mercoledì 15 settembre 2010

Come da copione

So con certezza di aver pianto a tutti i tuoi primi giorni di scuola. A volte con un paio di lucciconi furtivi, altre con un piccolo diluvio sotto gli occhiali da sole, ma le lacrime mi hanno sempre accompagnata nei tuoi esordi tra i banchi di scuola. Sono una maledetta sentimentale, mannaggia a me, e anche se rido e scherzo e sembro una tosta, in realtà sono una frignona inenarrabile, adesso cominci a rendertene conto anche tu. Ma stamani avevo deciso di tenere duro. Che figura ti avrei fatto fare a piangere davanti al cancello della scuola media? Che anche se i grandi entravano un’ora dopo ed eravate solo una marea vociante di emozionati primini, mica sarebbe stato bello ritrovarti con una mamma balbettante nei pressi. Così ho chiacchierato con gli altri genitori, ti ho fatto un po’ di foto con le amiche del cuore, ti ho abbracciata e ti ho mandata avanti da sola, alla scoperta della tua nuova aula e dei tuoi nuovi amici. Sei partita impettita facendoti largo in mezzo alla marea umana e non ti sei voltata indietro, facendo subito gruppo con gli altri e salendo le scale con decisione. Io ti ho guardata da lontano in silenzio, ho salutato quelli che conoscevo e poi sono partita a razzo sul marciapiede convinta che avrei fatto tardi al lavoro. Ma che brava che sei stata gallina, mi son detta, non hai fatto una piega, hai visto com’era contenta la picci, è grande ormai. I piedi camminavano svelti mentre mi tenevo stretto il giubbotto nell’aria frizzante della mattina, guardando il marciapiede scuro scorrere sotto di me come un nastro. E’ stato proprio il ricordo di quel marciapiede che mi ha tradita, dei nostri passi di alcuni anni fa, tu piccola e sorridente, tre anni, un grembiulino a quadretti rosa un po’ troppo lungo e un minuscolo zainetto colorato con Winnie Pooh. Ho chiuso gli occhi ed ho riavvertito nettissimamente la sensazione della tua manina stretta nella mia mentre ti accompagnavo al tuo primo giorno di asilo. Li ho riaperti ed ho intravisto un paio di gocce sull’asfalto grigio, non può essere pioggia, ho pensato. Avevo ragione, erano solo le lacrime del primo giorno di scuola.

venerdì 10 settembre 2010

Guazzabuglio

Finalmente. Finalmente riesco a trovare cinque minuti per lasciare andare le dita su questa tastiera e cercare di mettere ordine in questo guazzabuglio di pensieri che mi frullano in testa senza sosta, disordinati, alla rinfusa, che appena uno finisce subito ne arriva un altro e un altro ancora e poi quasi non ricordo più quello precedente e così dopo un poco si riaffaccia pure lui. Basta. Mettetevi in fila, da bravi. Meglio in fila indiana, o se proprio volete farvi compagnia mettetevi in fila per due, tenendovi per mano come gli scolari, ma state un attimo zitti che devo capirvi, interpretarvi, forse anche tradurvi. Dopo una sessantina di buchi sulle braccia la pulcina è risultata allergica solo agli acari della polvere e a nessun alimento ma il sospiro di sollievo non sono riuscita a farlo, è rimasto bloccato a metà strada, perché l’orticaria che la perseguita da qualche parte dovrà pure arrivare. Penso al nuovo incarico professionale che mi è stato affidato e nonostante la fiducia e la considerazione che evidentemente hanno di me a volte mi chiedo se non mi abbiano confusa con il genio della lampada o con quel signore barbuto specializzato nel camminare sulle acque. Riassaporo le parole che mi ha rivolto l’insegnante di danza di mia figlia oggi pomeriggio, al termine di questa sua settimana di stage in una nuova scuola, al mio sguardo incredulo e orgoglioso mentre mi cantava le sue lodi con sincerità e aperta ammirazione, e a quanto ne sia stata felice, che non c’è niente di più bello di un complimento spontaneo e inaspettato. Ascolto i pensieri banali, quelli della trentina di libri di scuola ancora da ricoprire con pazienza certosina, quelli del bucato da stendere di corsa prima che diventi buio e quelli delle canottiere per mio padre da cucire con quegli antipaticissimi numerini adesivi che devono essere cuciti lo stesso e quindi mi chiedo a cosa serva averli comprati adesivi. Programmo carpaccio e insalata per una cena veloce che ci aspetta tra poco per poi andare ad ascoltare alcune persone che mi piacciono tanto parlare del mondo che vorremmo, e che so già mi faranno riflettere, arrabbiare ed inevitabilmente soffrire. Chiudo gli occhi e vedo mia madre, scarno uccellino tremante dentro quel letto bianco, li riapro di botto e guardo altrove, no, stasera non ce la faccio. Vedo il fine settimana srotolarsi davanti a me come un tappeto, voglio pensare solo a cose belle, è un weekend speciale, lo riconosco dall’aria fresca e dal vento, lo sento dentro. Domenica è il dodici gallina mia carissima, proprio il tuo dodici. Che sia davvero il tuo giorno speciale.

