e ventinove. Con la complicità della pulcina ci siamo pure
concesse il lusso di una mattinata intera di stamping, creando cartoncini d’auguri,
bigliettini e segnaposto, con il tavolo ingombro di inchiostri, timbri,
polverine, brillantini, nastri e taglierine di ogni tipo, vittime di favolosi
attacchi creativi che ci hanno fatto pensare solo a stelle e cuoricini, mentre,
a forza di soffiare, il glitter si depositava sul divano, sulle tende e persino
sulle orchidee, ma del resto un po’ di atmosfera scintillante fa bene anche al
resto della casa, anche se non credo che il Galletto abbia particolarmente
gradito la luminescenza che proveniva dalla sua felpa. La ghirlanda fa già
bella mostra di se sul portone e i biglietti d’auguri devono solo essere
spediti. E siamo solo al dieci dicembre. Ovviamente, il fatto che sulla
lavatrice ci sia una pila di panni da stirare che per arrivare all’ultimo devo
mettermi in punta di piedi, che entrambi gli stendini siano anch’essi
stracarichi e stazionino nel bel mezzo del soggiorno, che il cestone dei panni
sporchi stia iniziando a muoversi da solo, che con il solo uso dell’indice si
possano scrivere poesie o improperi, a seconda dell’umore, sul piano dei mobili
e che i pavimenti stiano assumendo una sospetta tonalità grigio topo, beh,
credo che sia puramente irrilevante. E’ solo una questione di priorità.
lunedì 3 dicembre 2012
Non è niente, ma
Alla fine sono riuscita a dare un senso a tutte quelle pigne amorevolmente
raccolte la scorsa estate lungo gli interminabili sentieri dei Nockberge.
Quelle che, non appena il galletto e la pulcina deviavano dal sentiero in cerca
di preziosi finferli e porcini, la sottoscritta si prodigava a raccogliere a
piene mani, riempiendo tasche e zaino di pigne di tutti i tipi, di rametti
assortiti ed in qualche occasione portandosi appresso anche qualche abitante
che non voleva traslocare, come quello sfacciatissimo ragnetto che una sera ritrovai
sotto la doccia con me. Quelle che in questi mesi sono state lasciate chiuse
nel buio di una busta sullo scaffale più alto del ripostiglio, sicure di essere
state dimenticate. Ma si sbagliavano, il progetto che le riguardava era nato
nella mia testa nel momento stesso in cui le avevo raccolte, bisognava soltanto
aspettare dicembre, e dieci minuti di tempo. Il mese adatto è arrivato ed
anche, miracolosamente, i dieci minuti, così ho tirato fuori due candele dorate
e luccicanti che avevo comprato tempo fa ad un mercatino e le ho circondate di
pigne, quelle lunghe e strette dell’abete rosso, quelle panciute del pino nero
e quelle piccolissime del larice, ancora attaccate al loro rametto, tutte nelle
loro calde sfumature del legno, semplici e nude, ancora profumate di bosco, bellissime.
Un lavorino da niente, roba davvero di pochi minuti, ma il solo guardarle mi
scalda il cuore, mi fa pensare al Natale dietro l’angolo ed a quei lontani
giorni di vacanza trascorsi nella natura incontaminata e silenziosa delle Alpi
austriache.
lunedì 19 novembre 2012
Domani
Ho guardato la data del mio ultimo uovo deposto e mi è preso un colpo. Quasi due mesi. Impossibile, ho pensato. Mica tanto, mi son detta poi. E’ che il tempo non so più dove sta di casa, ho perso l’indirizzo, il telefono, è sparito anche dalla rubrica del mio cellulare. Missing, desaparecido, scomparso, quasi-quasi scrivo a Chi l’ha visto. Ogni mattino mi alzo carica di mille propositi e penso che sì, sarà la volta buona che riesco a fermarmi un attimo e metter giù quel pensiero che mi frulla in testa dalla sera prima, a trasformarlo in un bell’ovetto tiepido da deporre lì nel pollaio ed avvolgere con cura in un bel panno di lana morbida. Poi la guarnizione della macchina espresso decide che è arrivato il momento di andare in pensione e mi sputa acqua e polvere di caffè su mezza cucina, muro compreso. La pulcina, che sta attraversando quel meraviglioso momento chiamato tredicianni, entra in crisi per i capelli che non le stanno bene né sciolti né legati né col cipollino ed è un miracolo se non prendo un Bic e la trasformo in Soldato Jane. Mentre rimugino sul Bic, l’occhio ancora cisposo mi cade inesorabile sullo specchio che mi rimanda i miei di capelli, perfetto stile Medusa del Caravaggio, e mi vien voglia di rasare la mia di testa, così risolverei in un botto il problema capelli e il budget parrucchiere, ma poi non avendo il dolce faccino di Demi Moore desisto dall’insano proposito e lego la massa informe in una triste coda senz’arte né parte. Il bus è in ritardo e mi accorgo di star imprecando in aramaico antico, del resto non è mai troppo tardi per imparare una nuova lingua. Strisciare il badge all’ingresso in ufficio, volare alla scrivania e strisciarlo nuovamente un tot di