
Mentre il bus corre dando l’inizio ad una nuova settimana, un lunedì già così caldo ed assolato di prima mattina che ti fa venire per forza una gran voglia di vacanze, guardo scorrere la città dietro ai finestrini e cerco di mettere ordine tra tutti i pensieri che da ieri si rincorrono nella mia testa. Tante immagini, come scatti fotografici della mia memoria, che adesso sono lì sparpagliate e non aspettano altro di essere messe a posto, in bell’ordine cronologico, come si fa con le foto al ritorno da un viaggio. Tutto è cominciato con un bouquet di rose e bocci, che hai ricevuto intorno alle otto, ritirandolo impettita ed emozionata dalle mani della fioraia. Un bouquet bellissimo ed incredibilmente adatto, accompagnato da un biglietto che solo a leggerlo i miei occhi hanno dato il via alle danze di lacrime e lucciconi che mi avrebbero accompagnata per tutto il resto della giornata. Poi è iniziata la corsa, il timore di far tardi, la porta del bagno che non faceva in tempo ad aprirsi che era già richiusa, gli abiti, dove ho cacciato gli orecchini nuovi, mi puoi fare un altro caffè, e tu che già di bianco vestita hai battuto tutti sul fronte della tranquillità mettendoti a leggere serafica in attesa che i tuoi genitori fossero finalmente pronti. Si parte, si va. Il breve viaggio verso la chiesa con i ruoli invertiti, io dietro e tu davanti, così il saio non si stropiccia troppo. Un bacio nella cappella, auguri amore, che lì le nostre strade si dividono e noi ci apprestiamo nelle panche mentre i ventuno comunicandi arriveranno da fuori, passando dal sole alla penombra della chiesa gremita, bianchi e luminosi come i gigli che recano in mano. Una processione che mi apre il cuore e lo lascia lì, scoperchiato, alla mercé dell’emozione che mi assale e mi pietrifica. Le letture, i canti, un violino dolcissimo, i tuoi sorrisi da lontano e l’occhiolino scambiato con tuo padre. Leggo la gioia nei tuoi occhi e non chiedo niente di più. Le candele, il grano, l’uva, e poi il tuo incontro con Gesù, che vedo come attraverso la nebbia perché non riesco a trattenere il pianto. I baci, gli abbracci, mio padre che è riuscito a venire nonostante l’età e i malanni, per portare a casa un tuo sorriso e condividerlo con la tua nonna inchiodata alla sedia a rotelle e alla sua malattia. Lo guardo mentre ti abbraccia e mi sembra solo ieri che attraversava tutta la città solo per dondolarti dieci minuti sulla sdraietta. Il rinfresco nel salone della chiesa, gli auguri, un piattino di mignon alla frutta che tieni in equilibrio mentre scarti un regalo, fotografie a raffica e
posso togliermi il saio che sto morendo di caldo. Ma sei così bella che vorrei vederti così ancora per un po’, prima di passare al look da festeggiata in rosa pallido e blazer a righe, che col caldo che fa hai tenuto su appena cinque minuti. Si parte per la campagna e tu cinguetti ininterrottamente e ci racconti, ci dici le cose più buffe, come il fatto che l’ostia tuffata nel vin santo sia infinitamente più buona di quella asciutta che sa di carta. Commento da degna figlia di un quasi sommelier, in effetti. Il Chianti si è vestito a festa, fiori e verde ovunque e i filari ordinati e precisi come se un gigante avesse pettinato le colline. Il luogo è magico
come lo avevo immaginato. Si mangia, si ride, ci si rilassa con quelle che sono le persone più care, tu scarti i regali felice, io ti bevo con gli occhi e se potessi fermerei il tempo per poter rivivere ancora questa giornata, che finisce passeggiando tra gli olivi e visitando la frescura di una cantina secolare. Rientriamo in casa stanchi e felici e la prima cosa che vedo è quel bellissimo bouquet che sembra sorriderci nella penombra e decido di fermarlo per sempre, non solo con la mia memoria.