venerdì 3 settembre 2010

Azzurro settembre

Il cielo di settembre mi lascia sempre di stucco. Non riuscirò mai ad abituarmi a questo azzurro penetrante e perfetto, liscio e pulito come un enorme foulard di seta lucente o cosparso di nuvole piccole e soffici come riccioli di panna montata, quelle dei fumetti, che non portano pioggia ma solo tanta allegria. Cammino svelta con gli occhi in su, non posso fare a meno di guardarlo, ne sono incantata. Un passante ha seguito incuriosito il mio sguardo pensando forse che avessi avvistato un ufo ma ha incontrato solo le profondità di questo mare arrovesciato ed è tornato a guardarmi sorpreso, probabilmente pensando che fossi un po’ matta. Non tutti si accorgono di questo cielo incredibile. Continuo a guardarlo, innamorata. Sarà il contrasto con le chiome ancora ricche e verdi degli alberi, l’aria frizzante del primo mattino che mi accarezza le guance, la semplice gioia di poter camminare sotto questo mantello blu, che non è azzurro e non è cobalto e forse neanche pervinca e neppure celeste, è tutti questi colori messi insieme e ancora credo che ne manchi qualcuno. Azzurro settembre. Ecco, se quelli del Pantone riuscissero a creare una sfumatura identica la dovrebbero chiamare così, al posto dell’ennesimo banalissimo numero. Ma tanto, non ci riusciranno mai. Cammino, respiro a pieni polmoni e mi sento carica di energia e di voglia di fare. Eppure è solo un banalissimo venerdì mattina di inizio settembre. Ma è il mio settembre. Ti sembra poco?