ore più tardi è praticamente un tutt’uno, solo che fuori nel frattempo il sole ha cambiato di molto la sua angolazione, anzi in alcuni giorni proprio non c’è più ed ha lasciato già il posto alla sera buia di questo umido autunno avanzato. Mentre cammino penso alla cena da preparare, al bucato da stendere, alla pulcina che mi ha chiesto un aiuto sui Promessi Sposi, a mio padre che sta ancora aspettando che gli porti l’olio nuovo e alla tonnellata di foglie gialle che ha ricoperto il mio giardino, sicuramente molto coreografiche ma decisamente pericolose qualora dal cielo venisse giù una bomba d’acqua come quelle che purtroppo pare stiano andando di moda adesso. Il telefono squilla sempre quando sto girando il sugo, non so, dev’essere un automatismo, sugo uguale telefono, telefono uguale sugo, forse se facessi una pasta al burro non chiamerebbe nessuno, anzi di sicuro, ma mentre rispondo, nell’ordine, a mia suocera che vuol sapere come si salva un allegato, alla mamma di scuola che chiede notizie sul consiglio di classe ed al galletto che tanto per cambiare è in ritardo, in casa si diffonde un certo odore di bruciato. Il sugo. Si è attaccato. Tralascio l’aramaico antico per ripassare un po’ di serbo-croato, soprattutto la grammatica, che le lingue non vanno mai lasciate nel dimenticatoio, ma l’intento è lo stesso: smoccolare ben bene. Cosa che certo non si addice ad una signora, ma qui di signore non ne vedo, c’è solo una tizia stralunata con una cofana di capelli che non si fanno addomesticare neanche da Nando Orfei. Quando accendo la tivù il telegiornale è sempre già finito, al massimo è il momento delle reti in campionato e delle pole positions, sai che me ne importa, e resto ancora col dubbio di come cavolo devo fare per iscrivermi a queste stramaledette primarie, sempre che al telegiornale si siano degnati di dirlo. Andrà a finire che non voterò, così imparano a far le cose semplici, mannaggia a loro, tutti quanti sono. Poi tra Renzo e Lucia che dopo tutti questi anni ancora son lì a decidere se sposarsi o meno, il giornalino della Fidaty e quello del quartiere che occhieggiano da giorni in soggiorno, i bulbi da annaffiare, la pulcina che finge di preparare i libri per il giorno dopo mentre messaggia a rotta di collo sull’ennesima diavoleria chiamata whatsapp, gli occhi cominciano a dar segni di cedimento e riesco non so come ad andare a letto senza rompermi una gamba scivolando su un paio di calzini abbandonati sulle scale. Mi tiro su il piumone fino al mento. C’è ancora un pensiero. Ah, già, l’uovo. Domani, sicuramente domani.
sabato 29 settembre 2012
La Gallina in Grigio
Che amo l'autunno non è certo una novità, ma stavolta ne sento davvero un'incredibile mancanza. Questa estate che si sta protraendo a dismisura mi ha stufata di brutto, e anche se c'è chi dice che tra un po' rimpiangeremo le mezze maniche, io so bene che non farò parte del gruppo e mi avvolgerò felice in sciarpe e piumini. Ho proprio voglia di vento, di golfini da abbottonare bene, di cielo che si tinge di viola all'ora di merenda, di freddi mattini nebbiosi e di quelle nuvole basse e sfilacciate che ricoprono le colline dietro casa mia quando ha piovuto da poco. I colori sono praticamente già stati banditi dal mio armadio, o meglio, in realtà sono ancora lì ma praticamente non li considero più, e getto sguardi laguidi solo ai grigi e ai marroncini, passando per il cipria, il tortora e il piombo. C'è poco da fare, la palette dei miei colori segue inesorabilmente le stagioni, e anche se la temperatura esterna suggerirebbe ancora canottiere lime e infradito turchesi, io sono gia' oltre e penso solo a stivali cacao e maglioncini carbone, al massimo un'ametista melange. Forse sono malata, una delle mie ennesime fissazioni, che come dice il Galletto ormai non si contano più. Vabbè, che male c'è, c'era la Signora in Rosso, potrà pur esserci la Gallina in Grigio. Così, me ne infischio dei quasi trenta gradi ed ho dichiarato i sandali già out, accontentandomi delle ballerine in attesa di poter rinnovare gli stivali. Ottobre e' gia' sul pianerottolo e non vedo l'ora di spalancargli la porta, sperando porti con se quelle giornate fresche e croccanti che adoro, quando il vento fa volare via miliardi di foglie in fiamme e le guance dei bimbi si arrossano come piccole mele mature. Lo abbraccerò con affetto e lo farò accomodare con un sorriso, fai come se fossi a casa tua, mentre gli servirò un tè fumante, arancio e cannella, il mio preferito. Sono pronta, prontissima. Quasi troppo, che mi sono già beccata il primo solenne raffreddore della stagione con tanto di starnuti a raffica e voce da Mamie di Via col Vento. Ho paura di essermi portata un po' troppo avanti col lavoro.
