
Sto facendo di tutto per non farmi travolgere, per sdrammatizzare, per respirare. Allora creo giorni fatti di una miscela strana, dove tra i momenti di tristezza e lacrime sparse ci infilo anche un po’ di sano egoismo, lo staccare la spina per pochi minuti o qualche ora per pensare solo a me, alla mia famiglia, a un briciolo di serenità. Così, tra un visita in ospedale e le mille questioni burocratiche da risolvere che mi sono piovute addosso, la mamma, la badante, la pensione di mio padre da riscuotere che
signora mia, non vorrà mica che le venga data così sui due piedi solo perché lei è la figlia e suo padre è immobilizzato in ospedale, non lo sapeva che questo è il Paese delle complicazioni?, la banca, l’assistente sociale, e poi e poi e poi, come cantava Mina, ci sto infilando dentro prepotentemente anche degli sprazzi di allegria, di piccole felicità, di cose che mi facciano star bene. Come se imballassi dei fragilissimi cristalli dentro un cartone e per non farli sbatacchiare tra loro ed evitare di far cocci riempissi tutti gli spazi vuoti con una carta velina iridescente. In qualche caso cacciandola dentro a forza, ma l’importante è che serva allo scopo. Ci siamo quindi immersi per qualche ora nell’allegro e affollato centro storico domenicale, con Piazza Santa Croce trasformata in un mercatino natalizio d’oltralpe, banchi stracarichi di ogni meraviglia, dalle spezie francesi ai fumanti rotoli alla cannella tedeschi, dalle birre alla spina, ai formaggi olandesi, alle palline e ornamenti per alberi di ogni tipo e tendenza. Abbiamo fatto anche i turisti, infilandoci nella basilica e visitandola come si deve, chiostri, musei e cripte comprese, e ancora una volta mi sono sentita così orgogliosa dei capolavori che mi circondano. Abbiamo pranzato in libreria, eh sì, che ora anche le librerie hanno i loro angoli con sedie e tavolini dove, mentre si gusta una lasagna o una cioccolata in tazza si può anche sfogliare un libro con calma per vedere se ci piace davvero o mettersi alla ricerca della guida turistica più giusta per il prossimo viaggio. Ho fatto le ore piccole sotto al piumone leggendo un altro bel pezzo di libro e me ne sono dovuta staccare con la forza, che il decollo di
questo thriller è stato talmente verticale ed avvincente che ero spalmata sulle pagine neanche fossi stata sul sedile dello Shuttle. L’abete che da qualche giorno stazionava in giardino strizzato nella rete come un salamino è stato invasato e ripulito ed ora è lì che mi guarda nudo, in attesa che inizi a vestirlo in qualche modo. Ancora non so di preciso, alla fine seguirò l’estro del momento, ma ogni tanto mentre gli passo accanto mi diverto a minacciarlo con un sorrisino,
guarda che se non fai il bravo ti riempio di piume di struzzo e marabù. Mi sono concessa lunghe telefonate con amiche che non sentivo da tempo. E ne ho invitata un’altra a cena con tutta la famiglia al seguito.
Ma che fai? con le giornate che stai passando non vorrai stare ad ingrullire con una cena? E invece è proprio lì la questione, ho voglia di immergermi nei ricettari e nel forno acceso, ho bisogno di sentire bambini giocare e voci che chiacchierano e ridono. Anche la mia, beninteso. Insomma, questo è il mio modo di stare a galla. Un mix di alti e bassi, di rosa e di grigi, di lucidi e di opachi. Il cocktail della sopravvivenza. L’importante è andare avanti. Ed ora che mi sovviene, quale altra parola potrebbe essere più indicata nel pollaio in questo frangente di questa parolina inglese che abbiamo incorporato nel vocabolario ormai da anni. Cocktail, coda di gallo. Direi che calza a pennello.