lunedì 30 agosto 2010

Tanto per gradire

Agosto non è ancora finito, la città sonnolenta, le strade semivuote. Stamani c’era chi parlava del ritmo rilassato di questi giorni. Io li ho guardati storti. Per quanto mi riguarda, qui di rilassato non c’è nemmeno il gatto dei vicini, che stanotte miagolava come un forsennato e dalla zuffa che ne è scaturita mi è sembrato che ne abbia anche buscate. Qui siamo già in rampa di lancio che nemmeno a Cape Canaveral. La massa di post-it e biglietti assortiti che ornano la cappa della mia cucina proclamando a gran voce tutta la lista delle mie incombenze aumenta a vista d’occhio, la difficoltà a questo punto sta nel capire quale sia quello più urgente, che tutti sono sottolineati, scritti in rosso e ornati di punti esclamativi assortiti. Un assurdo mosaico giallo di telefonate da fare, documentazioni da richiedere, fax da inviare, preventivi da sollecitare, ausili per handicap da ritirare, altri da riconsegnare. Mi guardo indietro e mi rendo conto di quanto tempo sia già passato da quando ho dovuto affrontare tutto quello che mi stava capitando, con gli alti e i bassi che ho attraversato. Non è stato facile arrivare fin qui e non lo sarà neppure procedere nei mesi a venire, tanto ancora deve succedere, e non ultima la casa che mi ha visto nascere che dovrò smontare pezzo per pezzo come un puzzle e poi chiudere a chiave per sempre. Rabbrividisco al pensiero di quello che significherà aprire ogni cassetto, sportello, anta di armadio e dovermici tuffare di testa senza fare una piega. Sbagliato, di pieghe ne farò più d’una, anche questo lo so già, ma cercherò di trattenere il fiato come un pescatore di perle, spingendomi in apnea il più velocemente possibile, fino ad arrivare a toccare il fondo e poi, in un lampo, tornare su. Mentre cerco di fare piani di sopravvivenza e tattiche militari per diluire un po’ questa matassa, mi consolo con l’ordinazione dei testi per la scuola media, e fai che siano ottimi perché dopo aver pagato trecentoventiquattro euro di libri per la prima è bene che lo siano davvero, soprattutto per il futuro stato di salute della preside e dei professori, visto che la mia di salute mentale è un po’ traballante ultimamente e mi sento, come dire, piuttosto portata all’incazzatura in questo periodo, tanto per usare un francesismo dato che recentemente ho rinfrescato la lingua. E poi una novità, che sennò sarebbe stato troppo semplice trascorrere questa fine estate cittadina. La pulcina si è riempita di enormi pomfi pruriginosi, gli occhi rossi e gonfi, le occhiaie viola. Praticamente un incrocio tra la Pimpa e un vampiro di Twilight. Malattie esantematiche subito scartate, abbiamo già dato. Trattasi di orticaria. Allergia. A cosa nessuno ancora lo sa, le prime prove cutanee la attendono la prossima settimana, poi quelle più approfondite in ottobre. Nel frattempo la dieta più triste del mondo e tanta pazienza. E la mia preoccupazione, of course. Ma perlomeno mi sono distratta davvero da quella ragnatela gialla appiccicata in cucina.

venerdì 27 agosto 2010

La trottola

La trottola gira, gira, gira. Gira talmente forte che non riesci neppure più a distinguerne i colori e quell'unica sfumatura incerta che riesci a vedere ti fa credere che tutto sia a posto, che i problemi e le difficoltà si siano dissolti, e quasi riesci a dimenticartene. Poi la trottola si ferma, ogni colore riprende il suo posto e ti accorgi che in fondo tutto è rimasto come prima. Ci sono i gialli, i rossi, gli azzurri, ma anche quella serie infinita di colori bui che non puoi ignorare. Tutto ritorna, i sospiri, le lacrime, l'infinita tristezza. Devi sforzarti di ricominciare, in fondo si è trattato soltanto di una pausa. Ma quanto è stata bella l'illusione che la trottola potesse continuare a girare per sempre.