venerdì 21 settembre 2012
Di cuore e di spritz
E' vero, ultimamente scrivo poco. Ma
è anche vero che ultimamente mi sto facendo dei gran bei regali. Non
che le due cose siano direttamente collegate, anzi, lo scrivere per
me resta comunque un regalo bellissimo, ma negli ultimi tempi mi è
presa cosi, meno voli pindarici e più concretezza. E questi regali
son proprio belli, regali speciali. Non si tratta di shopping
compulsivo in Via Tornabuoni e, ahimè, neppure spensierati acquisti on-line, che il mio
computer è defunto da una settimana - una prece - e a parte qualche
incursione notturna sul portatile del Galletto, sono totalmente out of the
web, cosa che mi fa sentire tagliata fuori da tutto, come se mi
avessero tolto un pezzo, un braccio, uno dei cinque sensi, anzi tutti
e cinque insieme. No, in questo caso si tratta di regali che non si
incartano e nemmeno si scrive il biglietto, sono regali che si prende
e si va, si salta dall'altra parte dello schermo e si va a vedere chi
c'è. Così, in questo mese che adoro e che è proprio il mio mese, e
quindi quale occasione migliore per farsi dei regali, dopo lo
splendido dono chiamato Ficata
che mi sono fatta pochi giorni fa,
ieri sera appena uscita dall'ufficio ho preso bus e tramvia e sono andata a
riabbracciare la mia carissima amica delle fragole e del cuore, che
non vedevo da tanto, troppo tempo, proprio da quel regalo speciale
che mi ero fatta ormai tanti anni fa, la quale era in compagnia della
mitica Emme, fiorentinaccia come me, con la quale ci eravamo già
riviste proprio alla suddetta Ficata... perché sì, è così, sul
web i sentieri si rincorrono, si incrociano nei modi più strani,
anche tu qui? ma dai, non ci credo!, e si può star certe che in
fondo ad ogni sentiero, anche il più arzigogolato, si troveranno
solo sorrisi e caldissimi abbracci. Il mondo è piccolo, e quello
delle bloggers lo è ancora di più. Così ieri sera io, Laura ed
Emme ci siamo abbracciate e stritolate a dovere per poi infilarsi in
un localino niente male, tutto bianco, chic e francesissimo che sembrava di
essere sul primo arrondissement invece che a due passi dall'Arno, e
ci siamo godute gli spritz, un sacco di deliziosi assaggini che alla
fine avevamo già cenato, e soprattutto la nostra compagnia, condita
da qualche lacrima e molte risate. Bello, bello. Da rifare. Presto,
prestissimo. Guardarsi negli occhi e sapere di pensare esattamente la
stessa cosa. Non c'è niente di più prezioso nella vita.
sabato 8 settembre 2012
In attesa di domani
Chiuso lo sportello del forno e messo a cuocere il dolce per domani, eccomi qui ad aspettare questo sabato settembrino che mi porterà ancora una volta al Poggio, in mezzo alle vigne, agli olivi, ed ai fichi naturalmente, visto che proprio quest’ultimi sono il simbolo assoluto della giornata che si svolgerà a casa della mia sorellina, per l’edizione duemiladodici della mitica Ficata. Stavolta lo dico prima che la Ficata sarà una gran ficata, perché da vecchia ficara qual sono, come chiamasi le avvezze a tale manifestazione di fine estate sulle colline fiorentine, so per esperienza che sarà una bellissima giornata, fatta di abbracci e di risate, di un lungo tavolo sull’aia imbandito di ogni ben di Dio, di chiacchiere fino a notte fonda e di bambini di ogni età a giocare e rincorrersi nei campi, oltre ovviamente alla raccolta dei famosi fichi della Dani, a cui nessuna saprà resistere, nemmeno se munita di tacco dodici, che come si vocifera qualche impavida indosserà sprezzante del caldo e delle zolle del Chianti. Pare che una leggenda del luogo racconti addirittura di una raccolta migliore proprio se effettuata dall’alto di un bel plateau scamosciato e peep toe. Per quanto mi riguarda, sfiderò la malasorte ed mi accontenterò di un magro raccolto in Birkenstock, onde scongiurare il terribile effetto cotechino in cui si trasformano i miei piedi dopo solo un paio d’ore di tacchi. In ogni caso, sconsiderate ficare in decolleté a parte, non vedo l’ora che le lancette girino ed arrivi il mezzogiorno di domani, ora in cui si apriranno le danze. Conosciute, sconosciute, figli e mariti al seguito o super single partite solissime e alla chetichella, maledette toscane, nordiste, sudiste o autoctone, quello che ci legherà e ci accomunerà tutte quante sarà la voglia di stare insieme, di conoscerci, di parlare così tanto da slogarci le mascelle, di ritrovarci emozionate a combattere le lacrime e veder brillare la stessa luce in tutti i nostri occhi. Nell’aria si sta diffondendo l’inconfondibile dolcissimo profumo del mio cheese cake, tra poco sarà il momento di toglierlo dal forno. Nel frattempo penso a domani, e sorrido. Ancora una volta grazie, sorellina.