martedì 24 agosto 2010

Chapeau

Sono tornata con il tricolore negli occhi, ma c'e il blu al posto del verde. La Francia mi ha ancora una volta lasciata senza parole. Affascinata, rapita, ammaliata. Mi sono nuovamente innamorata delle verdi distese infinite, della cura per ogni dettaglio, delle aiuole straboccanti di fiori ad ogni angolo, di quella cortesia lievemente sfumata di riservatezza, del savoir vivre semplice e perfetto e così dannatamente lontano dal nostro. Tengo stretti nel pugno i ricordi di questa vacanza nata all’ultimo momento ma che ciononostante si è morbidamente dipanata dal gomitolo senza annodarsi mai. Giorni che abbiamo assaporato con calma e con lo sguardo curioso dei bambini, raccogliendo sensazioni ed emozioni diverse e bellissime. Lo scrigno nero della mia Canon è ancora pieno di tutti quegli attimi che ho fermato per sempre ma mi basta chiudere gli occhi per vederli scorrere come un film e riviverli, uno per uno. I vigneti infiniti di Alsazia e Borgogna, i filari dritti e perfetti a pettinare le colline scoscese fin quasi al cucuzzolo, tanti piccoli eserciti di soldatini pronti a combattere a suon di grappoli neri. I calici riempiti nella fresca penombra delle cantine secolari ascoltando i vignerons descrivere i loro nettari come farebbe una madre per le prodezze di un figlio. Le viuzze dei paesini rimaste pressoché intatte dal medioevo, le insegne dondolanti in ferro battuto, i tavolini di un bistrot sotto un loggiato fiorito, i grandi nidi delle cicogne appollaiati in cima ai tetti appuntiti. A zonzo per città, autostrade, centri commerciali e parcheggi sotterranei, perennemente inseguiti dallo stesso filo conduttore di pulizia e funzionalità, facendo purtroppo i conti con gli imbarazzanti paragoni che ne sono scaturiti pensando a quel che potrebbe essere anche la nostra terra se soltanto ci fossero educazione e rispetto, dovunque e comunque. Il galletto ha riempito l’auto di bottiglie che nemmeno un'enoteca, ma la gallina non e' stata da meno con una bella scorta di foie gras e terrines che arriverà fino a Natale, senape aromatizzata in mille modi acquistata tra i banchi affollati del mercato coperto di Digione e nella splendida boutique Maille che sembrava una gioielleria, una meravigliosa ortensia rifiorente americana che ho tenuto tra le gambe per tutto il viaggio di ritorno e naturalmente un po’ di quelle famose marmellate che a forza di leggerne a destra e a manca erano diventate assolutamente un must: Fragola menta e pepe nero, Arancia sanguigna alla vaniglia, Ciliegie nere e lamponi d’Alsazia, Agrumi al pinot nero e cannella. Uno spettacolo, si sorride solo a guardare i vasetti, praticamente una cura antidepressiva che assicurerà una buona dose di allegria durante le buie colazioni autunnali. Ed infine una gallina. Buffa, rossa, mi ha fatto l’occhiolino. Non potevo certo esimermi dal portarla nel pollaio.

lunedì 2 agosto 2010

La cura

Per fortuna dopo i momenti no tornano anche quelli sì. Merito del cielo azzurro e croccante che ricopre la città da qualche giorno, dalle mattine fresche che quasi-quasi ci vuole un golfino, dall’aver trascorso una giornata in montagna al campo scout della pulcina, dove l’abbiamo trovata allegra, felice e naturalmente stanchissima, che dopo una settimana di scorribande e canti sotto le stelle si stancano anche gli undicenni. Merito soprattutto di aver riaperto i battenti alla mia agenzia di viaggio personale, quella che curo personalmente e della quale sono titolare, impiegata e fattorino al tempo stesso, oltre che ovviamente unico socio. Era chiusa da un po’ in effetti, salvo rare aperture per piccole cosucce da organizzare in cinque minuti, ma appena si sono aperte le danze è stato come se non avesse mai smesso di sfornare programmi e itinerari. Così in mezza giornata mi sono cucita una vacanzina su misura, perfetta, nemmeno da farci un orlino. Itinerario, programma di base, chilometraggi, pernottamenti, prenotazioni. In effetti sarebbe dovuto essere il mio lavoro e forse non sarei stata un tour operator affatto male, maniaca della precisione e del dettaglio come sono. Non è andata in questo modo, e così tiro su la saracinesca della mia agenzia solo per uso personale, anche se ogni tanto qualche amico che adocchia i miei itinerari sgrana gli occhi, mi guarda sorpreso, e poi mi chiede se gli posso organizzare le prossime vacanze. Questo capo di alta sartoria è in via di perfezionamento ovviamente, devo fissare un po’ di appuntamenti con i vignerons, informarmi meglio su alcuni orari di castelli e cattedrali, ma il più è sicuramente fatto. E questa cura è la migliore che vi sia per far risollevare anche l’umore più nero, garantito al limone. Che buffo poi, quel progettino che mi frullava in testa tempo fa, è proprio quello che ho voluto realizzare per primo. Mai lasciare storie incompiute.

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