lunedì 6 agosto 2012
Di afa, silenzio e solitudine
Questo è uno di quei casi in cui il titolo dice già tutto. Potrei evitare di scrivere qualsiasi altra frase, che quelle tre parole già descrivono alla perfezione questi giorni di casa vuota e di città in fiamme. Quanto a temperatura, ogni giorno è decisamente sorprendente, nel senso che da due mesi a questa parte ogni giorno penso sia stato il più caldo e insopportabile, per poi ricredermi il giorno successivo alle prese con un clima ancora più torrido. Non ha molto senso quindi sottolineare il fatto che oggi pomeriggio ci fosse un’afa da delirio e che se non mi fossi fatta aiutare da un gelido Cafè Zero scolato a cannuccia sul marciapiede, sarei anche potuta crollare sul selciato a due passi dal Duomo, col rischio di essere pure calpestata dalle frotte di turisti che affollavano la piazza, tutti a naso in su e sguardo allucinato, non so se per merito della cupola del Brunelleschi o dei quaranta gradi, o di tutt’e due. Il cielo bianco e appannato faceva quasi rimpiangere il sole, quando improvvisamente qualcuno ha detto piove! e sono scese giù sì e no una ventina di gocce in croce, che hanno solo fatto ribollire l’asfalto e segnato i cofani delle auto con tanti pois beige di sabbia africana. Ho paura che le piante del mio giardino dovranno ancora attendere, ed accontentarsi delle brevi annaffiature che il galletto dispensa loro a notte fonda di nascosto dall’ordinanza comunale che le avrebbe vietate. Nel frattempo la casa risuona dei miei passi, delle mie dita che ticchettano sulla tastiera, dello sbuffo del mio ferro a vapore e delle olimpiadi in televisione, che mi son fatta una cultura in lancio del peso e fossa olimpica. Praticamente un vuoto abissale. La pulcina già al suo decimo giorno di campo scout, senza neppure la possibilità di sentirla al telefono, cosa che in quest’era di cellulari, skype e diavolerie telematiche assortite, fa ancora più effetto e mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, ma parecchio indietro, perlomeno di cent’anni, che quand’ero ragazzina io un gettone per telefonare dalle cabine gialle della Sip le nostre mamme ce lo facevano sempre portare dietro. Vabbè, è vero che no news good news, come dicono flemmaticamente oltremanica, ma la picci mi manca assai, comprese le nostre litigate quotidiane, il che è decisamente tutto dire. Così per distrarmi un po’ ho tirato su la saracinesca della mia agenzia e passo il tempo mettendo a punto il nostro prossimo viaggio. In attesa che la pulcina torni alla base, che in casa si ritorni a urlare come d’abitudine e che le alte pressioni africane tolgano gentilmente il disturbo.
sabato 28 luglio 2012
Tredici
Tredici mila chili di arcobaleni a strisce
a volte è proprio bravo chi è che ti capisce
da cavalcar nel vento come un puledro moro
e scivolare in fondo a caccia del tesoro.
Tredici oceani ricchi di pesci e di balene
e tuffi in fondo al blu insieme alle sirene
miliardi di conchiglie e onde con la cresta
anche se è una piscina è qui la vera festa.
Tredici leghe e ancora di passi e di saltelli
corse a perdifiato e impavidi duelli
prati verdi in discesa da farci capriole
se lo decidi tu vai dritta fino al sole.
Tredici lune a punta per dondolarti lenta
nel buio della notte che niente ti spaventa
e sogni attorcigliati di brividi e rugiada
finché la luce arriva e nebbia la dirada.
Tredici fate in cerchio a prenderti per mano
i balli e le risate ad intonare un brano
musica intorno al cuore come una melodia
passi di danza incantano con rara maestria.
Tredici fiamme bruciano intense nei tuoi occhi
a me pare impossibile sentir questi rintocchi
mi volto e vedo un fiocco appeso sul portone
ti guardo e sei già grande non più nel mio pancione.
Tredici e ancora mille fiocchi di neve pura
da ascoltare in silenzio sui monti o giù in pianura
per diventar regina d’inverno e primavera
il cuore batte forte proprio per te stasera.
a volte è proprio bravo chi è che ti capisce
da cavalcar nel vento come un puledro moro
e scivolare in fondo a caccia del tesoro.
Tredici oceani ricchi di pesci e di balene
e tuffi in fondo al blu insieme alle sirene
miliardi di conchiglie e onde con la cresta
anche se è una piscina è qui la vera festa.
Tredici leghe e ancora di passi e di saltelli
corse a perdifiato e impavidi duelli
prati verdi in discesa da farci capriole
se lo decidi tu vai dritta fino al sole.
Tredici lune a punta per dondolarti lenta
nel buio della notte che niente ti spaventa
e sogni attorcigliati di brividi e rugiada
finché la luce arriva e nebbia la dirada.
Tredici fate in cerchio a prenderti per mano
i balli e le risate ad intonare un brano
musica intorno al cuore come una melodia
passi di danza incantano con rara maestria.
Tredici fiamme bruciano intense nei tuoi occhi
a me pare impossibile sentir questi rintocchi
mi volto e vedo un fiocco appeso sul portone
ti guardo e sei già grande non più nel mio pancione.
Tredici e ancora mille fiocchi di neve pura
da ascoltare in silenzio sui monti o giù in pianura
per diventar regina d’inverno e primavera
il cuore batte forte proprio per te stasera.
venerdì 13 luglio 2012
Ferie after-hours
E' strano questo luglio, diverso da tutti gli altri lugli, si dice lugli? mi sa di no, e non solo per il caldo record che lo ha fatto schizzare ai vertici della hit parade estiva degli ultimi cinquant’anni. In genere è un mese fiacco, addormentato dall’afa e dalla solitudine di una città già mezza vuota, un mese in stand-by, in attesa delle vacanze e dei primi temporali, dove spesso le cose più interessanti da fare si riducevano al guardare qualche stanca replica televisiva ed a fulminare a suon di racchettate le sventurate zanzare che si azzardavano ad entrare in casa. Questo luglio invece mi sta sorprendendo con un’identità nuova, nottambula e festaiola, dove passato il tramonto ogni occasione è buona per uscire e far qualcosa. Ecco quindi fiorire cene in pizzeria con amici e figliolanza, spettacoli estivi, apericene, cinema all’aperto e perfino un Lago dei Cigni. Caspita, praticamente impossibile riuscire a trovare un buco libero nel mio carnet. E se anche restiamo in casa, vai di tivù spenta e via con una serata di letture come quella di ieri sera, dove io e la pulcina ci siamo godute il silenzio e la notte, ognuna immersa nella lettura del suo libro ma contemporaneamente in compagnia dell’altra. No, non è affatto male questo luglio cittadino, con i negozi che restano aperti fino a mezzanotte per combattere la crisi e offrire un diverso modo di fare shopping ai saldi, che sembra quasi di essere a Viareggio in passeggiata per le classiche vasche del dopocena. E se ci scappa un bellissimo paio di jeans al prezzo di una maglietta, ancora meglio. E poi un po’ di ferie le abbiamo già fatte, ed altre verranno ancora quando molti staranno tornando, e nel mezzo possiamo metterci dei giorni proprio così, climatizzati, austeri e lavorativi durante il giorno, ciarlieri e giocosi sotto le stelle. Praticamente delle mini-ferie in pillole da prendere ogni giorno. Una specie di cura vitaminica, come la pasticca rosa che ogni mattina metto accanto alla tazza della colazione della pulcina. E si sa, le vitamine fanno sempre bene.
mercoledì 4 luglio 2012
Fuori dal mondo
A volte una vacanza deve anche essere così, fuori dal mondo per una settimana, l’auto dimenticata nel parcheggio oltre la sbarra, e giorni pieni solo di mare e di sole, dove le uniche preoccupazioni sono quelle di spalmarsi di fattore trenta, di ricordarsi di prenotare la canoa e di non perdersi lo spettacolo serale. Per il resto, ore passate a leggere a bordo piscina, a camminare in riva al mare raccogliendo ciottoli così bianchi, levigati e rotondi da crederli finti e messi lì appositamente dall’azienda turistica, a ridere ballando la sigla sotto le stelle come una ragazzina, ad asciugarsi le lacrime che escono furtive alla vista di mia figlia con l’erogatore in bocca scomparire per la prima volta tra i flutti lasciando una scia di bollicine. La vita di villaggio è così, a metà strada tra fiaba e finzione, e così deve assolutamente essere, per potersi davvero chiudere la porta alle spalle e staccare la spina di qualsiasi filo mi tenga ancorata alla realtà, ed immergersi in un luogo perfetto, circondata da prati verdissimi, mare turchese e olivi secolari dai tronchi immensi, le cui grinze ospitano nidi abitati da neonati uccellini col becco spalancato. Non pensare a nulla, non voler sapere nulla di quel che succede al di là di quella sbarra, disintossicarsi da tutto ciò che ci avvolge nella vita di ogni giorno e riuscire a dimenticarsene davvero, tanto da guardare con occhi torvi il cellulare che improvvisamente prende vita ed essere tentati di spengerlo senza rispondere. Certo, trascorrere un’intera estate così, come fantasticavamo con la pulcina mentre andavamo in giro in pareo e infradito, alla fine potrebbe forse essere noioso, magari dopo un po’ tornerebbe prepotente il desiderio di accendere la tivù per ascoltare un telegiornale o potremmo venir travolti da una crisi di astinenza da stress lavorativo o da un attacco di nostalgia per la coda alla cassa del supermercato, chissà. Per quanto mi riguarda, ne dubito fortemente. Sono sicura che la parola noia non apparirebbe mai nel mio dizionario, nemmeno a settembre inoltrato, quando fossimo rimasti soli, obbligati a passare il tempo giocando a carte col bagnino ed il capo villaggio.
mercoledì 20 giugno 2012
Sapore d'estate
Benché il solstizio d'estate quest'anno sia stato preceduto dall'alta pressione africana, con temperature intorno ai quaranta, e l'accendere il forno effettivamente non rientri tra le attività consigliate, non potevo non festeggiare degnamente il primo, splendido regalo fattoci dal nostro giovane albicocco che, vista l'imponente fioritura primaverile, sapevamo già che se non ci scappava una grandinata si sarebbe interamente ricoperto di piccoli bellissimi soli arancioni e vellutati. Del resto, scartata l'opzione marmellata, che non amo particolarmente, ed avendo già distribuito albicocche a parenti e colleghi, bisognava che trasformassi parte del restante in qualcosa di più godereccio di un semplice frutto da mangiare a fine pasto. Frugando nei miei ricettari, ho trovato questa intrigante ricetta francese che ho deciso di mettere subito alla prova. Tra burro e mandorle le calorie si sprecano, ed è indubbio che sia la cosa meno indicata in questo periodo di imminente prova costume, ma quanto a bontà, beh, i francesi la sanno davvero lunga. Provare per credere.
Tarte aux abricots
Ingredienti:
pasta frolla (si può usare anche quella pronta)
albicocche fresche
120 gr. di farina di mandorle
90 gr. di zucchero
1 uovo grande
80 gr. di burro
un cucchiaio abbondante di cognac
Preparazione:
Accendere il forno a 180°. Lavare le albicocche, tagliarle a metà e togliere il nocciolo. Ricoprire il fondo di una tortiera con carta da forno. Stendere la pasta frolla e adagiarla nella tortiera, lasciando il bordo un po' alto, e cuocerla in forno per circa 7-8 minuti. Nel frattempo in una ciotola mescolare lo zucchero con la farina di mandorle, aggiungere l'uovo, il burro fuso ed il cognac e mescolare bene con l'aiuto delle fruste, fino ad ottenere una crema omogenea. Disporre le mezze albicocche sulla pasta frolla precotta, con la buccia verso l'esterno, ricoprendo tutta la superficie. Versare la crema di burro e mandorle sopra alle albicocche e livellare bene. Infornare e cuocere a 180° per circa mezzora. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente e servire.
Tarte aux abricots
Ingredienti:
pasta frolla (si può usare anche quella pronta)
albicocche fresche
120 gr. di farina di mandorle
90 gr. di zucchero
1 uovo grande
80 gr. di burro
un cucchiaio abbondante di cognac
Preparazione:
Accendere il forno a 180°. Lavare le albicocche, tagliarle a metà e togliere il nocciolo. Ricoprire il fondo di una tortiera con carta da forno. Stendere la pasta frolla e adagiarla nella tortiera, lasciando il bordo un po' alto, e cuocerla in forno per circa 7-8 minuti. Nel frattempo in una ciotola mescolare lo zucchero con la farina di mandorle, aggiungere l'uovo, il burro fuso ed il cognac e mescolare bene con l'aiuto delle fruste, fino ad ottenere una crema omogenea. Disporre le mezze albicocche sulla pasta frolla precotta, con la buccia verso l'esterno, ricoprendo tutta la superficie. Versare la crema di burro e mandorle sopra alle albicocche e livellare bene. Infornare e cuocere a 180° per circa mezzora. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente e servire.
mercoledì 30 maggio 2012
Alta marea
Già ho le mie di ansie, che vanno e vengono come le maree, che cerco di tenere a bada facendo schioccare la frusta come un domatore di leoni e con le quali in certi momenti mi pare di aver trovato uno strano equilibrio che me le fa sopportare senza troppi drammi, come due cugine antipatiche delle quali faresti volentieri a meno ma, dato che sono parenti, ti tocca sopportarle con un mezzo sorriso, sperando tornino presto a casa loro. Ci mancava pure questa fine di maggio strana e triste a farmi arrivare nuove preoccupazioni e a far salire l'ansia a livello di attenzione. I pensieri si rincorrono incessanti da giorni nella mia testa, si arrotolano gli uni sugli altri come serpenti inquieti, spire fitte di domande destinate a restare senza risposta. Le stesse che mi facevo da ragazzina e che speravo di non dovermi rifare mai più, di aver dimenticato, mentre invece il passato, che sembrava così lontano, forse non e' mai realmente passato ed è ancora qui, tra di noi, pronto a far del male a chiunque, dovunque. Ripenso alle gente che aspettava un treno per partire in vacanza, a quelli che facevano la fila in banca, a quelli che semplicemente dormivano nel loro letto e adesso alle ragazzine che andavano a scuola. Non posso, non voglio crederci. Eppure. Poi la terra comincia tremare, ancora e ancora, e ti viene da pensare che anche lei forse stia tremando di paura, come te, per questo mondo che qualcuno vuole per forza distruggere, spegnendo per sempre il sorriso a una ragazzina dolce con gli occhi di Bambi e facendo morire la gente in case costruite con il Lego. L'ansia sale come la marea, ma questa è più difficile da domare, forse non ho la frusta adatta o forse queste bestie sono così feroci che e' impossibile domarle. Le domande si rincorrono ancora, le risposte non arriveranno. So solo che a sedici anni si dovrebbe solo morire dal ridere, o magari di sonno, mai per una bomba. So solo che stanotte mia figlia ha dormito attaccata a me come una cozza, o forse ero io che mi aggrappavo a lei come ad uno scoglio, per paura di sentire la terra tremare, per paura di sentir tremare il mio cuore.
venerdì 18 maggio 2012
Mia sorella
E’ proprio vero, ci siamo riconosciute subito, come se veramente, come noi diciamo per scherzare, fossimo state sorelle separate alla nascita. Ed in effetti così continuiamo a chiamarci, sister, tanto che qualcuno a volte ci crede davvero e si stupisce del contrario. E quanto amo crederlo anch’io. Figlia unica da una vita, l’infanzia passata a sperare nell’arrivo di un fratellino o di una sorellina con cui condividere una crescita che evidentemente, seppur inconsciamente, sapevo già non sarebbe stata facile, anni di solitudine ai quali mi sono adeguata, anni di silenzio perché nessuno avrebbe ascoltato, anni a riempire pagine da chiudere in un cassetto. Poi improvvisamente qualcuno si è riconosciuto nelle mie parole e mi ha detto di esserci. Similissima a me, per esperienze vissute, sentimenti provati, fragilità dell’anima e profondità del cuore, ed io che lì per lì stentavo a crederci ho davvero pensato, incredibile, è davvero mia sorella. Stessi gusti, stessi pensieri, ognuna con una pulcina, anch’esse simili tra loro, che si son piaciute appena si son viste. Buffo davvero, perfino stesso accento, stesso sguardo, e vicine quel tanto che basta da incontrarsi davanti a una pizza quando ci va, come abbiamo fatto ieri sera, raccontandoci senza tregua e senza veli. Siamo Thelma e Louise del nuovo millennio sorellina cara, e chissà se un giorno non ringrazieremo la curva e ce andremo davvero a zonzo staccando la spina per un po’. Magari un giro di mercati per aiutarti a scovare qualche nuovo tesoro per la tua bottega. Per intanto ti ringrazio di esserci, sister. Davvero.
mercoledì 9 maggio 2012
Cogli l'attimo
Guardo il cielo e mi sembra di guardarmi allo specchio. Mi sento come questo giorno di maggio, a tratti offuscato e pesante, a momenti cosparso di raggi di sole allegri e danzanti come fringuelli. E così io, pari-pari. Sento nell’aria il fremito della rincorsa che sta arrivando, come tutti gli anni in questo periodo, le mille cose da fare e il tempo che non basta mai, la scuola in dirittura d’arrivo, compiti e interrogazioni, i compleanni degli altri e quello della pulcina da anticipare come da tradizione, il saggio, le prove, il picnic con la classe, la pizza con le amiche di palestra e addominali, le gite scolastiche e gli eventi vinicoli del galletto che da ora a metà giugno si inseguiranno senza sosta. E molte altre cose che ancora covano sotto la cenere o che semplicemente mi sono dimenticata, come le torte, ah già, le sei, dico sei torte da preparare per l’autofinanziamento della squadriglia scout, mica una. Perché dare direttamente la banconota non va mica va bene, pare non sia educativo, e così la mia cucina per un giorno si trasformerà in un laboratorio di pasticceria dove io e la pulcina frulleremo, impasteremo e inforneremo, per poi incartare le creazioni e mandare figlia e compagne di squadriglia a venderle sul sagrato della chiesa, sperando nella generosità dei parrocchiani. E nella clemenza del tempo. Mi sento altalenante, tra il sopraffatto e l’incosciente, un momento nuvolosa e concentrata, l’attimo dopo cinguettante e frivola. Tanto un mese passa anche troppo alla svelta, tutto l’ambaradan si smonterà come un castello di carte e mi ritroverò all’improvviso nell’estiva calma piatta che non ho mai sopportato. Tanto vale scrollarsi di dosso l’agitazione, incollarsi un bel sorriso, e cogliere l’attimo.
lunedì 23 aprile 2012
Ti regalo Parigi
Si sa come son fatti i bambini, mica riflettono troppo prima di dire le cose, le sparano fuori con tutto il loro candore e che importa del resto. E’ proprio per questo che sono unici, irripetibili ed assolutamente meravigliosi. Quando si diventa più grandi e si comincia a chiedersi un sacco di se e un sacco di ma prima di dire qualcosa, addio, non siamo di sicuro più bambini, avremo guadagnato cento punti in diplomazia ma perso inesorabilmente la nostra purezza. La pulcina è indubbiamente ancora molto bambina, e non solo a guardarla, piatta come una tavola da surf e sottile come un filo d’erba al vento, lo è anche dentro, pura e semplice, senza tanti fronzoli e anche senza tanti schemi. Così, se da un lato non mi sarei dovuta sorprendere dalla domanda che ha fatto a sua nonna, dall’altro ne sono rimasta sconvolta, pietrificata al suono di quelle parole, mentre avvertivo netto un crack nel mio cuore. Mia madre nel letto, la luce che entra lieve dalla finestra attraversando gli alberi, quelle povere ossa sotto al lenzuolo e quella mano che si muove incessantemente, come a volerne far scaturire le parole che non riescono più ad uscire dalle labbra. Io che tutte le volte cerco di sorridere mentre il dolore mi trafigge senza pietà e vorrei solo poter fuggire per non vederla soffrire così, facendomi forza da quella che mi trasmette mia figlia, che le racconta impavida dei voti a scuola, delle scarpe nuove e che ridendo le fa le pirouettes intorno al letto. E che improvvisamente le chiede se c’è una città che non ha visto e che le piacerebbe poter visitare. Mia madre la guarda e muove le labbra, Parigi, gli occhi verdi s’illuminano per un attimo e, forse, sognano. In quel momento, mamma, te lo giuro, ho preso il volo, un secondo dopo ero al Trocadéro, mi sono affacciata alla terrazza ed ho abbracciato la Tour Eiffel con il mio sguardo, l’ho staccata da lì e sollevata in cielo con mille palloncini come la casina di Up! e l’ho portata via con me, mamma, per regalartela tutta, tutta intera, e salire insieme fino in cima, io e te, più veloci degli ascensori, affacciarsi giù e guardare Parigi, mamma. Io e te, in cima alla torre. Ti regalo Parigi, mamma, è qui nel mio cuore, per te.
venerdì 6 aprile 2012
L'albero di Pasqua

sabato 31 marzo 2012
Switch off


giovedì 29 marzo 2012
L'amore

è un arcobaleno di frutti e di fiori
non guarda l'età, non considera gli anni
è un angelo in cielo pulito da inganni.
L'amore non segue una pelle, una razza
è gioiello brillante in becco di gazza
non prega una croce né un punto lontano
è in tuta, in cravatta ed in caffettano.
L'amore non guarda al mio sesso né al tuo
è musica dolce cantata da un duo
è uguale per tutti, per poveri e ricchi
ché il sole non può essere tagliato a spicchi.
L’amore non cerca la pancia o il cordone
ma vola più in alto di un aquilone
le mani si sfiorano ed accogli una vita
il resto non conta, è scritto a matita.
lunedì 19 marzo 2012
Le piccole cose

mercoledì 14 marzo 2012
Benvenuta primavera

lunedì 5 marzo 2012
Di champagne e torte salate

Torta di salmone e pere
Ingredienti:
pasta sfoglia fresca
200 gr. di salmone affumicato
2 pere abate piccole
burro
2 uova
panna fresca liquida
sale
Preparazione:
Sbucciare le pere e tagliarle a pezzettini. Metterle in una casseruola e cuocerle con un pezzetto di burro ed un po’ di acqua, fino a che l’acqua sarà tutta evaporata, e farle raffreddare. Nel frattempo stendere la sfoglia nella tortiera e disporci sopra il salmone tagliato a striscioline larghe circa 1 cm., incrociandole. Sbattere le uova, aggiungere mezzo bicchiere di panna liquida e salare poco (il salmone affumicato è già abbastanza saporito). Versare le pere sopra al salmone e ricoprire con le uova sbattute. Cuocere in forno caldo a 200° per circa 30 minuti. Servire tiepida o a temperatura ambiente.
venerdì 24 febbraio 2012
Non è la primavera

lunedì 13 febbraio 2012
Mica sei tanto malata

martedì 31 gennaio 2012
Neve o non neve

giovedì 26 gennaio 2012
Non sono pronta

giovedì 12 gennaio 2012
Nuovo gennaio

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